fernando aramburu patria

Fernando Aramburu, Patria, Guanda, Milano 2017, 19 euro.

Due famiglie legate a doppio filo, quelle di Joxian e del Txato, cresciuti entrambi nello stesso paesino alle porte di San Sebastián, vicini di casa, inseparabili nelle serate all’osteria e nelle domeniche in bicicletta. E anche le loro mogli, Miren e Bittori, erano legate da una solida amicizia, così come i loro figli, compagni di giochi e di studi tra gli anni Settanta e Ottanta. Ma poi un evento tragico ha scavato un cratere nelle loro vite, spezzate per sempre in un prima e un dopo: il Txato, con la sua impresa di trasporti, è stato preso di mira dall’ETA, e dopo una serie di messaggi intimidatori a cui ha testardamente rifiutato di piegarsi, è caduto vittima di un attentato… Bittori se n’è andata, non riuscendo più a vivere nel posto in cui le hanno ammazzato il marito, il posto in cui la sua presenza non è più gradita, perché le vittime danno fastidio. Anche a quelli che un tempo si proclamavano amici. Anche a quei vicini di casa che sono forse i genitori, il fratello, la sorella di un assassino. Passano gli anni, ma Bittori non rinuncia a pretendere la verità e a farsi chiedere perdono, a cercare la via verso una riconciliazione necessaria non solo per lei, ma per tutte le persone coinvolte.
Con la forza della letteratura, Fernando Aramburu ha saputo raccontare una comunità lacerata dal fanatismo, e allo stesso tempo scrivere una storia di gente comune, di affetti, di amicizie, di sentimenti feriti: un romanzo da accostare ai grandi modelli narrativi che hanno fatto dell’universo famiglia il fulcro morale, il centro vitale della loro trama.

 

