La Tunisia, il piccolo Stato del Nordafrica, confina a ovest con l’Algeria e a sud-est con la Libia, a nord e a est si affaccia sul mar Mediterraneo. Il suo nome, Tunus, ha origine dalla lingua berbera e significa promontorio, o più probabilmente “luogo in cui passare la notte”. La prima vera testimonianza di un insediamento umano è stata scoperta nella parte meridionale del Paese presso l’oasi di Kebili e si fa risalire a circa 200.000 anni fa.
I suoi primi abitanti noti furono tribù berbere.
La componente berbera – o, con termine più corretto, amazigh – ebbe storicamente un ruolo attivo nell’agricoltura, nell’artigianato e nel commercio. I discendenti degli imazighen hanno mantenuto inalterata o quasi la purezza della razza, rimanendo fedeli a tradizioni e culture vecchie di secoli.

Gli studiosi

Diversi studiosi e storici internazionali hanno affrontato la grande cultura berbera, e i loro lavori rappresentano per noi insostituibili punti di riferimento: Al-Bakrī, David Montgomery Hart, Ibn Khaldoun, Al-Hajjaj ben Yusef Ath-Thaqafy, Chaouki Dayf, Noam Chomsky, Jean-Michel Venture de Paradis, René Basset, Henri Basset, André Basset, Fernand Braudel; in Italia, Francesco Beguinot, che istituì la cattedra di berbero all’Istituto Orientale di Napoli (la sola tuttora esistente in Italia), Carlo Ottavio Castiglione, Pietro Bronzi, Alfredo Trombetti, Vermondo Brugnatelli, Anna Maria di Tolla.
In Tunisia, tra gli studiosi della cultura berbera si ricordano Mansour Ghaki, Abdelhamid Larguèche e il ricercatore Mostari Boukthir. Lo storico tunisino Mohamed Saad Chibani ha scritto un interessante libro suscitando accese polemiche: Tarikh ibadhiyat Tamazgha, ovvero “la storia di Tamazgha ibadita”, nel quale afferma che “ogni cittadino che vive in Tamazgha è sicuramente amazigh”. Il termine Tamazgha si riferisce al complesso di tutti i Paesi dove è parlata la lingua tamazight, cioè il berbero.

Autoctoni

Ai nostri giorni le popolazioni berbere sono suddivise in svariate tribù inserite nei vari contesti nazionali – tra i quali la Tunisia, il Marocco e il Maghreb algerino – dove soffrono il mancato riconoscimento della loro lingua e della loro cultura. L’orientalista e berberista italiano Francesco Beguinot scrive:

Guardando a tali vicende che mostrano come i Berberi solo per brevi periodi abbiano avuto loro stati indipendenti, mentre la più gran parte della loro storia è storia dei rapporti che essi ebbero coi popoli stranieri che li dominarono, si comprende come sia non troppo rispondente al vero il giudizio di Ibn Khaldūn, pur grande e acuto storico: “I Berberi sono stati sempre un popolo potente, formidabile, coraggioso e numeroso; un vero popolo come tanti altri in questo mondo, quali gli Arabi, i Persiani, i Greci e i Romani”.

Nonostante la popolazione tunisina sia principalmente di discendenza berbera, e pur essendo il patrimonio culturale berbero estremamente ricco e ancora presente nel territorio tunisino, oggigiorno sono rimasti in pochi a parlarne la lingua e a conservarne l’identità culturale. Vorremmo, qui, descrivere la situazione socioculturale degli imazighen in Tunisia e le crescenti difficoltà che incontrano in questo Paese.
Per cominciare, i berberi sono gli abitanti originari del Nordafrica. La parola in effetti deriva da “barbari” ed è stata coniata dagli invasori. Imazighen (al singolare amazigh) è invece il nome con cui essi preferiscono definirsi. 1)
Gli imazighen sono quindi le popolazioni autoctone di quei territori nordafricani (conosciuti con la denominazione di Tamazgha, corrispondente agli odierni Marocco, Algeria, Tunisia e Libia). Per una serie di motivi storici e ideologici, oggi tale nome è solitamente riservato solo a quanti, in Nordafrica, parlano ancora la lingua berbera tamazight.
Numerosi i personaggi di questa etnia passati alla storia: il faraone Sheshonq, re e regine come Massinissa, Jugurtha, Juba, Koceila, Takfarinas, Tin-Hinan, Dihya (Kāhina), nonché imperatori romani come Settimio Severo e Caracalla, colonne della della chiesa cattolica come San Cipriano e Sant’Agostino, oltre a illustri letterati berberi di lingua latina quali Tertulliano e Publio Terenzio Afro (famosa la frase di quest’ultimo nella commedia Heautontimorùmenos: “Sono un essere umano, niente di ciò ch’è umano ritengo estraneo a me”).

