Il più grande processo contro il terrorismo mai condotto in Belgio ha preso il via sotto stretta sorveglianza nella città portuale di Anversa, processo che vede alla sbarra 46 membri del gruppo islamista Sharia4Belgium (S4B) accusati di aver reclutato decine di giovani musulmani per combattere a fianco del gruppo jihadista Stato islamico.
Sharia4Belgium, un gruppo salafita radicale, fu fondato nel 2010 con l’obiettivo di applicare in Belgio la Sharia, la legge islamica. Nel settembre 2011, il movimento causò un mare di polemiche all’annuncio di aver introdotto ad Anversa, la seconda città più grande del Belgio, un tribunale della Sharia.
Anche se il gruppo si sciolse volontariamente nel 2012, quando alcuni dei suoi leader finirono in carcere, le autorità belghe sostengono che esso abbia continuato a operare in clandestinità per reclutare e inviare jihadisti in Medio Oriente.
Il Belgio è la principale fonte dei jihadisti europei: si stima che circa 400 cittadini belgi siano partiti per unirsi ai gruppi che combattono in Siria e in Iraq. Di questi, secondo i procuratori federali belgi, circa il 10 per cento è stato reclutato dal movimento S4B.
Sedici dei 46 imputati sono accusati di essere i capi del gruppo salafita e rischiano fino a quindici anni di carcere, oltre al pagamento di ammende di 30.000 euro. Gli altri trenta sono accusati di essere membri del gruppo, e i loro capi d’imputazione prevedono misure di sicurezza e pene detentive che possono andare dai dodici mesi di libertà vigilata ai dieci anni di reclusione.
Solo nove degli accusati sono apparsi in tribunale, tutti gli altri si ritiene che siano ancora in Siria a combattere o che siano stati uccisi.
Il primo giorno del processo, iniziato il 29 settembre, i pubblici ministeri hanno raccontato alla Corte penale di Anversa come i membri del gruppo Sharia4Belgium approccino giovani uomini e donne per le strade di Anversa e Vilvoorde, una cittadina a nord di Bruxelles, e li invitino a partecipare a delle riunioni private ad Anversa.
Una volta arrivati ad Anversa, hanno spiegato i procuratori federali, le reclute vengono indottrinate all’ideologia jihadista attraverso studi intensivi e guidati del Corano e una prolungata propaganda della letteratura islamista. Dopo avergli fatto il “lavaggio di cervello” nella sottocultura dell’islamismo, i giovani vengono addestrati a diventare Syriëstrijder ossia “combattenti in Siria”.
“Le attività di Sharia4Belgium sono chiaramente finalizzate alla lotta violenta in Belgio e all’estero”, ha detto alla corte Luc Festraets, uno dei pubblici ministeri. “Altri gruppi religiosi devono essere minacciati e i regimi politici rovesciati”, egli ha aggiunto, riferendosi alla propaganda antioccidentale del gruppo salafita.
Secondo i procuratori federali, i membri di S4B vengono reclutati attraverso i social media, ma anche per mezzo dei cosiddetti “street dawah”. Il vocabolo dawah (che in arabo significa “invito” o “chiamata”) si riferisce all’attività di proselitismo, ossia invitare la gente ad abbracciare l’Islam. Sono sempre più i predicatori musulmani che fanno gli “street dawah” nei paesi e nelle città europee e sono un mezzo principale per attirare, convertire e reclutare i giovani “europei” all’Islam militante.
“I dawah sono uno strumento di reclutamento molto importante per Sharia4Belgium”, ha spiegato Festraets alla corte. “Ciò accade non solo ad Anversa ma anche a Vilvoorde. I giovani vengono indottrinati attraverso lezioni e conferenze sull’Islam radicale”.
I pubblici ministeri belgi ritengono che il leader supremo dell’organizzazione sia Fouad Belkacem, un 32enne islamista nato in Belgio e di origine marocchina che si fa chiamare anche Abu Imran. Pare che l’uomo sia vicino all’islamista britannico Anjem Choudary, e i procuratori federali sostengono che S4B in realtà sia stato ispirato dallo stesso Choudary dopo che quest’ultimo dichiarò che il suo gruppo, Sharia4UK, avrebbe dovuto essere clonato in altri paesi europei.
Anche se Belkacem non è accusato di essersi recato in Siria, i pubblici ministeri lo ritengono colpevole di essere un “catalizzatore”, incoraggiando altri a recarsi laggiù.
Gli avvocati dell’accusa hanno consegnato alla corte le conversazioni telefoniche registrate, così come i discorsi pubblici, i sermoni di strada e i video in cui Belkacem istigava alla violenza contro l’Occidente e diceva che diventare un jihadista è stato il più grande atto di sottomissione ad Allah.
“Belkacem è colui che ha diffuso l’ideologia del salafismo jihadista, anche attraverso i video, predicando l’odio e la violenza”. Festraets ha detto: “Nel corso delle irruzioni, la polizia ha rinvenuto il materiale di Belkacem e anche un testo che invocava la lotta armata. Egli ha un ruolo importante nel reclutamento e nell’indottrinamento dei giovani. L’obiettivo palese era quello di prepararli al combattimento armato”.
Festraets ha fatto riferimento ai raid condotti dalla polizia nell’aprile 2013 nelle abitazioni di 46 islamisti sospettati di essere legati al gruppo S4B. Le irruzioni ebbero luogo ad Anversa, Bruxelles e anche in un certo numero di città più piccole e sobborghi in un’operazione che coinvolse oltre 200 agenti.
Un altro procuratore federale, Ann Fransen, ha informato la corte della struttura organizzativa e del ruolo avuto da Belkacem di “leader indiscusso” del gruppo, che ha ripetutamente istigato i musulmani alla violenza contro i non musulmani. “Le parole di Belkacem”, ha detto la Fransen, “possono solo essere interpretate come un invito alla violenza e al jihad”.
Se fosse giudicato colpevole, Belkacem – che sta già scontando una condanna a due anni di reclusione per istigazione all’odio contro i non musulmani – rischierebbe altri 15 anni di carcere.
Inoltre, l’islamista rischia un’imputazione in relazione a un episodio risalente al giugno 2012, avvenuto nella zona di Sint-Jans-Molenbeek di Bruxelles, quando una ragazza convertitasi all’Islam di nome Stéphanie ruppe il naso e due denti a una poliziotta che cercava di farle rispettare il divieto belga dell’uso del burqa.
Il giorno seguente, nel corso di una conferenza stampa, Belkacem dichiarò di essere orgoglioso della donna musulmana – che aveva sfidato il divieto all’utilizzo del burqa che la copriva dalla testa ai piedi – e consigliò alla poliziotta di rivolgersi alla chirurgia estetica perché “alle donne occidentali piace presentarsi come oggetti di desiderio”.
Belkacem aggiunse che gli agenti di polizia che si scontrarono con la donna musulmana erano “arrabbiati come cani” ed erano dei “servi di Satana” che cercavano di “far guerra ai musulmani” ma che “non vinceranno mai in Belgio”. Egli disse inoltre di avere un messaggio per il governo belga:
“Se volete andare a finire all’inferno come tutti i miscredenti, questo è un problema vostro. Ma lasciateci vivere come vogliamo. Non abbiamo un briciolo di rispetto per voi, infedeli, né per il modo in cui vivete. La nostra religione e il nostro stile di vita sono superiori ai vostri”.