fernando aramburu patria

L’uscita di Patria… un libro ben scritto, che mantiene costante la tensione narrativa, ci parla della comune sofferenza che avvolge la condizione umana e si legge d’un fiato… è stata accolta da recensioni entusiaste. Anche se, ironizzo, non tutte coltivano il fondato sospetto di un malcelato intento metaforico da parte dell’autore. Chissà, forse Aramburu intendeva parlare della Sicilia, non del Paese Basco. Sembra infatti confondere Euskadi Ta Askatasuna con la mafia, e la solidarietà popolare con l’omertà.
Non si spiegherebbero altrimenti la superficialità nel tratteggiare modalità e cause del conflitto, una buona dose di pregiudizi nei confronti dell’indipendentismo radicale e il sottinteso, non detto ma facilmente intuibile, di uno Stato spagnolo sostanzialmente giusto: super partes, garante della democrazia e dello Stato di Diritto, nonostante qualche “sbavatura”. A differenza della sinistra abertzale, descritta come avvelenata dall’odio per le istituzioni, dal fanatismo ideologico e dall’invidia sociale.
Aramburu addirittura rilancia, en passant e dandola per scontata, l’ipotesi che Pertur nel 1976 sia rimasto vittima di un regolamento di conti tra ETA-pm e ETA-m (pag. 376), nonostante quanto emerso finora suggerisca piuttosto il ruolo di una squadra della morte parastatale (Triple A o ATE, forse con la partecipazione di ordinovisti italiani).
Una visione non solo parziale ma semplicemente falsa, quantomeno distorta. Unica attenuante: la lontananza anche fisica da Euskal Herria di Aramburu, che da molti anni vive e lavora in Germania.
Mentre appare molto comprensivo per i problemi dei piccoli imprenditori e delle loro famiglie medio-borghesi, lo scrittore sembra essere meno bendisposto verso quelle proletarie. “Facce da bruti, da risentiti sociali che mordono la mano di chi dà loro da mangiare”, sono le eloquenti parole che mette in bocca all’imprenditore, poi ucciso dall’ETA, quando parla dei suoi operai iscritti al LAB (Langile Abertzaleen Batzordeak, il sindacato basco “nazionalista e di classe”). Strano, visto che lo descrive come un uomo buono e generoso; forse riflettono il retro-pensiero dello scrittore?
Con le sue considerazioni, Aramburu sembra voler svalutare, screditare tutto ciò che sa di basco: dai suoni ancestrali della txalaparta ai sogni di giustizia e libertà (sì, quelle due, tutte e due) che alimentavano la lotta di tanti giovani e meno giovani baschi rinchiusi nelle carceri a migliaia di chilometri dal loro Paese: ribelli a un destino di intercambiabili pedine dell’universo mercantile e gerarchico.
Certo, se tutti accettassero con cristiana rassegnazione la condizione di schiavi salariati o di popolo asservito e addomesticato, il mondo sarebbe più semplice. Più semplice e ancora più schifoso.
Peggio ancora: rispondendo a un’intervista che già di suo non era un granché (con domande del tipo: “Quante generazioni si è bevuta l’ETA? Oppure: “Lei come si salvò dall’ipnosi etarra?”), Fernando Aramburu infieriva ironizzando perfino sulle foto esposte dei prigionieri dove “apparivano sempre giovani e attraenti. Anche se nel frattempo in carcere erano ingrassati, avevano perso i capelli, si erano ammalati…”. Perché, domando, la foto di Mandela che circolava negli anni ottanta (quella che usavamo per raccogliere firme di solidarietà) era forse aggiornata? Che faccia ormai avesse realmente Madiba lo scoprimmo solo al momento della sua liberazione, e nessuno per questo accusava l’ANC di “propaganda estetizzante, eroica, giovanilistica”. Oltretutto sullo stesso giornale dove negli anni ottanta un non meglio identificato “Carlos Elordi” minimizzava o semplicemente ignorava ogni riferimento al GAL e alle torture nei commissariati e nelle caserme iberiche.
Oddio, almeno sulla tortura qualcosina nel libro si trova, anche se soltanto per qualche pagina. Ne ho contate quattro o cinque (più un generico rifermento a Mikel Zabalza): pochine in un volume di oltre 600 pagine, se si tiene conto di quanto sia stata praticata, in maniera crudele e sistematica, su migliaia di militanti baschi (non solo sugli etarras, ovviamente).
Per le innumerevoli altre infamie imbastite dallo Stato, Aramburu si limita a qualche vago accenno. Per esempio sul GAL che cita brevissimamente a pag. 212, 248 (in questo caso forse a sproposito: nella morte di Txomin Iturbe, probabile vittima di un attentato camuffato da incidente, si riconosce la longa manus dei servizi quando agivano in prima persona, non subappaltando a mercenari come il GAL) e 302, ma solo di sfuggita, quasi si trattasse di una calamità naturale, un imprevisto atmosferico.
Chissà perché l’illustre scrittore non ha approfondito questa faccenda che, ricordo bene, negli anni ottanta inaspriva ulteriormente l’oppressione spagnola in Euskal Herria. O forse, come dicevo, vivendo in Germania Aramburu se l’era persa.
E allora proviamo umilmente a porre rimedio per l’inspiegabile dimenticanza, raccontando qualcosa di questa banda istituzionalizzata di assassini a libro paga statale (contributi familiari e prepensionamento compresi).

