Il 17 ottobre 2019, la FAO, agenzia dell’ONU che si occupa di cibo e agricoltura, e la Danone, multinazionale del cibo, hanno sottoscritto un accordo per “migliorare la nutrizione globale e le conoscenze sulla sicurezza del cibo, oltre che per promuovere le catene di valori per un’agricoltura responsabile e per sistemi di alimenti più sostenibili”. L’obiettivo finale è migliorare l’accesso ad alimenti diversificati e salutari. Si tratta dell’ennesimo caso di cosiddetta Partnership Pubblico Privato (PPP), alleanze che ormai sono diventate la norma per le agenzie dell’ONU, OMS compresa, sulla spinta da un lato di ristrettezze economiche create ad arte dai Paesi membri, dall’altro di un pensiero unico globale che considera il settore privato come modello di efficienza e quello pubblico come modello di inefficienza. Peccato che tra i due settori vi sia:
incompatibilità, visto che il primo ha come scopo il profitto e come figure di riferimento gli azionisti, mentre il secondo ha come scopo il bene pubblico e come figure di riferimento i cittadini;
asimmetria, dato che il settore privato è quasi sempre molto più potente di quello pubblico in termini economici, di capacità di marketing, e spesso anche di abilità nell’influenzare le politiche locali, nazionali e globali.
Ragioni per cui, quasi sempre, il risultato sperato non è quello dichiarato negli intenti e riassunto nella formula win-win (a indicare un doppio guadagno per entrambi i contraenti del patto); alla finfine qualcuno ci perde, o per lo meno non ci guadagna, e qualcuno ci guadagna, spesso molto. E il vincitore è sempre il settore privato.
Nel caso specifico, è prevedibile che i quattro pilastri dell’accordo firmato (scambio di dati e informazioni; miglioramento delle conoscenze per l’adozione di diete salutari; uso da parte di Danone di strumenti di formazione FAO; condotte commerciali responsabili nei canali di approvvigionamento agricolo) favoriranno la penetrazione della multinazionale nei mercati nazionali mediante operazioni di white/green washing miranti a occultare la sostituzione delle diete tradizionali basate su agricoltura e commercio locali con diete a base di cibi industriali ultra processati derivanti da agricoltura e allevamento intensivi. Le conseguenze per la salute sono ben note: il cosiddetto doppio fardello della malnutrizione, con la sovra-nutrizione che si affianca alla sotto-nutrizione, e le malattie non trasmissibili che si affiancano a quelle trasmissibili.
Non sorprende che Emmanuel Faber, presidente e CEO di Danone, abbia dichiarato: “Sono compiaciuto di poter rafforzare i legami tra Danone e FAO con questo accordo, e di poter lavorare assieme verso pratiche agricole rigenerative e verso abitudini alimentari in linea con la visione di One Planet. One Health”.
I lettori penseranno che si tratti della visione della FAO, o per lo meno di una visione dell’ONU. Si sbagliano: si tratta della visione di Danone.

a cura di Adriano Cattaneo