L’Europa dà altri tre miliardi ad Ankara mentre il nuovo “Sultano” cerca di annientare il popolo che più ha combattuto lo Stato islamico.


È la banalità dell’Erdogan, una fatalistica indifferenza occidentale a sempre nuovi accadimenti che ormai accettiamo con rassegnazione meteorologica: piove, nevica, c’è il sole, e la Turchia intanto prende pezzi della Siria. Che tempi, signora mia Europa e signora mia America, compagne di canasta e di Nato, ombrello che fìnge di proteggere un’alleanza anche da se stessa, da una Turchia che fa precisamente tutto quello che vuole con ricatti diplomatici e militari. E noi lì, a guardare, come se la Turchia fosse uno staterello lontano e non bussassse instentemente alle nostre porte con rancori secolari mai sopiti, un altezzoso neo stato “forte” che ha abrogato la democrazia in venti minuti e blocca le nostre petroliere nei dintorni di Cipro, un’autentica minaccia islamica anche se a nessuna cancelleria europea sembra fregare niente, al pari di un pacifismo pronto a ridestarsi solo se a invadere uno scoglio in mezzo al mare dovessero essere gli Stati Uniti.
Eppure Erdogan è riuscito a chiamarla “Ramoscello d’ulivo”, l’operazione terrestre e aerea per schiacciare i ribelli anti Assad: così ha preso il controllo di Afrin, nel Nord della Siria, una pessima notizia per i suoi nemici curdi asserragliati a centinaia di migliaia nei pochi quartieri che non sono stati distrutti dai raid degli ultimi due mesi: non si sono arresi, ma si sono ritirati per evitare un assedio che non avrebbe avuto storia. Non tutti: solo un terzo delle persone intrappolate in città ha potuto abbandonare Afrin, ossia 150mila tra coloro che erano scampati al massacro di migliaia di vittime – soprattutto donne e bambini – che Erdogan ha fatto fuori dall’inizio dell’anno e che erano state accolte da un diplomatico “chissenefrega” occidentale, sordo agli appelli curdi circa il coinvolgimento dei civili. Parliamo di curdi che hanno combattuto vittoriosamente l’Isis assieme all’Occidente, e che ora sono decimati da un satrapo che nello stesso occidente (europeo) dice di voler entrare.

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Nel silenzio

Assurdo, ma è la banalità dell’Erdogan. L’Occidente elogiò la resistenza curda e benedisse quella regione, Rojava, rimessa in piedi con fondamenti di democrazia e centralità del ruolo della donna: ora è arrivato Erdogan e sta facendo una strage silenziosa, è arrivato lo stesso signore che ha creato un regime autoritario in Turchia che incarcera giornalisti, scrittori, avvocati e dissidenti. Uno che pensa di introdurre la sharia e intanto bussa all’Europa. E fa parte della Nato. Insomma, è tutto sempre piìi assurdo ma la banalità dell’Erdogan è proprio questa, gocce di veleno quotidiano che il nostro corpaccione buonista ormai neppure avverte più. Eppure quello di Erdogan è e resta, come per gli armeni, solo un sostanziale odio etnico: gli interessa anzitutto limitare ogni potere dei curdi e creare un cuscinetto territoriale che li tenga lontani dai suoi confini. Così gli eserciti appoggiati dai turchi sono entrati ad Afrin distruggendo e saccheggiando. La Russia applaude, nonostante i curdi risultassero loro “amici” sino a pochissimo tempo fa. Ci sono alleanze che saltano o si creano ogni giorno, mentre una sola resta la certezza di fondo: l’avversione della Turchia per i curdi, visti come una minaccia alla sicurezza nazionale al pari di qualsiasi partito, tipo il Pkk, che anche all’interno della Turchia abbia vanamente cercato di rappresentarli.

Solito ricatto

Finita qui? Non ci crede nessuno. È da mesi che Erdogan (anzi: Recep Tayyip Erdogan, i giornalisti negli ultimi mesi ne hanno imparato giusto il nome, e si compiacciono molto di scriverlo per intero) e insomma è da mesi che il satrapo, Erdogan, minaccia interventi anche contro Manbij, città 50 chilometri a sud del confine con la Turchia e retta da una coalizione di arabi e soprattutto curdi che combattono contro l’Isis, gente appoggiata dagli Stati Uniti. Se Erdogan attaccasse Manbij, insomma, gli americani dovrebbero scegliere l’alleato da sacrificare: un classico ricatto alla Erdogan. Ciò che da noi è la banalità dell’Erdogan, il compenso, altrove è mera strategia: sinché la Turchia non disturba Assad, Putin non avrà niente da ridire: anzi, è tutta roba buona che avvicinerà la Turchia alla Russia e l’allontanerà da quella Nato a cui ancora incredibilmente appartiene. Una Nato dolosamente impotente, del resto: resta a guardare il massacro dei curdi dopo che, pure, hanno fatto la maggior parte del lavoro contro l’Isis. E che dicono, mentre guardano? Come i russi, dicono che comunque è in atto una “deescalation” del conflitto. Urrà. Una deescalation dove i militari di Erdogan impediscono ai civili curdi di spostarsi verso le zone sicure di Aleppo o in altre aree della Siria. Una deescalation che mantiene una media di 37 morti al giorno nell’ottavo anno di guerra siriana, e dove le organizzazioni non governative denunciano che i militari turchi impediscono alla popolazione di accedere agli aiuti umanitari: più di due milioni di persone (un milione sono bambini) vivono ancora in zone irraggiungibili o assediate, senza la possibilità di ricevere assistenza, cibo e medicine. Metà della popolazione non ha più una casa. L’aspettativa di vita è passata dai 70 ai 55 anni. La media è sicuramente destinata a scendere, viste le ultime campagne di bombardamenti e le devastazioni del 2018. Chissà se Erdogan, in visita a Roma nel febbraio scorso, ha parlato di queste cose con Paolo Gentiioni. Chissà se l’ha fatto col Papa, in Vaticano, il giorno dopo. Ma soprattutto: chissà a chi importa. “Questo è l’angelo della pace che strangola il demone della guerra”, aveva detto Erdogan al Papa nel regalargli un medaglione. Intanto, a lui, la comunità europea regalava altri 3 miliardi più o meno nel secondo anniversario dell’accordo Ue-Turchia sui migranti. Una scimitarra nel burro.

 

Filippo Facci, “Libero”.