Continuiamo l’esame del quadro etnico dell’Italia settentrionale con un’analisi approfondita del peculiare mondo veneto: un territorio caratterizzato da una forte coscienza e ormai in grado e in diritto di decidere autonomamente del proprio destino.

Il mondo veneto si presenta relativamente più omogeneo di tutte le altre etnie dell’Italia settentrionale sia per l’origine peculiare rispetto al resto della Padania (illirica e non gallica), sia per la secolare autonomia della Repubblica di S. Marco, che è stata sempre improntata ad un controllo accentratore di Venezia. Tutto questo non significa che le autonomie cittadine e provinciali siano meno vive e pullulanti che altrove; vige però in tutte una forte coscienza etnica, la certezza cioè di appartenere, al di là delle varietà campanilistiche, ad una cultura regionale ben precisa, qualitativamente diversa rispetto a quelle delle regioni vicine.

La tradizionale geografia umana parla addirittura di Tre Venezie, a conferma del vasto raggio d’azione che la politica accentratrice di Venezia ha svolto in passato, ricalcando peraltro secondo alcuni la stessa geografia fisica (ci sarebbe un unico “individuo” dall’Adamello ai monti dell’Istria). Va subito demistificato questo concetto trinitario, frutto unicamente della fantasia teologica e dello strumentalismo di certi pur grandi geografi del passato. Il Trentino vero e proprio (media valle dell’Adige ed affluenti) è tanto poco veneto quanto è poco lombardo, cioè equidista dai due mondi per il fatto di essere la sede di un’etnia originale e dotata di piena identità. La cosiddetta Venezia Giulia appartiene ad un individuo fisico, quello carsico-isontino, estraneo alla pianura padano-veneta, e la popolazione che vi abita, se è vero che ha subito un forte condizionamento da parte della cultura veneta, si fa cionondimeno portavoce di una cultura autoctona, testimoniata a livello semiologico dalla stessa fonetica dialettale molto diversa da quella lagunare e di chiara influenza slava, nonché da uno stile di vita appartenente alla sfera mitteleuropea. L’istriana rappresenta un’ulteriore etnia, quella “istroromena” dei Cicci, mitica stirpe che lo Stato jugoslavo non ha rispettato più di tanto. Non ci sembra infine il caso di discutere attorno ai Friulani, la cui identità ladina, che è quanto di più lontano ci possa essere dalla mentalità veneziana, ha trovato ampiamente modo di essere riconosciuta e valorizzata.

