In questo periodo operatori turistici, agenzie immobiliari e “scrittori di montagna” nostrani – talvolta con il supporto di qualche noto alpinista – sembrano tutti indaffarati a spremere quanto resta di natura nell’immaginario collettivo. Svendendola con enfasi (la suddetta natura) un tanto al chilo, infiocchettata con retorica da quattro soldi. Naturalmente a scapito dell’ambiente naturale, del paesaggio e della biodiversità, ulteriormente invasi e saccheggiati dalle orde in libera uscita.
Enfaticamente vengono pubblicizzate sia l’opportunità di poter finalmente “respirare” tra le vette (ma a pagamento), sia la “libertà” di un pezzetto di spiaggia incontaminata (ma solo per chi se lo può permettere, ovvio).
Produttori di suv e simil-fuoristrada assortiti (magari elettrici, ma sempre invadenti e ingombranti) non trovano di meglio che propagandarli mentre scorrazzano tra ghiaioni e torrenti dolomitici.
Con la natura ridotta a scenario dell’arroganza antropocentrica.
Dal canto loro gli imbottigliatori di acqua minerale – sempre riciclando immagini alpestri – si travestono da ambientalisti anche propagandando la solita plastica (ma almeno in montagna andarci con la borraccia, no?!?). Merce e spettacolo. Bisogno vitale di natura dirottato su ulteriore consumismo, devastante per gli ecosistemi (alpini, ma non solo).
Altrove invece c’è ancora chi dell’ecologia conserva un’idea seria, nobile, autentica. Non mercificata. In Bakur (Kurdistan del Nord) per esempio.
Anche quest’anno, nei territori curdi sotto l’amministrazione-occupazione turca gli incendi sono stati numerosi e devastanti. Da decenni del resto rientrano nella strategia militare con cui Ankara combatte la popolazione curda. Ne ha parlato recentemente Vahap Isikli, portavoce dell’Alleanza per la protezione dei giardini storici di Hevsel in Amed (Diyarbakir). Ha spiegato che mentre nelle regioni occidentali della Turchia le foreste vengono distrutte per pure e semplici ragioni di profitto economico, in Bakur la distruzione deriva da una vera e propria strategia militare messa in campo dallo Stato turco.
Il mese prescelto per far scoppiare i primi incendi dolosi è generalmente giugno. Poi dopo qualche giorno il fuoco, debitamente appiccato, riprende la sua rabbiosa azione distruttiva nei confronti dell’ambiente. E senza alcun intervento per impedirlo o almeno limitarne i danni. Le autorità, quando vengono allertate, rispondono di non avere acqua e mezzi a disposizione. E ciò avviene regolarmente a Nusaybin come a Cudi, Gabar, Besta, Lice, Dersim… Nessuna località viene risparmiata.
Gli incendi, in genere, sono propedeutici agli attacchi dell’esercito turco mentre successivamente nelle aree bruciate sorgono avamposti militari. A causare ulteriore e pesante impatto ambientale, la costruzione di dighe e centrali elettriche. Ovviamente – sottolineava il militante ambientalista curdo – “negli incendi delle foreste muoiono anche migliaia, milioni di animali selvatici con le conseguenze ben immaginabili per gli ecosistemi”.
Secondo Vahap Isikli, “la distruzione dell’ambiente favorisce l’insorgere di focolai di malattie infettive” aumentando il rischio di pandemie (come nel caso del corona-virus). Infatti “le foreste forniscono una protezione”. Purtroppo la questione non sembra impensierire più di tanto l’opinione pubblica e gli stessi ecologisti turchi che si impegnano soprattutto per salvaguardare le montagne dell’ovest come i monti Ida.
Si ha l’impressione – fondata – che in Bakur lo Stato turco possa agire impunemente come un saccheggiatore seriale nei confronti delle risorse naturali (oltre che, ovviamente, della popolazione curda).

difesa della terra in Bakur
Hasankeyf, quando ancora esisisteva.

Non solo nel caso delle foreste, ma anche dell’acqua. Dopo che l’antica città di Hasankeyf era stata sommersa – e sempre nell’àmbito del progetto GAP – Ankara ha deciso di occuparsi, a scopo di lucro, anche delle sorgenti sacre degli Aleviti a Munzur (distretto di Ovacik, Dersim) affidando la realizzazione del progetto di “valorizzazione” turistica (l’accesso sarà a pagamento) al FKA (Agenzia per lo sviluppo di Firat). Progetto da 800 milioni di lire che nel 2019 era stato – maldestramente e infelicemente – approvato dal consiglio regionale di conservazione del patrimonio culturale di Erzurum (consiglio sottoposto al governatorato di Tunceli). Senza aver mai consultato le municipalità, le organizzazioni della società civile e tantomeno la popolazione.
Infischiandosene delle indignate proteste degli abitanti che comunque sembrano intenzionati a opporsi attivamente.
Per gli abitanti di Dersim la questione va ben oltre quella – comunque non secondaria – del rifornimento idrico: infatti nel corso dei secoli il paesaggio fluviale e collinare del Munzur ha assunto un grande valore simbolico, oltre che affettivo, culturale e storico. Per gli Aleviti in particolare il Munzur è un luogo sacro collegato alle tradizioni, leggende e mitologie locali.