La corte polacca ha perfettamente ragione (ma per capirlo serve un cervello)

A commento del conflitto giuridico tra la Corte costituzionale della Polonia e la Corte di giustizia europea, pochi giorni fa Enrico Letta, segretario del Pd, ha lanciato un tweet in inglese, comprensibile anche senza traduzione: “The Polish Constitutional Court statement seems a Polexit de facto. It is not just folklore”. Un giudizio perfettamente allineato con i vertici dell’Unione Europea, in testa Ursula von der Leyen. i quali considerano la normativa UE prevalente sulle leggi e sulle costituzioni nazionali, e per questo hanno attribuito il significato di una Polexit alla recente sentenza con cui la Corte costituzionale polacca ha affermato l’esatto contrario: le norme UE sono vincolanti soltanto per le materie su cui gli Stati membri hanno delegato a Bruxelles i loro poteri, ma non sono affatto vincolanti per le costituzioni nazionali, tantomeno per le materie su cui i singoli Stati non hanno mai delegato la loro sovranità all’UE, quali sono, nel caso polacco, le norme per la nomina dei magistrati.
In Italia, tranne poche eccezioni, la maggior parte dei commenti politici ha fatto proprie la tesi di Bruxelles e di Letta. Idem i giomaloni (bastava leggere ieri mattina l’editoriale del Corriere della Sera), scandalizzati dal cosiddetto “sovranismo polacco”, ormai associato stabilmente al “sovranismo ungherese”, perciò da condannare, a prescindere dall’esame di merito dei singoli casi.
Tutt’altra musica in Germania, dove i media più autorevoli mostrano da sempre una maggiore conoscenza dei trattati europei e dei loro limiti, denunciati più volte dalla Corte costituzionale tedesca. Non solo. Per i giornali tedeschi l’ipotesi di una Polexit va stroncata sul nascere, poiché, se attuata, sarebbe una sciagura per l’economia della Germania. In proposito, il quotidiano economico Handelsblatt ha scritto: “L’uscita della Polonia dalla UE sarebbe ancora più disastrosa della Brexit, perché le aziende polacche sono molto più strettamente integrate nelle catene di approvvigionamento europee rispetto alle aziende inglesi”. Un allarme che DWN (Deutsche Wirtschafts Nachrichten), giornale online tedesco di proprietà svedese, ha condiviso descrivendo gli stretti legami, settore per settore, tra l’industria della Germania e quella polacca, sua principale subfornitrice.
Il primo settore, ovviamente, è quello dell’auto: “La Polonia è uno dei paesi più importanti al mondo per Volkswagen e altri produttori intemazionali. Il gruppo con sede a Volksburg è uno dei maggiori investitori tedeschi, ha diversi stabilimenti in Polonia e una fitta rete di rivenditori. La Polonia è una seconda casa per Volkswagen in Europa”. Giudizio che il giornale rafforza con una messe di dati sull’import-export tra Germania e Polonia non solo nell’auto, ma anche nell’ingegneria meccanica, nei prodotti agricoli e nell’industria del mobile, dove quella polacca è la terza nel mondo. Con queste premesse, sarà molto difficile che i media tedeschi si schierino a favore di una cacciata della Polonia dall’UE.
Lo stesso discorso vale per i leader politici, soprattutto conservatori e liberali, che a Berlino hanno condiviso le sentenze con cui la corte costituzionale di Karlsruhe ha più volte dichiarato incompatibile con la costituzione tedesca il Quantitative easing della Bce. E in quei casi nessuno, in Europa, si è mai sognato di parlare di “Germanexit de facto”. Idem quando anche la Corte costituzionale italiana ha sentenziato in netto dissenso con la Corte di giustizia europea, come hanno ricordato pochissimi giuristi italiani, non più di tre, i quali, dopo un esame di merito, hanno dato ragione alla Corte polacca invece che alla Commissione UE.
Su Atlanticoquotidiano.it, Rocco Todero, dopo essersi dichiarato europeista, ricorda che il “nazionalismo giuridico” in Europa non lo ha inventato la Polonia: “Recentemente un caso ha coinvolto la Corte costituzionale italiana, che ha ammonito la Corte di giustizia europea sull’impossibilità di dare prevalenza al diritto europeo quando questo viola i principi della Costituzione repubblicana”. In tale caso (sentenza Taricco), la Corte UE pretendeva l’applicazione retroattiva di una norma penale. Un errore marchiano, corretto grazie alla Consulta. Lo stesso Todero precisa: “L’UE si regge su cessioni parziali di sovranità da parte degli Stati nazionali; si tratta di cessioni settoriali e revocabili in qualsiasi momento. Se la cessione fosse totale e definitiva, non esisterebbero più gli Stati nazionali europei come li conosciamo oggi. Esisterebbero gli Stati Uniti d’Europa”.
Ben più tagliente, sullo stesso sito, il giudizio di Musso: “La Corte polacca difende i trattati dalle forzature di Bruxelles. In contrasto con la Costituzione polacca non sono i quattro articoli dei Trattati citati nella sentenza, bensì l’interpretazione che a Bruxelles e Lussemburgo viene data a tali articoli. Di Polexit si potrebbe parlare se la Corte polacca li avesse dichiarati non applicabili, mentre in realtà ne ha dato un’interpretazione letterale. Quindi non c’è alcuna Polexit, anzi la Polonia starebbe difendendo i Trattati dai tentativi della Commissione UE di usurpare poteri che non le spettano”.
Giudizio condiviso dal costituzionalista Alessandro Mangia che, intervistato da La Verità, con un chiaro riferimento ai contrasti UE-Varsavia su stato di diritto, Lgbtq+, giustizia e al recente blocco dei fondi del Recovery Pian, conclude: “La Commissione UE viola i trattati pur di punire la Polonia. I conflitti costituzionali sono sempre questione di soldi. Il Regolamento 2022-29 si fonda sull’interesse finanziario UE ed è stato creato ad hoc per condizionare i trasferimenti finanziari ai desiderata di Bruxelles. O fai quello che diciamo noi, o niente soldi. Che è la logica del Recovery fund. Niente di nuovo”.

Tino Oldani, “Italia Oggi”.