Il peggior nemico è l’arabizzazione

A partire dal VII secolo le tribù arabe colonizzarono la Tunisia, amalgamandosi alla locale popolazione berbera fino a farne scomparire quasi del tutto la presenza nella regione. In Tunisia, gli arabi giunsero in numero assai maggiore di quanto non fecero, per esempio, in Marocco, dove la comunità berbera rappresenta ancor oggi un elemento importante della popolazione.
Le pochissime tribù berbere che ancora vivono in Tunisia si concentrano specialmente nelle regioni meridionali, nella zona attorno all’abitato di Matmata, a sud di Gabès, dove si trovano i villaggi trogloditici berberi più famosi del Paese: Zeraoua (Gabès), Tamezret, Chenini, Douiret, Guermessa, Sned (Gafsa), Chébika, Tamerza, Midès (Tozeur), il villaggio Takrouna del Sahel, eccetera.
Gli imazighen riescono a conservare, attraverso i secoli, lingua e tradizioni nei loro villaggi arroccati. Come a Chenini e Douiret, dove si parla ancora berbero. A Guermessa i costumi sono sopravvissuti, ma la lingua è ormai caduta in disuso. 2)

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Il villaggio di Matmata.

Oggi l’idioma si mantiene soprattutto in zone montuose o desertiche, donde la fama dei berberi come popolazione assai rozza e primitiva… ma in realtà semplicemente isolata dai centri del potere.
Secondo lo studioso Brugnatelli, oggi i berberi (nel senso di “berberofoni”) sono non meno di una ventina di milioni. Mancano stime esatte in quanto la questione linguistica e identitaria è molto spinosa, e i vari Paesi non amano affrontarla nemmeno a livello di censimento.
Nonostante i lunghi secoli di dominio della lingua araba, oggigiorno gli imazighen sono ancora presenti in tutti i Paesi del Nordafrica. In Egitto, nell’oasi di Siwa (un tempo essi arrivavano fino ai rami occidentali del delta nilotico e nell’antichità ci furono addirittura dinastie di faraoni “libici”); in Libia, soprattutto nel Gebel Nefusa, vicino a Tripoli; in Tunisia, pochi villaggi nel sud e nell’isola di Jerba (dove la lingua berbera è sopravvissuta grazie alla presenza millenaria del culto ibadita). 
In Algeria i berberi rappresentano il 25-30% della popolazione, in Marocco forse la metà abbondante, in Mauritania sono poche decine di migliaia e così nelle aree sahariane abitate dai tuareg in Mali, Niger e Burkina Faso. Un tempo probabilmente parlavano berbero anche i guanci, la popolazione autoctona delle isole Canarie.
La lingua amazigh è ancora gran parte orale, conta su poche pubblicazioni e la maggior parte dei suoi locutori, compresi gli intellettuali, non la scrivono né la leggono, preferendo utilizzare l’arabo o il francese. Anche la letteratura berbera è in gran parte orale, per quanto esistano manoscritti in caratteri arabi risalenti anche all’XI secolo. Soltanto i tuareg, grazie alle loro donne, hanno tramandato la tradizione dell’antica scrittura berbera tifinagh, un alfabeto formato da numerosi segni geometrici.

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L’alfabeto tifinagh.