Due parole sul Grupo Antiterrorista de Liberacion

Cos’era il GAL? Sostanzialmente, direi, uno squadrone della morte parastatale. Il Grupo Antiterrorista de Liberacion operò quasi sempre in Ipar Euskal Herria (Euskadi Nord, sotto amministrazione francese) e più raramente in Hego Euskal Herria (Euskadi Sud, sotto amministrazione-occupazione spagnola).
Fu attivo, almeno con questa denominazione, dall’ottobre 1983 al luglio 1989. Ufficialmente si fece conoscere con il sequestro di Segundo Marey (dicembre 1983), ma in precedenza erano già stati sequestrati a Baiona Joxean Lasa e Joxi Zabala, poi torturati e assassinati.
Il 20 marzo 1995 nel deposito cadaveri di Alicante vennero identificati i resti umani di due persone. Secondo gli investigatori e gli esami dell’autopsia, corrispondevano a quelli dei due rifugiati baschi José Ignacio Zabala “Joxi” e José Antonio Lasa “Joxean”, scomparsi a Baiona il 16 ottobre 1983.
Sequestrati, torturati e infine assassinati per essere sepolti in una fossa riempita di calce viva. Sulla loro tragica fine aleggiava l’ombra del coinvolgimento diretto di esponenti di alto livello del PSOE e della Guardia Civil che operavano sotto la copertura della sigla GAL.
Nonostante la banda terrorista avesse rivendicato la loro uccisione con una telefonata a Radio Alicante ancora nel gennaio 1984, vi furono vari tentativi di depistaggio.
Come con Pertur, anche nel caso di Lasa e Zabala si cercò di attribuirne la scomparsa a conflitti interni al MVLN (movimento basco di liberazione nazionale).
KARE BIZIAK EZ DITU HERRI BATEN EUSKUBIDEAK DESAGERTARAZTEN, 1) era scritto sui manifesti che mostravano le inequivocabili immagini dei resti atrocemente devastati dei due militanti.
In una foto i rimasugli dei bendaggi e del nastro adesivo con cui erano stati ricoperti occhi e aperture nasali; in un’altra l’estremità quasi mummificata dove spiccava l’unica unghia, quella del mignolo di Zabala, rimasta attaccata (delle 40 complessive, mani e piedi, dei due giovani): tutte le altre risultavano strappate durante gli “interrogatori”; infine il cranio di Zabala con l’evidente foro di pallottola, il colpo di grazia. Come risultò dalle analisi, entrambi erano stati colpiti con una spranga con conseguente trauma cranico e Zabala poi finito con un colpo alla nuca.
Coincidenza: la prima azione del GAL (16 ottobre 1983) avviene un anno dopo la vittoria del PSOE e sei mesi dopo l’avvio del Piano ZEN (Zona Speciale del Nord). Fermo restando, ovviamente, che il PSOE di Gonzalez non inventa niente (caso mai perfeziona), ma eredita strutture preesistenti: BVE (Batallòn Vasco Espanol), 2) ATE (Antiterrorismo Eta fondato nel 1974)… Non dimentichiamo che dal 1976 al 1981, quindi dopo la morte di Franco e prima del battesimo di sangue del GAL, i baschi ammazzati per mano di altri gruppi paramilitari erano già oltre una quarantina.
Quanto ai predecessori, l’Alianza Apostolica Anticomunista (Triple A, versione spagnola, quasi omonima, della Alianza Anticomunista Argentina) venne fondata nel 1975. I Guerrilleros de Cristo Rey (operativi a Jurramendi nel 1976 con Delle Chiaie e camerati) ancora nel maggio 1968. Orden Nuevo, versione iberica di Ordine Nuovo, era nata nel 1972 come organo di stampa del Partido Espanol Nacional Socialista (PENS), del Movimiento Nacional Revolucionario (MNR) e del Movimiento Social Espanol (MSE).
Naturalmente, come dichiarò esplicitamente l’ex Guardia Civil “Leonidas”, nome d’arte di uno degli assassini di Argala: “BVE, ATE, Triple A. Eso solo son sigla, nombres que van saliendo y que se van utilizando conforme se necesita”. 3)

