Qualcuno dovrebbe dire ai terroristi dell’Eta quanto male hanno fatto al popolo basco e alla causa dell’indipendentismo. Ma sarebbe fiato sprecato, perché costoro stanno all’indipendentismo come gli integralisti algerini stanno alla religione. Soltanto una razzaccia come i neofascisti italiani può strumentalizzare il turpe omicidio del consigliere, mettendo in guardia contro i pericoli della secessione (ovviamente padana), troppo facile ribattere loro che se gli indipendentisti in Europa hanno fatto qualche centinaio di vittime, il centralismo ne ha sulla coscienza decine di milioni. Ma, appunto, sarebbe un inutile dispendio di energie perché se i “patrioti” dell’Eta hanno a che fare con un’etnia, è quella trasversale che in tutto il mondo accomuna i combattenti dell’Ira, i talebani dell’Afghanistan. gli ultrà del Liverpool, i lanciatori di pietre di Voghera, i pulitori etnici della Serbia, i serial killer americani.
Erich Fromm ci aveva messo in guardia contro questa subumanità che, in incognito, siede di fianco a noi sulla metropolitana o ci sfiora lungo i marciapiedi. Forse una persona su tre, diceva il vecchio studioso, cova tendenze necrofile e distruttive. Piccoli tumori maligni di un organismo il quale, unico in natura, produce astrofisici e bombaroli baschi, medici che rischiano la vita in Africa e stupratori di bambine bosniache.
Non stiamo inneggiando alla nonviolenza. Pur con immenso rispetto per chi ne ha fatto un modello di vita, sappiamo che a volte bisogna combattere. La nonviolenza è un metodo dimostrativo, ossia si basa sugli scrupoli dell’avversario e sulla solidarietà dell’opinione pubblica esterna. Ma se il trucco ha funzionato con gli inglesi in India, non sarebbe servito a nulla contro Hitler o Pinochet. E oggi non esisterebbe più un bosniaco vivente. Se l’avversario appartiene a quel terzo tumorale di cui parla Fromm, o tu uccidi lui o lui uccide te.
Un Uomo (maschio o femmina) con la maiuscola lo sa bene, ed è pronto a usare la forza per difendere la propria famiglia e la propria terra, la propria libertà e la propria cultura. Una pallottola è, fisicamente, sempre e solo un cilindro di piombo; ma può avere dentro di sé una delle due grandi pulsioni umane: la biofilia e la necrofilia. Può punire, in un momento di rabbia incontrollata, il maniaco sorpreso a torturare un bambino (aggressività), oppure colpire il passante per puro divertimento (distruttività).
Un Uomo che imbraccia il mitra e con i suoi compagni combatte un oppressore, non lo fa per amore della violenza ma per il motivo diametralmente opposto. Lo fa perché dalla violenza è nauseato, ed è costretto a reagire per porvi fine.
Un Uomo che a malincuore è costretto a combattere uno stato violento e oppressore, non calcola freddamente quante donne e bambini riuscirà a sventrare in un supermarket: si infila una tuta mimetica e spara missili anticarro contro i blindati governativi, mettendo in gioco la propria vita e badando bene che nei dintorni non ci sia qualche innocente a rischio di rimanere ferito dalle schegge.
Giustamente il popolo di Euskadi ha sfilato contro i terroristi. Giustamente ha deciso che la libertà gestita in un futuro da un pugno di psicopatici non sarebbe stata libertà. E siamo quasi certi che i “separatisti” dell’Eta o dell’Ira non aspirino per nulla alla liberazione del loro popolo, la quale li priverebbe dell’immenso piacere di confezionare ordigni e sistemarli in un luogo affollato. Piccoli ignobili vermi vigliacchi che, potete scommetterci, quando le cose al loro paese si saranno risolte finiranno a ingrossare le fila della malavita o a strangolare le prostitute.
Quanto a noi difensori dell’indipendentismo, nulla ci indurrà a considerare costoro “compagni che sbagliano”. Al massimo riterremo tali quei còrsi che fanno cortesemente accomodare gli ospiti ai margini del villaggio turistico prima di farlo saltare in aria. Ma per il resto siamo perfettamente consci della grande “moralità” insita nella nostra lotta e nel nostro essere uomini. E di moralità dell’indipendentismo bisognerà una buona volta parlarne, noi che si vive in uno Stato in cui tutti valori sembrano capovolti. Come per la società fascista i dissidenti e i democratici erano criminali, oggi chi parla di autonomia e autodeterminazione viene additato al pubblico disprezzo. Eppure si tratta di persone che si battono per ideali che sono da sempre e in tutte le società umane lodati e ammirati: il desiderio di essere liberi, di contare nella propria comunità, di difendere il proprio lavoro, di salvare la tradizione e la cultura che altri vogliono distruggere, di ripararsi dalla sopraffazione e dalla criminalità. Fa un certo effetto pensare che un cittadino che lavora, che non ruberebbe un soldo, che soprattutto non farebbe male a una mosca, venga considerato un asociale perché indipendentista; e proprio da quei megafoni viventi che prima o poi finiscono indagati per qualche reato. Come ha scritto qualcuno, “i richiami all’unità della patria sono l’ultimo rifugio del mascalzone”.
Qui non si tratta più di dissidi politici. Qui siamo all’assurdo. Buoi che danno dei cornuti agli asini. Cafoni che seminano accuse di ignoranza. Taccheggiatori che danno lezioni di legalità a chi la legalità ce l’ha nei cromosomi.
Quegli otto o nove bischeri del Campanile, senza saperlo. hanno mostrato l’anima dell’indipendentismo. Lungi dal voler fare male a qualcuno, avrebbero potuto far saltare qualche simbolo del potere italiano, che so, una statua di Garibaldi. Sarebbe stato comunque un gesto dimostrativo. Ma no, sono andati a racimolarsi anni di galera pur di fare le cose a viso aperto. Il loro innato concetto della legalità si è materializzato, farsescamente, in una serie di emblemi lontani le mille miglia dal terrorismo bombarolista: hanno pagato il biglietto del piroscafo, come un trasporto speciale dell’esercito pagherebbe l’autostrada; hanno trasformato un arnese agricolo in un simulacro di blindato, scimmiottando i veicoli veri; hanno indossato una specie di divisa e sventolato un vessillo; hanno parlato di “governo” e di “ambasciatore”, il tutto in mezzo a una delle piazze più famose del mondo.
Lo Stato italiano ha fatto benissimo a infliggere loro una pena severa. Ha fatto il suo mestiere, che è quello di difendere con le unghie e con i denti il possesso di territori che non dovrebbero essere suoi. Ed è inutile indignarsi, come s’indignano alcuni ingenui cittadini padani, se costoro si sono buscati fior di condanne a tempo di record mentre decine di camorristi sono stati scarcerati perché nessuno ha trovato il tempo di processarli. Si colpiscono i nemici, mica gli amici. Un establishment che fa dell’illegalità e del crimine il proprio stile di vita non teme un gruppo di tagliagole; teme la legalità innata, la sfida, il viso aperto. L’Eta, qui, avrebbe vita più facile di un pugno d’innocui meccanici veneti. I suoi coraggiosi combattenti verrebbero equiparati ai brigatisti e scarcerati con una pacca sulle spalle. Ai bischeri del campanile, invece, resta solo da sperare che un nuovo Stato arrivi a liberarli.