I frisoni sono i discendenti di un’antica popolazione germanica che in epoca pre-romana si era insediata nell’area costiera a sud-est del Mare del Nord (non a caso nell’antichità conosciuto come Mare Frisicum), un territorio oggi compreso tra la parte settentrionale dei Paesi Bassi e l’estuario del fiume Vidå, poco oltre il confine tra Germania e Danimarca. A questo territorio continentale corrisponde anche una serie di isole, grandi e piccole, allineate quasi parallelamente alla costa, di fronte alle corrispondenti zone della terraferma, anche esse oggi suddivise tra Paesi Bassi, Germania e Danimarca.

La storia

Il primo a menzionare i “frisi” fu lo storico romano Tacito, vissuto tra il I e il II secolo d.C., che li descrisse come una delle tribù degli ingevoni, popolazione di stirpe germanica a suo dire autoctona:

I germani stessi tenderei a ritenerli autoctoni e per nulla mescolati per l’arrivo di altre popolazioni e rapporti di ospitalità, perché né per via di terra ma con flotte viaggiavano un tempo coloro che cercavano di cambiare sedi e perché l’Oceano immenso al di là [di quelle regioni] e per così dire avverso raramente viene affrontato da navi provenienti dal nostro mondo.
De origine et situ Germanorum – XXXIV, 1.

Gli ingevoni a loro volta erano suddivisi nelle tribù dei frisi, dei cauci, dei cimbri, dei teutoni, degli angli, dei sassoni e degli juti. Sempre secondo Tacito, si trattava di popoli che, fino alla dominazione romana, avevano conservato pressoché immutata la loro etnia e la loro cultura originaria:

Io personalmente mi accosto alle opinioni di coloro i quali ritengono che i popoli della Germania, non contaminati da nessun incrocio con altre popolazioni, si siano mantenuti nazione autonoma e genuina e simile soltanto a se stessa. Da ciò anche l’aspetto fisico, benché in un così grande numero di persone, identico per tutti: occhi fieri e azzurri, capigliature rosse, fisici di alta statura e adatti solo all’assalto.
Ibidem – XXXIV, 4.

Ma, per quanto apparissero possenti nel fisico, sempre secondo lo storico romano si trattava comunque di un popolo che non sopportava facilmente le avversità del territorio che abitava:

Non altrettanta è la loro capacità di sopportazione della fatica e delle attività, e sono assuefatti a sopportare per nulla la sete e il caldo, ma il freddo e l’inedia (dovuti) al clima o al terreno. Il territorio, anche se si diversifica parecchio per l’aspetto, complessivamente tuttavia è o ricoperto di boschi o sgradevole per le paludi, più umido dove è rivolto verso le Gallie, più ventoso dove è rivolto verso il Norico e la Pannonia; abbastanza fertile, non adatto agli alberi da frutta, produttivo di animali da gregge, ma per lo più non elevato. Neppure per le mandrie [c’è] pregio specifico o apprezzamento per l’aspetto; si accontentano del numero e quelle sono le ricchezze esclusive e più gradite.
Ibidem.

Gli insediamenti dei frisoni al tempo di Tacito. Gli ingevoni sono in giallo.

Il territorio della Frisia era entrato nell’orbita dell’Impero Romano pochi decenni prima, durante l’occupazione della Germania transrenana avvenuta nel corso del periodo augusteo, con le campagne militari di Druso, allorché gli stessi frisi preferirono spontaneamente l’ammissione all’Impero Romano poiché si resero conto dell’impossibilità di opporsi a un esercito ben organizzato e sicuramente più evoluto militarmente di quanto non potessero esserlo essi stessi, per altro anche divisi in tribù.
Ciononostante pochi anni dopo, nel 47 d.C., il generale romano Gneo Domizio Corbulone dovette soffocare nel sangue un loro tentativo di riconquistare l’indipendenza, evidentemente perché delusi dall’atteggiamento romano che lasciava loro troppo pochi spazi di libertà. Successivamente, con la caduta dell’Impero di Roma, a partire dalla fine del V secolo i frisi iniziarono a dedicarsi alla pirateria marina, proiettandosi nelle loro scorrerie fino alle coste britanniche, mentre nel frattempo si opponevano strenuamente ai franchi, dai quali furono tuttavia assoggettati definitivamente nell’VIII secolo, a conclusione delle guerre sassoni.
In periodo medievale, morto Carlo Magno, dopo un breve periodo di libertà e autonomia, i territori frisoni passarono poco prima dell’anno Mille sotto il controllo del conte d’Olanda, che tuttavia non ebbe vita facile a dominare questo lembo settentrionale del proprio territorio, tanto che soltanto nel 1422 si può parlare della definitiva conquista olandese della Frisia, o quanto meno della sua parte occidentale.
Un secolo dopo la Frisia, come il resto dell’Olanda, entrò a far parte delle province annesse alla corona spagnola, e dal 1568 partecipò alla rivolta contro la Spagna, dopo la quale la Frisia centrale entrò a far parte definitivamente dei Paesi Bassi, mentre la parte orientale venne assoggettata, via via, da diversi Stati tedeschi e in parte dalla Danimarca, fino a essere inglobata in età moderna quasi del tutto dalla Germania, rimanendo alla Danimarca solo in piccolissima parte.

