Per quanto mi riguarda ero preoccupato soprattutto per l’eventualità che si utilizzasse l’esplosivo per riportare all’esterno lo speleologo infortunato. E non per niente. Infatti in questa grotta, la Pisatela, in passato ne era già stato utilizzato allo scopo di allargare i passaggi e metterla in comunicazione con el Buso dea Rana. Con tutte le perplessità sulle possibili ripercussioni per l’integrità e stabilità della cavità (e sorvolando su possibili danni ambientali e per la fauna ipogea, oltre alle incognite determinate dalle modifiche indotte alla circolazione dell’aria, al microclima, eccetera).
Ma andiamo con ordine.
Per “onestà intellettuale” devo precisare che la maggior parte delle mie conoscenze dirette sia del Buso dea Rana sia delle altre cavità in zona (monte Faedo e dintorni, in quelli che forse impropriamente vengono chiamati Lessini vicentini) risalgono a parecchi anni fa. In particolare, per quantità e intensità, al periodo tra la fine degli anni sessanta e i settanta. Quando ancora il laghetto di Caronte si attraversava con il canotto (o magari, ma solo per esserci caduto dentro, a nuoto). Per quanto riguarda l’attività cosiddetta “esplorativa” (oggi come oggi la considero una subdola opera di colonizzazione di quella residua parte del pianeta non ancora “a catasto”), tra i ricordi non del tutto annebbiati riaffiorano il Ramo dei Salti e il breve cunicolo, invaso (se non ricordo male, doveva essere il 1971) da fango e acqua che percorsi in prima assoluta transitando dal ramo principale all’altro (dal destro al sinistro o viceversa).
Poi solo “passeggiate con famiglia” – o eventualmente con qualche amico – del ramo principale.
Quindi della Pisatela, attualmente in comunicazione con il Buso dea Rana, ne avevo notizia soltanto per sentito dire da chi ha avuto modo di frequentarla più o meno assiduamente.
Tuttavia (coincidenza sincronica?) proprio il giorno prima dell’incidente, vagando per le colline, avevo incontrato un ex speleologo scledense argomentando del degrado ipogeo e delle responsabilità anche degli speleologi. Costui si rammaricava in particolare per un amico che proprio lui aveva iniziato alla speleologia un ventennio prima e che poi era diventato istruttore. Il tizio in questione gli aveva raccontato di come avesse (insieme ad altri beninteso) realizzato il “raccordo” tra Rana e Pisatela: allargando le strettoie a colpi di microcariche esplosive!
Inoltre, pare, per impedire il crollo di pietre e massi avrebbero inserito quello che definiva un “guardrail”. In realtà, stando a quanto mi spiegava uno speleologo vicentino del gruppo Proteo, si tratterebbe di tubi Innocenti inseriti (“ma si vedono appena”, minimizzava) per sostegno (“come in miniera?”, avevo chiesto). A mio parere si tratta quantomeno di manomissione o peggio.
Per cui credo sia lecito porsi alcune domande.

Natura di massa

Non è che magari il pregresso uso di esplosivi potrebbe aver determinato una maggiore instabilità, un degrado della grotta, favorendo eventuali crolli e cadute di massi? Così, tanto per sapere.
Ovviamente mi rallegro per lo scampato pericolo e auguro una pronta ripresa allo speleologo infortunato nel ramo Carpe Diem del Buso della Pisatela (per la caduta di un masso) e per il cui recupero è stata posta in campo una sorta di operazione militare.
Tuttavia mi chiedo che senso abbia parlare ancora di speleologia come attività “in contatto con la natura”. In realtà, come per l’alpinismo, si va creando una rete di “parchi tematici”, luoghi manipolati nella loro integrità in cui scaricare le pulsioni e frustrazioni di una vita artificialmente artificiosa (mercificata, reificata, codificata, addomesticata, consumistica, eccetera). Se per Lumignano siamo già a questo punto (e forse oltre) anche il Rana e dintorni sembrano avviati sullo stesso percorso, tra parcheggi, pizzeria, aree picnic, escursioni di massa organizzate anche in periodo di letargo dei chirotteri (di quelli che ancora vi permangono, almeno).
Dicevo dell’operazione di recupero in stile quasi militare che non ha mancato di suscitare qualche perplessità pure nel sindaco Mosè Squarzon (di Monte di Malo). Il quale primo cittadino non ha mancato di muovere qualche critica per la “spedizione”, forse avventata, dei quattro speleisti. Tra l’altro il masso aveva anche tranciato la corda del capo cordata che era rimasto bloccato su un terrazzino. (Domanda: non aveva con sé una corda di riserva per scendere in doppia?) 
Ah, le vecchie care scalette in alluminio…
Pur riconoscendo a chiunque il diritto di “esercitare le nostre passioni in libertà”, il sindaco Squarzon ritiene che sia “molto più importante farlo nel rispetto della nostra vita cercando di ridurre il rischio al minimo indispensabile, soprattutto per le ricadute verso la nostra società, in particolare verso le squadre di emergenza, il pronto intervento e le forze dell’ordine”.

Dispiegamento

Difficile quantificare il numero delle persone intervenute, almeno una cinquantina sicuramente. Oltre ai venti soccorritori penetrati nella cavità, al campo base ne erano presenti almeno altrettanti. Stando a quanto dichiarato, oltre alla squadra sanitaria (un medico e un’infermiera) entrata in grotta, un’altra stazionava all’esterno. Presenti soccorritori di tutta la VI Delegazione speleo, tra cui i “disostruttori” caso mai si fosse dovuto ricorrere alle microcariche esplosive per allargare ulteriormente i passaggi. Altri speleologi e disostruttori erano giunti dal Trentino e dal Friuli. Allertati pare anche quelli di Emilia Romagna e Lombardia. A un certo punto si sarebbe palesato pure un elicottero.
A fianco della commissione nazionale disostruzione, i vigili del fuoco di Schio e di Mestre (compresi i sommozzatori, caso mai le piogge avessero provocato l’innalzamento del livello dell’acqua nella cavità), la protezione civile e i carabinieri (per il trasporto dell’esplosivo). Un intervento forse sproporzionato visto che poi l’infortunato sarebbe uscito con le sue gambe, se pur assistito e non in barella. Operazione che avrebbe appunto richiesto, come dicevo all’inizio e come temevo, l’utilizzo dell’esplosivo per allargare ulteriormente cunicoli e passaggi.
Ah, se anche la sanità pubblica, quella che si occupa dei poveri cristi in lista d’attesa, funzionasse così mirabilmente…