Un tentacolo dello Stato centrale

Tornando agli albori del GAL, va ricordato il quasi contemporaneo tentativo, casualmente fallito, di sequestro ai danni di un altro rifugiato, José Mari Larretxea, a Hendaia. In questo caso i sequestratori vennero identificati e arrestati dalla polizia francese. Si trattava dei poliziotti Francisco Javier Lopez, Sebastian Sotos, José Maria Rubio e Jesus Alfredo Gutierrez. L’operazione era stata concepita dal capo della polizia di Bilbao, Francisco Alvarez Sanchez. Dietro pressione di Madrid vennero presto rimessi tutti in libertà.
Una conferma della sostanziale continuità tra le svariate squadre della morte che agirono per conto di Madrid viene anche dalle dichiarazioni del sergente della GC Luis Cervero Carrillo, membro riconosciuto dei gruppi paramilitari: “ATE era un gruppo misto formato da Guardias Civiles e da estremisti di destra e riceveva ordini dallo Stato maggiore della GC. In ATE c’erano membri dell’OAS e di Ordine Nuovo italiano che lavoravano per i Servizi della Presidenza del governo diretti da Andreas Casinello”. E faceva anche dei nomi: “Concutelli, Calzona, Cherid, Boccardo”.
Imitando lo stile delle truppe di occupazione naziste, il GAL minacciava che a ogni azione di ETA sarebbe seguito un attentato di rappresaglia contro la sinistra abertzale e contro i rifugiati in Iparralde. Dopo il sequestro di Marey compirono una quarantina di azioni, con un totale di 27 morti accertati  e decine di feriti.
Per il GAL, va ribadito, lavoravano mercenari a pagamento che avevano già collaborato con i gruppi preesistenti, la maggior parte creati dopo la morte di Carrero Blanco nel dicembre 1973. Oltre ai già nominati ATE, BVE, AAA anche i Grupos Armados Espanoles (GAE) e i Comandos anti marxistas. Jean Pierre Cherid, morto il 19 marzo 1984 mentre manipolava dell’esplosivo, fu uno di questi salariati del terrorismo di Stato. Cherid operò indifferentemente sia durante il franchismo sia all’epoca del governo socialista di Gonzalez.
Ricordo che la vedova di Cherid aveva inoltrato domanda per una pensione al ministero degli Interni spagnolo (contando sul fatto che era stata concessa alla vedova del membro del GAL Andres Pervins morto in servizio attivo). Non so poi come sia finita, ma comunque la richiesta contribuì a scoperchiare la trama occulta del terrorismo di Stato.
Per finanziare il GAL si attingeva direttamente dalle casse dello Stato con i fondos reservados.  Alcuni mercenari vennero reclutati direttamente in ambienti di professionisti del crimine e della mafia godendo di una sostanziale impunità.
Possiamo infatti tranquillamente affermare che il GAL – come i suoi precursori – godette del sostanziale appoggio dei vari apparati di Stato, compresi il presidente del governo Felipe Gonzalez e il vicepresidente Alfonso Guerra. Quanto al ministro dell’Interno, José Barrionuevo, arrivò a definire “un atto di ETA contro un suo militante” l’uccisione (da parte del GAL, ovvio) di Garcia Goena, estraneo a ogni attività della sinistra abertzale. Si trovava in Hendaia per evitare il servizio militare. Come ho detto, anche le uccisioni di Pertur e di Lasa e Zabala vennero inizialmente presentate come un “regolamento di conti” interno al MVLN.
Del resto, come ebbe a dichiarare successivamente Felipe Gonzales: “La democracia se defiende hasta en los desagues”. Forse nel senso  metaforico di “scarico fognario”?