L’amazigh continua a essere minoritario, vulnerabile, destinato a una prossima estinzione in quanto non ammesso nelle scuole. In Tunisia questo idioma rimane una sorta di tabù, non gode di un status ufficiale né di un minimo riconoscimento, non essendo utilizzato dai mezzi di comunicazione nazionale. Al contrario, nel 2009 il Marocco e l’Algeria hanno avviato canali televisivi nazionali in amazigh, sebbene la programmazione rimanga scarna in confronto alla lingua araba e francese, con tempi di trasmissione estremamente ridotti. In Mali e Niger, malgrado il riconoscimento ufficiale quale parlata nazionale dei tuareg da decenni, insieme ad altre lingue africane, rimane emarginata e il suo insegnamento è quasi inesistente.
Ma nella realtà la lingua tunisina è fortemente influenzata dal berbero. Ci sono tante parole in derja (l’arabo della Tunisia) di origine amazigh come ad esempio:

fartattou  farfalla
allouch  montone
barra  fuori
chlaghem  baffi
babbouch  lumaca
barra, barraraouah!  vattene!
fakroun  tartaruga
ghounjeya  cucchiaio
kosksi/seksu amazigh  cous cous
guerjouma  gola
burnous  mantello

Osserva Vermondo Brugnatelli:

Nei paesi colonizzati dalla Francia (in particolare l’Algeria e la Tunisia, ma anche il Marocco), la forte e prolungata presenza di coloni e di un’amministrazione rigorosamente francofona ha introdotto, accanto all’arabo, una nuova lingua coloniale: il francese. Non pochi nordafricani, a disagio con l’arabo classico – vuoi perché di madrelingua berbera, vuoi perché abituati a parlare dialetti arabi assai diversi dal modello classico – hanno ripiegato sul francese come lingua di comunicazione (lingua che oltretutto schiudeva prospettive occupazionali nella stessa Francia metropolitana). Le lotte per l’indipendenza dei paesi del Maghreb sono state condotte all’insegna di un rifiuto della cultura coloniale europea, e per individuare un valido modello da contrapporre ad essa un grande accento è stato posto alla tradizione arabo-islamica. Per tale motivo, nell’intento di affermare questa identità arabo-islamica, appena raggiunta l’indipendenza tutti questi paesi si sono posti l’obiettivo dell’arabizzazione completa dell’amministrazione e del sistema scolastico, anche a livello universitario. Questa “arabizzazione” è stata imposta a volte in modo brutale, con militarizzazione delle scuole e un massiccio impiego di insegnanti di paesi arabi orientali, e se da una parte non sembra avere conseguito lo scopo di far regredire l’uso del francese, è d’altra parte servita come alibi per non consentire ai berberi di questi paesi un’istruzione nella loro lingua, “colpevolizzando”, e in qualche caso sanzionando penalmente, ogni comportamento linguistico “deviante” rispetto all’arabo classico. 1)

In questi anni di dominio, gli imazighen hanno mantenuto la loro identità, i loro usi e costumi e la loro lingua grazie alla concentrazione demografica in aree geografiche delimitate. Essi hanno sempre tradotto il proprio orgoglio di popolo in forti rivendicazioni di carattere culturale, chiedendo il riconoscimento della loro lingua e della cultura. Tuttavia, se nel Maghreb la Tunisia conta il minor numero di berberofoni, ha però il primato nella “folklorizzazione” del patrimonio amazigh: Matmata e le sue case troglodite, i tappeti berberi, il couscous berbero, la tenda berbera… Il tratto distintivo “berbero” appare come una garanzia di autenticità, il contrassegno del carattere locale, ancestrale, ma anche emblema di un passato destinato al consumo del turista.
Eppure il patrimonio amazigh appartiene comunque alla storia del Paese e rappresenta un aspetto, locale e relativo, del retaggio che contribuisce a creare il “mosaico” della Tunisia mediterranea e tollerante.

La repressione politica

Le autorità degli Stati maghrebini, siano re o presidenti, hanno sempre considerato le rivendicazioni berbere come una minaccia all’integrità dei loro Paesi, e questo ha provocato forti discriminazioni. In Tunisia, il presidente Habib Bourguiba durante il suo governo (1957-1987) ha lanciato una politica di “de-berberizzazione” che vietava di parlare o insegnare la lingua berbera nelle scuole, e addirittura di dare nomi berberi ai figli. L’ideologia nazionalista è così sfociata nel soffocamento repressivo di qualsiasi voce minoritaria: in nome dell’arabizzazione dello Stato, gli imazighen sono stati costretti a reprimere la loro identità. Il tamazight è stato bandito per decenni, cancellando gli antroponimi originali.
Sotto il regime di Ben Ali, dal 1987 al 2011, era addirittura vietato parlare tamazight. L’unico àmbito in cui era permesso accennare ai berberi era quello folkloristico, strumentalizzando le tradizioni e i tratti culturali imazighen al solo scopo di attirare i turisti.