La popolazione e il territorio

Oggi a definirsi frisoni (friezen o fresken a seconda dello Stato in cui risiedono e dell’evoluzione  della loro parlata) sono circa un milione e mezzo di persone, anche se poco più di un terzo fanno un uso quotidiano e regolare della lingua frisona, magari in un abituale bilinguismo con l’olandese o con il tedesco. In realtà non sarebbe nemmeno corretto parlare di una vera lingua frisona, ma piuttosto di dialetti in cui l’antica lingua dei frisi si è a mano a mano evoluta, soprattutto tra le zone costiere dei Paesi Bassi e della Germania e nelle isole dirimpettaie alla terraferma, alcune delle quali raggiungibili persino a piedi durante la bassa marea, allorché il mare che le separa dalla fascia continentale si ritira lasciando una sorta di sabbia limosa chiamata da queste parti watt.
Il maggior numero di persone che si autodefiniscono frisoni rimane oggi concentrato nelle province olandesi del Friesland (con le città, grandi e piccole, di Bolsward, Makkum, Workum, Hindeloopen, Ijlst, Sneek-Snits, Leeuwarden e Dokkum) e di Groningen (qui, oltre al capoluogo, si segnalano in particolare Lauwersoog e Pieterburen); in Germania, in quell’area che è tuttora chiamata Frisia Orientale (nel Land della Bassa Sassonia, con le cittadine di Emden, Norden, Norddeich, Stade, Wilhelmshaven, eccetera) e Frisia Settentrionale (nel Land dello Schleswig-Holstein, con i centri di Husum, Friederichstadt, Heide, Busum, Meldorf, eccetera), quest’ultima appartenuta completamente alla Danimarca fino al 1864, alla quale è rimasta adesso solo una piccolissima porzione dell’antico territorio dei frisi, all’interno della parte sud-occidentale della penisola dello Jutland (con i centri piccoli e grandi di Tønder e Møgeltønder, Løgumkloster, Højer, Skaerbaek e infine Ribe e  Esbjerg, considerate tuttavia città di confine tra l’area frisona e quella più propriamente vichinga).

La regione storica della Frisia in tempi moderni.