Sollevando il coperchio

Solo quando la stampa cominciò a investigare sulle trame parapoliciales, la giustizia spagnola fece arrestare due tra i più citati e implicati: i poliziotti Michel Dominguez e José Amedo del commissariato di Bilbao.
Il processo mostrò chiaramente come i due poliziotti incriminati avessero appreso molto bene la lezione impartita. Le risposte in genere furono: “No lo sé, no recuerdo, no voy a contestarle”. Le questioni più scottanti, come quella dei fondi riservati e quella delle misteriose “X” che i giudici avevano, se non individuato, almeno intuito a livello della dirigenza del GAL, vennero sepolte in nome della ragione di Stato. Successivamente l’inchiesta sul GAL ripartì grazie alle dichiarazioni di Amedo e Dominguez al giudice Garzon.
Nel dicembre 1994 venne arrestato l’ex governatore civile di Bizkaia, Julìan Sancristobal, ritenuto l’autore del comunicato emesso dal GAL per rivendicare il sequestro di Segundo Marey. Il 17 febbraio 1995 anche Manuel Vera venne arrestato. I poliziotti Miguel Planchuelo e Francisco Alvarez (superiori gerarchici di Amedo e da costui accusati di “haber dirigido y financiado, en febrero de 1986, los atentados contra los bares Batzold y La Consolation” a Bayona e San Juan de Luz) andarono a tenergli compagnia. Si arrivò quindi al processo contro l’ex primo ministro Barrionuevo.
Inutile dire che anche in caso di condanna, tutti gli imputati eccellenti vennero presto rimessi in libertà o agli arresti domiciliari, magari per “ragioni di salute”. Un trattamento completamente diverso rispetto a quello riservato agli etarras incarcerati.
Riepilogando: dal 1976 al giugno 1981 in Euskal Herria le vittime dei gruppi paramilitari predecessori del GAL furono una quarantina. Nel contempo la polizia aveva ucciso 74 persone e ne aveva ferito un migliaio durante varie manifestazioni, caricando circa 1500 volte tra il 1977 e il 1981. Migliaia gli arrestati, centinaia i torturati.
L’area che comprende le località di Hernani, Andoain, Astirraga (provincia di San Sebastian) verrà nominata “triangolo della morte” a causa degli attacchi del BVE (dal 6 maggio 1979 al 3 marzo 1981, sette attentati mortali). All’epoca la polizia di San Sebastian (Donosti) era diretta da Jesus  Martinez Torres, durante il franchismo membro della “Brigada politico social” e denunciato per tortura da decine di persone.
In seguito avrebbe collaborato con Roberto Conesa che reclutava e coordinava i mercenari anti-baschi. Venne poi chiamato da Barrionuevo, ministro degli Interni (socialista), a ricoprire la carica di Comisario general de Informacion.  In un documento redatto dal fascista Rogerio Medrano si ricostruiva la storia del BVE e venivano riportati i nomi di numerosi esponenti delle FOP (Fuerzas  de Orden Publico), di militari e di fascisti implicati nelle azioni terroristiche.
Da citare un episodio significativo: il 23 novembre 1980 due uomini entrano nel bar Hendayes di Hendaia e sparano indiscriminatamente sui presenti causando due morti e dieci feriti. L’attentato verrà poi rivendicato dal BVE. Pochi minuti dopo i responsabili vengono fermati alla frontiera dalla Guardia Civil e prontamente rimessi in libertà per l’intervento della Comisaria general de Informacion.

Cercando di quantificare con nome e cognome le vittime del terrorismo di Stato (Estatu terrorismoak) con la firma del GAL:
Joxi Zabala e Joxan Lasa (83/10/16), Ramon Onaderra “Katu” (83/12/20), Mikel Goikoetxea “Txapela” (84/1/1), Angel Gurmindo “Stein” (84/2/8), Bixente Perurena (84/2/25), X. Perez de Arenaza (84/3/23), Rafa Goikoetxea (84/5/3), Perez Revilla “Tomason” (84/7/28), Santi Brouard (84/10/20), Xabier Galdeano (85/3/30), Santos Blancos “Aitite” (85/6/26), Juan M. Otegi “Txato” (85/8/2), José M. Etxaniz “Potros” (85/9/25), Inaki Asteasuinzarra “Beltza” (85/9/25), Agustin Irazus Tabarrena “Legra” (85/9/25), Xabier Etxaide Ibarguren (85/9/25), J.C. Garcia Goena (87/7724)…

