Nuvole oscure sul Fronte Polisario

Sicuramente Hadj Ahmed Barrikallah, ex dirigente del Polisario divenuto ormai un oppositore (in quanto dirigente del Movimento Sahrawi per la Pace, da lui fondato nel 2020), avrà le sue ragioni. Non si può restare eternamente sulla breccia mentre intorno mutano gli scenari mondiali. E probabilmente, dato che vive attualmente in Spagna, quando propone un’analogia con l’Irlanda (“il Polisario finirà come l’IRA”) magari sta pensando ai Paesi Baschi, conoscendo sicuramente il profondo, pluridecennale rapporto tra la sinistra basca abertzale e la resistenza della popolazione dell’ex Sahara spagnolo. Era infatti abituale incontrare, magari sulla spiaggia di Donosti, gruppi numerosi, intere scolaresche di bambini sahrawi ospiti di qualche organizzazione basca come espressione di solidarietà internazionalista. Per non parlare dell’impegno di alcuni esponenti di Herri Batasuna – come Gorka Martinez – a sostegno dei rifugiati sahrawi in Algeria. Altri tempi, sicuramente.
A differenza (non da poco) di altri ex esponenti, dopo aver lasciato il Polisario, Hadj Ahmed Barrikallah non si è trasferito in Marocco (da dove le sue critiche agli ex compagni potrebbero risultare sospette), ma appunto in Spagna.
La sua militanza è di antica data. Dal 1980 questo giornalista aveva assunto un ruolo particolare come ambasciatore della Repubblica Araba Democratica dei Sahrawi (SADR), raggiungendovi in breve posizioni di grande responsabilità, anche di potere, diciamo. Ma dovendo nel contempo,  secondo le sue recenti dichiarazioni, constatare amaramente derive e contraddizioni del movimento di liberazione.
Per esempio aveva toccato con mano come, nonostante il sostegno anche economico della solidarietà internazionale, la situazione nei campi profughi rimanesse sostanzialmente la stessa dal 1975. Ossia precaria, con i rifugiati ridotti in miseria. Se non addirittura, si spinge a dire, “presi in ostaggio”. Quanto al potere politico, sarebbe rimasto stabilmente in mano a una cerchia ristretta di dirigenti.
Coincidenza: ancora in ottobre, in vista del 16° congresso del Fronte Polisario (dicembre) Brahim Ghali aveva parlato di “riconciliazione” tra il Fronte e la popolazione sahrawi. In particolare con i rifugiati del campo di Tindouf. Con l’intenzione di “avviare un processo di riparazione per le vittime degli errori commessi nei loro confronti nelle ultime fasi della nostra lotta di liberazione nazionale”. Per questo il Polisario intende “voltare questa pagina dolorosa per impegnare l’intero organismo nazionale e mobilitarlo in questa fase decisiva della nostra marcia vittoriosa”.

Brahim Ghali, leader del Polisario e presidente della SADR.

Un evidente riferimento, un’ammissione di colpa, per le violazioni dei diritti umani commesse dai guerriglieri nel campo di Tindouf, dove molti dissidenti erano stati imprigionati nel carcere di Errachid e talvolta anche torturati e assassinati.
C’era un precedente, risalente al 2019 quando un altro esponente del Polisario, Bachir Mustapha Sayed, aveva riconosciuto che nei confronti dei ribelli dell’ottobre 1988 (una rivolta interna repressa duramente) erano stati commessi abusi. Soprattutto nei confronti delle tribù Oulad Dlim, Tekna e Ait Oussa, fino ad allora sottoposte all’egemonia della tribù Reguibat.
Più recentemente a Ginevra (consiglio per i diritti umani, dal 12 settembre al 7 ottobre 2022) altri due dissidenti, Fadel Breika e Mahmoud Zeidan, avevano denunciato il Fronte Polisario come responsabile della loro carcerazione, durata alcuni mesi, nel 2019. Con accuse simili era intervenuto alle Nazioni Unite M’Rabih Ahmed Mahmoud Adda che attualmente vive in Marocco.
Tali circostanze potrebbero aver determinato l’ulteriore presa di posizione di Hadj Ahmed Barrikallah che recentemente (vedi un’intervista a Jeune Afrique) arriva asostenere non solo il “dialogo costruttivo” con il Marocco ma anche la positività, il valore delle recenti proposte di “autonomia” provenienti da Rabat. 
Visto e considerato che ormai “la vittoria militare è impossibile” (e qui torna l’analogia con l’Irlanda degli anni novanta), sarebbe giunto il tempo di “esplorare nuove vie”. Sostanzialmente quelle, se non della resa, perlomeno del compromesso.