Ancora nel 1980 l’editore Ottaviano pubblicava Un popolo canta lulei di Virgilio Baccalini, con il contributo della Federazione Nazionale dei Lavoratori Metalmeccanici, della Federazione Provinciale CGIL-CISL-UIL di Milano e del Cespi-Centro Studi Problemi Internazionali (altri tempi!). Il libro trattava della guerra di liberazione del Sahara Occidentale, riportando in appendice i principali documenti del Fronte Polisario.
Quattro anni prima, il 27 febbraio 1976, era stata proclamata la Repubblica araba saharawi democratica (RASD). Una repubblica di cui “gran parte della popolazione per ora vive forzatamente in esilio”. Quando nel 1975 la Spagna si era vista costretta, per la lotta di liberazione e per le pressioni internazionali, ad abbandonare tale colonia, ne fece oggetto di un accordo (sostanzialmente illegale oltre che iniquo) con Marocco e Mauritania che ne prevedeva la spartizione.
Al Marocco sarebbe toccato il Saguiet el Hamra (nord), alla Mauritania il Rio de Oro (sud).
Conseguentemente il popolo saharawi e il Fronte Polisario (che di colpo videro raddoppiare i propri colonizzatori) furono costretti a riprendere la lotta. Prima con le armi, poi sostanzialmente con mezzi pacifici.
Dopo quasi mezzo secolo la situazione rimane quasi invariata. Forse, recentemente, con qualche piccola novità, non necessariamente in meglio.
Come sottolineava la rivista “Jeune Afrique”, obiettivo principale della politica estera del Fronte Polisario (Fronte di Liberazione Popolare di Saguia el Hamra e Rio de Oro) è da sempre, in sintonia con i protettivi governi di Algeri, quello di ottenere il maggior numero di riconoscimenti internazionali per la RASD (Repubblica araba saharawi democratica). Sia con Mohamed Abdelaziz, presidente per ben 40 anni, che con l’attuale presidente (dal 2016) Brahim Ghali. Ma con una differenza. All’epoca di Abdelaziz (dal 1976 al 2016) valeva, se non proprio quello della piena democrazia, almeno il principio della collegialità. Le decisioni venivano prese all’interno del “comitato esecutivo” costituito tra gli altri da Bachir Mustapha Sayed (l’attuale numero due della RASD), Mohamed Lamine Ould El Bouhali (all’epoca responsabile dei servizi segreti, attualmente comandante militare della riserva), Mohamed Lamine Ahmed (ex primo ministro, ora alle Finanze), Mahfoud Ali Beiba (deceduto nel 2010), Brahim Ghali (attuale successore di Abdelaziz) e Lahbib Ayoub (deceduto nel 2022).
Oggi come oggi l’azione diplomatica del Polisario sarebbe “nelle mani esclusivamente di Brahim Ghali che la gestisce in modo del tutto personale. Avendo come riferimento unicamente le direttive di Algeri, il cui entusiasmo per la causa saharawi ha conosciuto un evidente rilancio con il ministro algerino degli Esteri, Ramtane Lamarra”.
Un rilancio forse non del tutto disinteressato presumibilmente.

Bandiera saharawi.

E la Spagna cosa fa?

Quanto a Madrid , di sicuro non si straccia le vesti per la sorte dell’ex colonia, preferendo accordarsi con Rabat anche a scapito della popolazione saharawi.
Per Luis Portillo Pasqual del Riquelme, docente di scienze economiche all’Università Complutense di Madrid, il leader spagnolo Pedro Sánchez avrebbe “ceduto vergognosamente alle richieste di Mohamed VI perpetrando un secondo tradimento del popolo saharawi”. Anzi, aggiungeva, “stando ai miei calcoli addirittura il terzo” (il secondo sarebbe quello operato da Felipe Gonzalez).
L’illustre accademico ricordava come Félix Bolaños, ministro della Presidenza, Relazioni con le Cortes e Memoria Democratica, aveva affermato nel suo intervento che “la memoria è un diritto, un diritto della cittadinanza e soprattutto un diritto delle vittime”. In sintesi “il dovere della memoria come garanzia della non ripetizione”.
In riferimento soprattutto alle violazioni dei diritti umani e del diritto dei popoli perpetrate dal franchismo, una questione con cui la Spagna non aveva fatto i conti a momento debito.
Ma questa legge, continuava Bolaños, per quanto riguardava la questione del Sahara Occidentale e del popolo saharawi risultava quantomeno “insoddisfacente”. Nonostante costituisse l’estrema colpa dell’ultimo governo della dittatura fascista.
Sostiene inoltre che il ministro degli Affari Esteri José Manuel Albares sarebbe stato qui insediato (luglio 2021) proprio per corrispondere alle richieste del Marocco (compresa la destituzione della ministra precedente, Arancha Gonzales Albares, evidentemente non gradita a Mohamed VI).
Ma soprattutto per affossare la tradizionale posizione di Madrid di dichiarata neutralità (più dichiarata che sostanziale, tra l’altro) sulla questione riguardante l’ex colonia spagnola (già 53° provincia spagnola, ora Sahara Occidentale) illegalmente spartita tra Marocco e Mauritania (Paese africano che poi nel 1979 si era elegantemente defilato) con gli accordi tripartito di Madrid del novembre 1975 (sei giorni prima della definitiva dipartita di Franco fino ad allora tenuto in vita artificialmente).
Ora come ora la posizione di Madrid ricalcherebbe in pieno quella di Parigi (definita “cinica”), ossia del “principale avvocato del satrapo marocchino che blocca in ogni sede l’autodeterminazione del popolo saharawi”.

Brahim Ghali.