Negli anni ‘70, iniziarono a formarsi vari gruppi musicali, come il gruppo “Imazighen” che comprendeva diversi artisti, e i loro canti erano dedicati al patrimonio amazigh. Un periodo in cui la Tunisia, ha conosciuto importanti iniziative portate avanti da storici, intellettuali e attivisti, i quali hanno dato anche un prezioso contributo alla conservazione dei siti archeologici berberi.
Dopo la rivoluzione del 14 gennaio 2011, il numero delle associazioni di tutela è raddoppiato grazie al clima di libertà che si respirava in Tunisia. Ora ne esistono parecchie che si occupano di temi precedentemente banditi, come il razzismo, la questione berbera, le minoranze.
Alcuni accademici della facoltà di Lettere della Manouba, a Tunisi, stanno riproponendo da qualche anno gli studi sui “patrimoni minoritari”, tra i quali appunto quello amazigh. Nel 1999, presso la facoltà venne creato un apposito laboratorio dedicato alle civiltà che si sono succedute o che hanno convissuto per oltre tre millenni sul suolo tunisino.
Numerosi attivisti tunisini collaborano con il Congresso Mondiale Amazigh, un’organizzazione non governativa fondata nel 1995 a Saint-Rome-de-Dolan, in Francia, che rappresenta le svariate associazioni culturali berbere sparse nel mondo e difende gli interessi e i diritti di tutti gli imazighen nei loro Paesi d’origine. In Tunisia si sono tenuti il sesto Congresso nel 2011 a Gerba; il settimo (2015) e l’ottavo (2018) a Tunisi.
Nel nostro Paese, la strada del riconoscimento della cultura e della lingua amazigh è ancora lunga. Yennayer, la festa di inizio anno degli imazighen, non è ancora riconosciuta come festività ufficiale. La comunità ha sofferto una sistematica emarginazione e ci sono stati tentativi di seppellire la vera storia di questo popolo millenario.
La cultura amazigh è parte integrante della nostra identità tunisina: il suo riconoscimento non deve rimanere lettera morta, e anche il tamazight scritto con i suoi caratteri tifinagh deve essere integrato nel sistema educativo nazionale e nei programmi di istruzione. Tra le giuste rivendicazioni, anche la creazione di un istituto nazionale amazigh dedicato alla ricerca storica, culturale e linguistica, un obiettivo fondamentale al fine di trasmettere l’eredità berbera alle generazioni future.