A ciascuno di questi tre Stati oggi appartengono, come dicevamo, anche alcune delle piccole isole del vasto Arcipelago Frisone (Friesische Inseln in tedesco, Waddeneilanden in olandese). Appartengono ai Paesi Bassi le Isole Frisoni Occidentali, dal nord dell’Olanda settentrionale fino a Rottumeroog, a occidente dell’estuario dell’Ems: Texel, Vlieland, Terschelling, Ameland, Schiermonnikoog, Simonszand, Boschplaat e Rottumeroog.
Appartengono al Land tedesco della Bassa Sassonia le Isole Frisoni Orientali, cioè quelle che vanno dall’estuario dell’Ems fino a quello del Weser: Borkum (corrispondente alla “Burcana” descritta da un altro autore latino, Plinio), Juist, Norderney, Baltrum, Langeoog, Spiekeroog e Wangeroog, entrate a far parte dell’area marina protetta Nationalpark Niedersächsisches Wattenmeer; sempre del territorio della Germania fanno parte anche alcune delle Isole Frisoni Settentrionali, facenti parte del Parco Nazionale del Wattenmeer del Land dello Schleswig-Holstein: Pellworm, Hooge, Süderoogsand, Norderoog, Amrum, Föhr e Sylt, oltre ad alcuni scogli, detti “Halligen”.
Appartengono invece alla Danimarca le Isole Frisoni Settentrionali poste più a nord, cioè quelle a nord della foce dell’Elba che fronteggiano la parte meridionale della penisola dello Jutland, e cioè Rømø, Koresand, Mandø e Fanø, anch’esse tutelate a livello ambientale come Riserva Naturale.
Soprattutto nella parte meridionale di questa vasta area, quella di fatto coincidente quasi totalmente con i Paesi Bassi, il territorio (sia costiero che isolano) è sempre apparso di una fragilità immensa, più volte oggetto di allagamenti delle terre emerse, tanto da aver costretto i frisoni, al pari di tutti gli olandesi stanziati più a sud, a inventarsi fin dal medioevo quelle dighe e quelle altre opere di alta ingegneria idraulica che sono state via via costruite, ovviamente in maniera sempre più tecnologica col passare dei secoli, per proteggere quanto più potevano le loro case, le loro fattorie, i loro campi coltivati e i pascoli per i loro animali, oltre che per estendere la superficie a loro disposizione con l’aumentare della popolazione.
Come scrisse anche Edmondo De Amicis dopo un suo viaggio da quelle parti,

tutte le città delle rive del Zuiderzee, e tutte le isole, frammenti di terre sparite, che formano come una corona tra la Frisia e la Nord-Olanda, sono protette da dighe; dalle foci dell’Ems fino alle foci della Schelda l’Olanda è tutta una fortezza impenetrabile, nei cui immensi bastioni i mulini son le torri, le cateratte son le porte, le isole sono i forti avanzati; e che al pari d’una fortezza vera, non mostra al suo nemico, il mare, che le punte dei campanili e i tetti degli edifizii, quasi come una derisione e una sfida. L’Olanda è una fortezza, e il popolo olandese ci sta come in una fortezza: sul piede di guerra col mare (dal suo libro Olanda, Firenze 1876).

Dal punto di vista prettamente economico, un po’ tutta l’area della Frisia è principalmente una zona agricola e ben poco industrializzata, anche per le tutele ambientali a cui gran parte del territorio costiero, oltre alle isole, è sottoposto. La popolazione è dedita quindi all’agricoltura, alla pesca e all’allevamento, in particolare di bovini di razza frisona, caratterizzati da macchie bianche e nere o marroni che si alternano sul pelo e da un’ottima produzione lattiera quotidiana. Altri animali tipici di questa zona sono i cavalli di razza frisona, assai noti agli amanti degli sport equestri, spesso scelti dai reali europei (in primis ovviamente da quelli olandesi) per tirare le loro carrozze o per i reparti di cavalleria nelle sfilate ufficiali: si tratta infatti di esemplari dall’aspetto nobile e fiero, contraddistinto da una folta ed elegante criniera, noti già agli antichi romani per la loro incredibile resistenza alla fatica.

Il paesaggio delle isole frisoni germaniche.

Trattandosi di un territorio in gran parte pianeggiante che si snoda tra canali, foreste, fiordi profondamente incuneati nella terraferma, isole e isolette con una natura ancora incontaminata che invita alla scoperta, ovviamente il turismo – soprattutto naturalistico – si è fatto strada in particolare negli ultimi decenni, contribuendo a innalzare il livello di vita dei residenti, i quali tuttavia sono rimasti fedeli al rispetto per l’ambiente adottato per secoli dai loro avi.