Un altro imputato nel processo al gruppo S4B è Jejoen Bontinck, un 19enne belga convertitosi all’Islam che i pubblici ministeri sostengono sia un membro del gruppo. Fu arrestato in Belgio nell’ottobre 2013, poco dopo essere rientrato in patria dopo sei mesi trascorsi in Siria come jihadista.
Bontinck, che è cresciuto in una famiglia cattolica, si è convertito all’Islam all’età di quindici anni quando si era infatuato di una ragazza del Marocco. Nel 2013, diciottenne, chiese ai genitori di potersi traferire al Cairo per studiare l’Islam. Poco dopo, però, venne fuori che Jejoen non si era recato in Egitto, ma in Siria.
Il padre di Bontinck, Dimitri, afferma di aver allertato le autorità belghe dopo aver scoperto che suo figlio era in Siria, ma di non aver fatto nulla a riguardo. “Mi hanno detto che non esiste nessuna legge che vieti a un bambino di essere membro di questa organizzazione [ossia al-Nusra, il gruppo jihadista sunnita]”, asserì Dimitri all’epoca. “È la libertà di parola. È la libertà di religione. È la libertà di organizzazione”, è ciò che gli dissero le autorità belghe.
Nel 2013, Dimitri fece notizia quando si recò in Siria – due volte – per cercare suo figlio. Dopo averlo finalmente trovato, lo riportò con sé in Belgio.
Il giovane Bontinck ha ammesso di essersi recato in Siria, ma come operatore umanitario, per consegnare forniture mediche e non come jihadista per fare esperienza di combattimenti. Jejoen sostiene inoltre di essere stato rapito in Siria da altri “compagni” del gruppo S4B. Questo ha procrastinato il suo rientro in Belgio, egli afferma, il che lo rende una vittima e non un colpevole.
Jejoen è ora un testimone chiave nel procedimento penale, pertanto è imputato e parte civile per il sequestro in Siria. Pare che abbia fornito informazioni sul funzionamento interno del gruppo Sharia4Belgium. Il ragazzo rischia quattro anni di carcere per aver partecipato ad attività terroristiche e il pagamento di un’ammenda di 6000 euro.

Un altro imputato chiave nel processo è Brian De Mulder, un 21enne belga che si è convertito all’Islam quando ancora frequentava il liceo, dove abbracciò il fondamentalismo islamico dopo aver sentito Fouad Belkacem predicare per le vie di Anversa. De Mulder partì per la Siria nel gennaio 2013.
Cresciuto in una famiglia cattolica ad Anversa, come figlio di una madre originaria del Brasile, De Mulder usa anche il nome di Abu Qasem Brazili. Nel 2013, parlò di lui la rivista Time che profilò il percorso che lo portò alla radicalizzazione.
De Mulder è ancora in Siria, ma sua madre e sua sorella erano presenti al processo di Anversa. Le due donne incolpano Belkacem di aver indottrinato Brian, trasformandolo da normale adolescente dal “cuore d’oro” a “un robot programmato”.
Dopo che i pubblici ministeri hanno esposto le loro ragioni nella causa contro Belkacem, la madre di Brian ha interrotto il processo, quando si è alzata e ha urlato: “Voglio che Belkacem, il signor Fouad Belkacem, vada all’inferno. Questo è tutto ciò che desidero. Ha rovinato la mia vita e la mia famiglia”.
Il processo va avanti.

 

Soeren Kern
traduzione di Angelita La Spada