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N O T E

1) Il linguista, saggista e docente universitario Vermondo Brugnatelli, considerato fra i massimi studiosi contemporanei della lingua berbera, scrive:
Su di un vasto territorio del Nordafrica compreso tra il Mediterraneo e i margini meridionali del Sahara, tra i confini occidentali dell’Egitto e l’Oceano Atlantico, è tuttora diffusa quella lingua che prima i Greci e poi i Romani, quando colonizzarono l’Africa nell’antichità, definirono lingua dei “Barbari” (si sa che per i Greci erano βαρβαροι “balbuzienti” tutti coloro che non parlavano il greco; analogamente i Romani chiamavano Barbari i popoli che non parlavano né latino né greco). Quando gli Arabi conquistarono il Nordafrica, nel VII secolo dopo Cristo, adottarono anch’essi il termine barbar per designare gli autoctoni (e barbariyah la loro lingua), suggestionati, forse, dall’assonanza col vocabolo arabo barbarah “grida inintelligibili”. In età moderna, gli Europei hanno ripreso dall’arabo i termini “Berberi” per il popolo e “berbera” per la lingua (che il tramite sia l’arabo lo rivela la vocalizzazione diversa rispetto al Barbari latino: in arabo la a è di norma anteriore ed ha una pronuncia simile a [æ]; l’italiano, poi deve avere preso questi termini in tempi recenti dal francese: assai più antica è la denominazione Bàrberi per il popolo e Barberia per il Maghreb). Quanto ai Berberi, ovviamente essi non chiamano se stessi “barbari”, né “barbara” la propria lingua (e non amano neppure sentirsi così denominare). Fino a qualche decennio fa mancava in essi la consapevolezza di fare parte di una comunità linguistica estesa in tutto il Nordafrica, e in ogni regione i berberofoni tendevano a distinguersi dagli Arabi circostanti con una propria denominazione regionale o locale, senza che vi fosse un termine autoctono che intendesse riferirsi all’insieme dei Berberi. Il termine più diffuso per designarsi, in regioni anche assai distanti tra loro era imaziyen (sg. amaziy), il cui significato principale (per i Tuareg) era quello di “uomini liberi”. E nel clima di riscoperta della propria specificità linguistica e culturale, in atto da alcuni decenni presso numerosi gruppi berberofoni, la denominazione di “liberi” per il popolo e di “lingua dei liberi” (tamaziyt) per l’idioma è stata orgogliosamente accolta come neologismo anche da quei gruppi che, come i Cabili dell’Algeria, non conoscevano (più?) tali termini. E non mancano oggi quelli che, parlando in francese, preferiscono sostituire il termine “berbérophones” con “amazighophones”. Su questa base è stato poi anche coniato il termine Tamazya per indicare il Nordafrica berbero, il paese degli Imaziyen senza ricorrere al termine Maghreb (l’ “occidente” islamico), che contiene un riferimento al mondo arabo-islamico e non a quello berbero. Col termine “Berberi” si fa riferimento oggi a quegli abitanti del Nordafrica che ancora parlano berbero, anche se da un punto di vista etnico e culturale, anche la quasi totalità di coloro che oggi in Nordafrica parlano arabo andrebbero più correttamente considerati “Berberi arabizzati” piuttosto che “Arabi” tout-court.
Da Il Nordafrica e i Nordafricani.
2) Simoné Mirulla, Rumi più unico che raro.
3) Da I Berberi – Elementi di Storia, Lingua e Letteratura.

Bibliografia
Beguinot F., Chi sono i berberi, Rivista mensile Oriente Moderno num. Anno.I, nn. 4, 5, Roma-Istituto per l’Oriente, 1921.
Brugnatelli V., I berberi-Elementi di Storia, Lingua e Letteratura, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2006.
Brugnatelli V., Il Nordafrica e i Nordafricani, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2010.
Brugnatelli V., Non solo Arabi: le radici berbere nel nuovo Nordafrica, in Parte III Imazighen: Una Primavera Berbera, Limes Rivista Italiana di Geopolitica, 25.10.2011.
Chater K., La question amazighe en Tunisie, in, AWAL, n°19, 1999.
Mirulla S., Rumi più unico che raro, Author House, 2014.
Yves Modéran, Les Maures et l’Afrique romaine (IVe-VIIe siècle): Chapitre 17. Ibn Khaldûn et le dualisme berbère, Ed. L’École française de Rome, 2003.

Sitografia
Beguinot F., Berberi, Enciclopedia italiana (1930), Treccani.it
Civiltà Nafusi: i Berberi del Jebel Nafusa, in, www.wadi-adrar.org
Le Congrès Mondial Amazigh en bref, www.congres-mondial-amazigh.org
Mellakh H., Au colloque de Paris (22-23 avril 2016): Le patrimoine tunisien dans tous ses états, in Leaders, 29.04.2016, www.leaders.com.tn
Mouffok O., Afus deg ufus, taâkemt ad tifsus Tlaxcala si apre alla lingua amazigh (berbero), trad. Alba Canelli, ed. Fausto Giudice, pubbl. il 02.12.2010, in www.tlaxcala-int.org
Non “barbari”, ma uomini liberi, in, www.sottosopramag.com
Pouessel S., Tunisia. I primi passi della rinascita amazigh, traduzione a cura di Osservatorioiraq.it, Premiers pas d’une “renaissance” amazighe en Tunisie. Entre pression panamazighe, réalités locales et gouvernement islamiste, Le Carnet de l’IRMC.