La questione linguistica

Oggi, sebbene la maggior parte dei frisoni sia stanziata, come già accennavamo, nei Paesi Bassi, la suddivisione territoriale in tre Stati, anche se tutti appartenenti all’Unione Europea, corrisponde sostanzialmente alla divisione etnolinguistica del popolo frisone in frisoni occidentali, orientali e settentrionali.
A essere più integrati con il resto della popolazione nazionale sono i frisoni occidentali, che sono tuttavia anche la maggioranza di coloro che hanno conservato l’idioma delle generazioni passate senza fonderlo con la lingua olandese (o nederlandese), ma che generalmente avvertono in misura minore la loro appartenenza a una più vasta comunità frisona che potremmo definire “sovrastatale”: si identificano cioè più con gli altri olandesi che con i frisoni delle altre zone 1) e per questa ragione i frisoni residenti nei Paesi Bassi non sono trattati nelle statistiche ufficiali come un gruppo etnico separato, pur godendo la regione della Frisia di una certa autonomia, testimoniata ai giorni nostri anche dalla presenza di cartelli e insegne stradali in doppia lingua che si incontrano in tutta l’area. Questa comunità conta oggi quasi mezzo milione di persone, in particolare nella zona attorno alla città di Leeuwarden e nella provincia di Groningen, tanto che il frisone qui ha ottenuto riconoscimento linguistico e tutela ufficiale fin dal 1956.

Antico manoscritto frisone.

Maggiore consapevolezza dell’appartenenza a una minoranza etno-linguistica si ha invece tra i frisoni residenti in Germania, dove si trovano due diverse comunità: la prima nella Frisia orientale, con circa duemila parlanti effettivi (una minoranza davvero minuscola), in particolare attorno alla cittadina di Saterland, in Bassa Sassonia (a una novantina di chilometri a ovest di Brema); la seconda nella Frisia settentrionale, facente parte del Land dello Schleswig-Holstein, con una comunità cinque volte superiore, anche se rappresenta solo il 7% dell’intera popolazione locale.
Questa ristretta minoranza si spiega anche con il fatto che in Germania la lingua frisona ha ottenuto un riconoscimento ufficiale soltanto dopo l’adozione nel 1998 della Carta Europea per le Lingue Regionali o Minoritarie, al pari dello slesiano o del sorabo nei Land orientali, quindi troppo tardi perché potesse realmente conservarsi e alimentarsi socialmente.
La percentuale di parlanti ha quindi continuato sempre di più a scendere soprattutto nelle località maggiormente frequentate dai turisti; né alla fine le autorità locali si sono mai curate, o anche adesso si curano più di tanto, della sua effettiva conservazione e persino del suo insegnamento scolastico. I frisoni tedeschi non dispongono, infatti, di un sistema scolastico autenticamente bilingue, ma la loro lingua viene insegnata in alcune scuole solo per un paio di ore alla settimana e su base facoltativa. Quanto all’istruzione superiore, esistono corsi di lingua frisona solo presso le università di Kiel e Flensburg. A organizzare corsi per bambini e adulti provvedono oggi soprattutto associazioni locali e istituti privati. Anche per quanto riguarda giornali e altri media, l’uso della lingua frisona non è per niente supportato, risultando modestissimo anche laddove qualche testata o trasmissione radiofonica ne fa talora uso.
Altrettanta consapevolezza e un ostentato orgoglio nazionale si ha tra i pochi rimasti a parlare la lingua frisona nel dialetto locale dello Jutland danese: si tratta di residenti soprattutto nelle isole adiacenti alla sua costa (in particolare in quella di Rømø), anche perché qui, sulla terraferma, la lingua degli avi appare di fatto quasi estinta e quindi la stessa cultura frisona si è di fatto fusa dapprima con quella del popolo vichingo, sopraggiunto da queste parti all’inizio del IX secolo d.C., e poi con quella dei danesi stanziati nello Jutland sud-occidentale, che a loro volta presentano caratteristiche proprie dal punto di vista culturale rispetto alle popolazioni di altre aree danesi.
Questo stato di cose ci pone quindi fin da subito un interrogativo: ha senso ancora oggi parlare dei frisoni come di un popolo minoritario, stanziato nei tre Stati europei già citati, o no? Esiste, in pratica, un’identità che contraddistingue i discendenti degli antichi frisoni, a prescindere dallo Stato di cui adesso hanno il passaporto e sono cittadini, che travalichi la loro nazionalità amministrativa e statale in nome di una nazionalità culturale (e non solo linguistica) che li unisca al di là delle frontiere che li dividono?
L’interrogativo che ci poniamo ha ancor più senso anche in relazione al fatto che proprio l’uso di una lingua propria in alcune zone risulta sostanzialmente estinta da tempo anche tra coloro che continuano a definirsi frisoni (in particolare tra Germania e soprattutto Danimarca). Eppure, lo ribadiamo, la lingua frisona – o quanto meno una delle sue varianti – rimane spesso “il marcatore di identità più importante per questa popolazione”, anche se non più in uso oggi nella quotidianità. 2)
La questione si complica ulteriormente per il fatto che, come già detto, non solo non si tratta di una lingua unica ma di vari dialetti (in particolare tre, oltre a piccole sotto-varianti sviluppatesi soprattutto nelle isole), ma anche per il fatto che queste parlate sono rimaste nel tempo più vicine linguisticamente ai dialetti anglosassoni del passato che a quelli germanici delle popolazioni limitrofe, risultando così via via sempre più incomprensibili a chi non le parlava come lingue familiari.
Con l’inglese moderno, tra l’altro, tutti i dialetti frisoni evidenziano una stretta parentela fonetica, sicuramente maggiore rispetto a quella con le lingue dei tre Paesi in cui oggi i frisoni risiedono, oltre che un’omogeneità in alcuni termini d’uso comune, come boi (ragazzo, dall’inglese boy), come il pronome hy (egli, ben più simile all’inglese he che al tedesco sie o all’olandese zij) o come il numero dodici (tolv in frisone, twelve in inglese, twaalf in olandese, ma tolv in danese), eccetera.
Il necessario bilinguismo resosi necessario per i contatti commerciali con i popoli vicini ha ovviamente fatto il resto, contaminando con il tedesco o l’olandese (e ancor più con il danese) sia la fonetica sia la sintassi e la semantica, anche in relazione alla scarsità di documenti scritti pervenutici in lingua frisona (documenti notarili, ecclesiastici, ma anche lapidi funerarie), come se dopo il medioevo si fosse interrotta quasi del tutto la produzione di documenti scritti locali e il modesto revival di fine ‘800, legato come in altri casi alle idee romantiche che pervasero un po’ tutta l’Europa, non fosse stato in grado di restituire una nuova vita alla lingua scritta, nonostante la presenza di qualche letterato, poeta o grammatico interessati al riuso del frisone moderno.
Come sempre capita in questi casi, tale fenomeno, peraltro comune a tante lingue minoritarie anche europee, ha finito con il depauperare anche le logiche culturali che tenevano in vita la lingua a livello locale favorendo tutti quei fenomeni di contaminazione che sono stati alla fine responsabili del progressivo abbandono della parlata originaria, difficilmente comprensibile al giorno d’oggi persino da un’area all’altra della stessa Frisia anche a chi ha continuato a farne uso da generazioni.