Altri nomi di vittime del GAL li ho ritrovati in un documento di Euskadiko Amnistiaren Aldeko Batzordeak:
Eugenio Gutierrez Salazar (84/2/25), Jean Pierre Leiba (84/3/1), Christian Olaskoaga (84/11/18), Benoit Pecasteing (85/3/29), Emili Weis (85/6/14), Claude Doer (85/6/14), Robert Caplanne (86/1/3), Christophe Matxikote (86/2/17), Catherine Brion (86/2/17)…

Ripeto che questi elenchi (comunque incompleti) enumeravano le vittime solo del GAL, non delle preesistenti squadre della morte (e tantomeno quelli uccisi dalla polizia, dalla GC, morti per le torture subite nelle caserme e nei commissariati o a causa delle condizioni di detenzione nelle “carceri di sterminio”). 4) Arrivavano fino al 1987, ma l’attività degli assassini di Stato proseguì anche negli anni successivi (vedi l’uccisione di Josu Muguruza, deputato di Herri Batasuna, il 20 novembre 1989) se pur con modalità diverse.
Quanto alla provenienza degli esponenti dei vari gruppi paramilitari operativi nella guerra sporca contro i baschi, possiamo tentare una approssimativa classificazione:

  • L’estrema destra spagnola, in particolare il Partido espanol nacional socialista (PENS) e i Guerrilleros de Cristo Rey.
  • Ex membri dell’OAS francese, tra cui Jean Pierre Cherid, già collaboratore del franchismo e membro di ATE, BVE e GAL; suo fratello Noel Cherid, Marcel Cardona, Andres Pervins (i cui familiari ricevevano una pensione dal governo spagnolo dopo la sua “morte in servizio”).
  • Un gruppo portoghese di ex membri della PIDE (la polizia segreta di Salazar), alcuni golpisti dell’ELP (esercito di liberazione del Portogallo), soldati e mercenari reduci dalle ex colonie.
  • Alcuni sudamericani provenienti dagli squadroni della morte (vedi la Triple A).
  • Vari neofascisti italiani provenienti da Ordine Nuovo e da Avanguardia Nazionale che si erano rifugiati in Spagna (Delle Chiaie, Ricci, Concutelli, Cauchi, Calzona, Cicuttini, Pomar, Calore, Pozzan…).

Insomma. Per chi avesse voluto vedere e capire, anche negli anni ottanta non mancavano indizi sostanziosi sui reali rapporti tra squadre della morte antibasche e istituzioni statali spagnole. Una conferma da due brevi testimonianze di militanti, Inaki e Gari, intervistati alla fine degli anni ottanta.

Vorrei ricordare che l’11 aprile 1986 [mi spiegava Inaki, scrittore, NdA] la Gendarmeria francese aveva arrestato sette membri del GAL. Con le loro confessioni si era potuto ricostruire la struttura della banda criminale e capire che agiva in stretto contatto con l’Ufficio delle Operazioni speciali della polizia spagnola.

Per Gari, ex prigioniero politico (ma in seguito nuovamente arrestato come esponente di Gestoras pro Amnistia):

Altre prove che il GAL era una creatura dell’esercito, della GC e della polizia? Pedro Sanchez, un vecchio legionario membro del GAL, venne arrestato in Francia il 6 dicembre 1983 [ancora nel 1983! NdA]. In tasca aveva il numero di telefono di un alto funzionario della polizia spagnola. Il giornale “Le Monde” ha poi riportato la notizia che nel 1984 la polizia francese scattò numerose foto di terroristi del GAL insieme a un gruppo di poliziotti spagnoli…

E concludo con le dichiarazioni di José Antonio Egido (Takolo). All’epoca, quando lo intervistai a Donostia (nel 1986, sottolineo), era il responsabile del Kampoko Harremanetarako Batzordea (commissione esteri) di Herri Batasuna. Alla mia solita domanda rispose:

