area oc piemontese in letargo

Oggi scrivere qualcosa d’interessante sulla minoranza linguistica d’Oc cisalpina (provenzale o occitana) non è semplice. Certo, seguendo una traccia che non sia già stata analizzata, grattando il fondo del barile, potremmo trovare qualcosa di riciclato e restaurare la “scoperta” etnica, senza però farci illusioni d’essere usciti dal déjà vu.
Se dovessimo attualizzare l’occitanismo (il provenzalismo nelle valli è scomparso con Sergio Arneodo) non si saprebbe da dove iniziare poiché negli ultimi anni non è andato oltre la ripetizione monocorde di se stesso. I fronti opposti di ciò che è rimasto dell’ideologismo provenzalista e occitanista, sembrano essersi ritirati nelle riserve della Valle Grana e Varaita o nelle cosiddette valli valdesi in un etnismo di maniera.
I tempi delle dispute nominaliste sono finiti (si dirà: per fortuna), ma la mancanza di una dialettica tra le parti si colora di nostalgia. Anche le nuove teste pensanti autoctone delle valli d’Oc del sud Piemonte sono entrate a far parte della società liquida descritta dal sociologo Zygmunt Bauman, e nel segmento occitanista l’etnismo divenuto liquido si è trasformato nel folklorismo.
Resta una pregressa differenza tra le sfumature ideologiche oggi non più operanti: il provenzalismo poteva accampare l’alibi (sacrosanto) di essere stato ostracizzato in tutti i modi dalle istituzioni e trattato dalla politica culturale regionale piemontese come “figlio d’un dio minore”.
Per contro l’occitanismo associativo è stato generosamente compensato dalla legge 482/99, ma purtroppo gli autoctoni non hanno mai goduto della ricaduta di tale legge, poiché essa si è stata dimostrata funzionale solamente alle élite autoreferenziali nascoste nelle trincee intellettuali. Il risultato è che l’argine all’erosione linguistica da parte del piemontese, se non dell’italiano, è venuto meno e la legge nell’area d’Oc non ha funzionato.
Ghironde con i fazzoletti con la croce di Tolosa talvolta compaiono, esempi sbiaditi di ciò che fu la rinascita etno-linguistica, mentre il sogno di Sergio Arneodo del cantone sopra-frontaliero, eclissatosi poi nel lirismo, è divenuto inerzia creativa non sostenuta dall’ispirazione. 
La difficoltà degli operatori della cultura minoritaria si è quasi sempre scontrata con la ricerca del punto di mediazione tra passato e presente, ed è ovvio che l’area occitanica non poteva non soffrire di questa fisiologica difficoltà. Un tempo, l’associazionismo d’Oc operando in tempi storico-politici favorevoli, pur clonando la politica delle metropoli e le sue parole d’ordine, mantenne la vitalità culturale della forma linguistica autoctona. Al contrario le ultime generazioni, vivacchiando nello scarso interesse verso il proprio humus identitario, al massimo fanno qualche sortita colorata, a dimostrazione della loro esistenza in vita.
Per questo, leggendo le ultime righe di un articolo sul giornale “La Verità” del 19/2/2019, sul caso degli anarchici a Torino e sui No TAV della Valle Susa, con un riferimento all’Occitania confusa nel movimento antagonista, non sapevo se ridere o piangere.
Guardandomi bene dall’affrontare un’analisi sui “costi benefici del TAV” e sui movimenti anarchici, antagonisti trapiantati in montagna, ritengo che la presenza dell’occitanismo nelle manifestazioni di protesta politiche non vada al di là della mera iconografia essendo del tutto priva di contenuti politici.
Qualche bandiera occitana fa capolino nelle manifestazioni No TAV e in Francia, sugli Champs Elysees (annegata fra le bandiere francesi) a fianco dei Gillet Jaune, ma legare quell’iconografia alle lotte politiche non rende giustizia, sia alle lotte politiche, giuste o sbagliate che siano, e men che meno a ciò che da tempo è al tramonto della sua spinta culturale. Le sintonie culturali tra gli opposti versanti delle valli provenzali divisi dal confine politico, per anni strumentalizzate a favore di astrazioni, come nel caso della cosiddetta Occitania, si sono eclissate proprio sul terreno del consenso – idem sentire – verso la rivendicazione etnico-politica.
Quando la forza centripeta della sinistra europea (parlando d’Europa) che ha fagocitato talune minoranze etno-linguistiche pro domo sua (illudendole di essere gli anticorpi degli Stati nazionali) per controllare i propri bacini elettorali è caduta in disgrazia, essa ha smesso di attrarre i suoi satelliti trascinando nella brutta sorte i suoi vassalli.
Cosa verificatasi puntualmente con l’occitanismo che, nella vocazione culturale egemonica, ha fatto parte del pantheon culturale dell’area vetero-sinistroide, oggi retaggio residuale di un’ideologia sconfitta per sempre.