Veneta sarà definibile soltanto quell’etnia che occupa il territorio posto grosso modo tra le Prealpi a nord-ovest, le Dolomiti a nord, l’alto corso del Piave e l’intero della Livenza a nord-est, il mar Adriatico (golfo di Venezia) a sudest, il Po a sud, il Tartaro a sud-ovest e il monte Baldo ad ovest. Particolarmente controversa risulta la collocazione della fascia confinaria con il Trentino. Veneto ci sembra l’intero bacino del fiume Astico, compreso l’altopiano di Lavarone (ma il centro di Luserna è cimbro); anche l’intera Valsugana ad est di Levico, amministrativamente trentina, appartiene all’area culturale veneta vicentina; Tesino, Castrozza e Primiero, valli tradizionalmente chiuse ed autarchiche, presentano tratti semiologici più feltrino-veneti che tridentini. Per quanto riguarda zone amministrativamente venete dove non prevale l’etnia veneta vanno menzionati: il Portogruarese (etnia mista veneto-friulana); il delta del Po meridionale (etnia mista veneto-emiliana); la riva orientale del Mincio e del Garda (etnia mista veneto- lombarda); il Cadore (etnia ladina). Per i motivi accennati all’inizio, i confini interni del Veneto appaiono tutto sommato piuttosto sfumati; si possono comunque riscontrare cinque aree sottoetniche: l’area veronese, l’area euganea, l’area feltrino-bellunese, quella trevigiana e quella veneziana. Ciascuna presenta propri caratteri distintivi, anche se nessuna potrà mai salire al rango di etnia autonoma. La sottoetnia veronese è la più aperta al resto dell’Italia e all’Europa, in virtù della sua posizione geografica (Verona è all’incrocio tra gli assi ferroviari e autostradali che collegano Italia e Germania, Francia e Balcani); marginale rispetto al Veneto centrale, presenta un codice linguistico privo degli elementi veneti più vistosi (come il rafforzamento della terza persona singolare dell’indicativo presente del verbo essere), intrattiene rapporti culturali con l’altra sponda del lago di Garda (“figlia di Brescia” la definiva un detto latino). La zona montuosa dei Lessini presenta una realtà autonoma (già nella struttura economica che s’impernia sulla estrazione del marmo locale, ma soprattutto riguardo ai generi di vita), con località alloglotte come Giazza, che si riallacciano alle comunità cimbre degli altopiani. La zona della bassa pianura appartiene all’universo centropadano, portatore di valori squisitamente rurali (Nogara, Cerea, Legnago, valli grandi veronesi). L’area della sottoetnia euganea è più vasta, va dalla Valsugana al Polesine. In Valsugana il dialetto vicentino antico resiste al trentino-atesino assieme ad imponenti tradizioni di cultura materiale. Sugli altopiani di Folgaria, Lavarone ed Asiago l’eredità vetero-tedesca (i coloni giunsero nel 1300 dalla Baviera ma forse erano originari della Sassonia) è ancora molto sentita e si parla cimbro a Luserna, Roana, Mezzaselva. L’area tessile pedemontana (Thiene, Schio, Valdagno) prelude alla civiltà urbana veneta di più lunga vita, ben testimoniata a Vicenza e a Padova. Quest’ultima sembra aver tolto a Venezia il primato culturale sul Veneto in seguito alla progressiva terrafermizzazione demografica iniziata nel ’300 e affermatasi definitivamente dopo l’unificazione d’Italia, ma in certe frange cittadine preoccupa ormai un tipo di comportamento nazional-standardizzato ed anonimo. I caratteri genuini dell’etnia vanno quindi ricercati nei paesi della campagna padovana, dove l’eticità cattolica è vissuta visceralmente, anche negli aspetti più torbidi (si pensi ai temi della letteratura veneta) ed il dialetto mantiene intatta la sua forza espressiva. Il Polesine infine testimonia la lotta secolare dei Veneti con l’acqua, fonte di morte; la vocazione emigratoria non ha pregiudicato l’identità della tradizione culturale, che ha sempre attinto alle forze primordiali della natura. Il Feltrino, che comprende l’area di Castrozza e Primiero, amministrativamente trentina, ed il Bellunese (esclusi Livinallonghese, Ampezzo e Cadore dove predomina la cultura ladina) rappresentano la civiltà veneta di montagna, con tutti i suoi problemi ecologici (chi potrà mai dimenticare la strage del Vajont?) collegati a quelli insediativi (il turismo tende a stravolgere l’originaria struttura abitativa delle valli). Anche qui la povertà ha giocato un ruolo importante, ma la coscienza etnica non è mai venuta meno. La sottoetnia della cosiddetta “Marca Trevigiana” conserva ancora una relativa autonomia culturale, frutto più della storia che della geografia, inquinata nella parte settentrionale dai ricordi legati alla prima guerra mondiale (Grappa, Montello, Vittorio Veneto) che sono sfruttati dai nazionalisti di oggi al pari di quelli di ieri per ribadire l’italianità più che la veneticità del territorio. Noi preferiamo esaltare le virtù dell’insalata trevigiana, che, vivaddio, non è fiorita grazie alla burocrazia statale, ma per la fertilità della terra e la laboriosità veneta. Per la sottoetnia veneziana bisogna chiaramente distinguere tra area veneziana di terraferma ed area veneziana lagunare. Di diverse origini e tradizioni culturali, la prima rischia ora l’asfissia materiale e morale (vedi Mestre e Marghera); Venezia, le isole e Chioggia risentono pesantemente della caricatura turistica e folcloristica che serve a mascherare abilmente i loro veri problemi. Non basta un megacarnevale a salvare Venezia, anzi rischia di relegare la città al rango di museo delle maschere. Le scelte politiche e culturali riguardanti la Serenissima vengono fatte ancora a Roma, dove ci si ispira ad un internazionale di bassa lega; ridiamo dunque Venezia ai Veneti, gli unici in grado, oltre che in diritto, di decidere il futuro migliore della loro capitale.