Il GAL? Un gruppo terrorista creato dai servizi speciali dell’esercito spagnolo per eliminare fisicamente i rifugiati politici baschi. Dopo gli accordi segreti tra Gonzalez e Chirac sembrerebbe essere stato neutralizzato. In base a questi accordi molti rifugiati baschi sono stati consegnati alla polizia spagnola. 5)
Tra gli esponenti del GAL finora arrestati [estate 1986, NdA] si trovavano fascisti spagnoli, gangsters del milieu di Marsiglia, informatori abituali della polizia spagnola eccetera, ossia residuati delle guerre sporche colonialiste, esponenti della rete internazionale del terrorismo nero e delinquenti comuni.

Ma di tutto questo – dell’altro terrorismo, quello di Stato – nel libro di Aramburu difficilmente troverete traccia. Descrive un Paese Basco irriconoscibile, coerente con l’immagine diffusa sia da Gonzalez sia da Aznar come da Mayor Oreja. Occultando che le violazioni dei diritti umani pianificate dalle istituzioni statali sono state ampie, diffuse e sistematiche.
Diciamo che sostanzialmente Aramburu ha raccontato quello che le anime belle, i sepolcri imbiancati volevano sentirsi raccontare.

fernando aramburu patria
Fernando Aramburu, nato nel 1959 a San Sebastian, è un poeta, narratore e saggista basco.

N O T E

1) “La calce viva non cancella i diritti del popolo basco” (traduzione mia, con una certa dose di approssimazione).
2) Il BVE colpì anche a Caracas, dove nel 1980 vennero assassinati i coniugi Etxevarria, membri di una associazione di sostegno ai rifugiati baschi.
3) Dalla stessa intervista a “Leonidas” si ricava che del gruppo che assassinò Argala facevano parte “Jean Pierre Cherid (ex miembro de la OAS), José María Bocccardo (argentino y ex miembro de la triple A) y Mario Ricci (italiano neofascista)”.
E ancora: “En total éramos ocho. Tres marinos, un militar del Ejército del Aire, un paisano, un oficial de la Guardia Civil y dos caquis (del Ejército de Tierra). Esa era la estructura fundamental del grupo. Recuerdo que de los tres marinos uno era del SECED (servicio de información de Presidencia, que después se transformó en el CESID y más tarde en el CNI), otro en el Servicio de Inteligencia Naval y el último en el Alto Estado Mayor”.
Non c’è che dire, una bella e variegata compagnia di assassini di Stato.
4) Una tra tante, la leader studentesca basca Yolanda Gonzalez, comunista trotskista (non legata a ETA), sequestrata e assassinata nel febbraio 1980 da alcuni esponenti di Fuerza Nueva. Uno degli assassini, dopo una latitanza dorata in Paraguay, era diventato, dio sa come e sotto falsa identità, istruttore della polizia “autonoma” basca. Ufficialmente il delitto venne rivendicato dal Grupo 41 del BVE. Questa fu la delirante rivendicazione:
El Batallón Vasco Español, grupo operativo-militar, reivindica el arresto, secuestro y ejecución de Yolanda González Martín, natural de Deusto, integrante del comando de ETA, rama estudiantil-IASI-, del que también forman parte otras dos personas con domicilio en Madrid y que utilizan como tapadera y acción de masas a grupos políticos de ideología trotskista y maoísta, donde se amparan sus actividades. Por una España grande, libre y única. ¡Arriba España!
5) Takolo si riferiva agli accordi per cui, in cambio delle estradizioni concesse dalla Francia, il GAL avrebbe dovuto sospendere i suoi attacchi in Ipar Euskal Herria. Si è poi visto che in realtà le azioni proseguirono ancora per qualche tempo. Per leggere l’intervista integrale cercate, eventualmente, nella collezione di “Frigidaire” del nonno o dello zio.