Costumi frisoni del XVI secolo in un disegno di anonimo tedesco.

Né si può negare che la lingua vada sempre considerata come una componente fondamentale per la formazione dell’identità: il parlante viene identificato come membro di un gruppo dagli altri componenti e contemporaneamente egli identifica se stesso proprio come parte di quel gruppo proprio grazie allo strumento linguistico. Il linguaggio diventa un codice che segna un confine e che assume anche una funzione di collante solo tra chi lo condivide, ponendosi come base per il riconoscimento reciproco; se questo collante viene meno, anche l’identità finisce con lo svanire pian piano.
Persino la produzione letteraria – comunque ben poco attestata anche in passato, se si escludono documenti notarili e commerciali d’uso comune – appare oggi quasi assente, sia per quanto riguarda romanzi e libri di poesie, sia per quanto riguarda vocabolari e grammatiche. Per questo la lingua della Frisia resta un po’ ovunque, e soprattutto nei due Land tedeschi, gravemente minacciata di estinzione nel giro di poche generazioni, come dimostrano le statistiche dei parlanti effettivi, notevolmente diminuiti dall’inizio del nostro secolo a oggi.
Manca, tra l’altro, nelle giovani generazioni il riconoscimento di un qualche valore sociale ed economico alla conservazione di una lingua considerata dagli stessi, prim’ancora che marginale, ormai storicamente “inutile”, come di fatto accaduto nei decenni passati in Danimarca, dove per l’appunto è avvenuta la sua effettiva scomparsa quasi dappertutto già alla fine del secolo scorso. E a ben poco può servire a questo punto la recente ristampa di alcune opere letterarie di sporadici autori ottocenteschi o del primo ‘900, che hanno usato uno dei dialetti frisoni (in questo caso lo söl’ring parlato nelle isole dello Schleswig-Holstein), come il poeta Jens Emil Mungard (1885-1940) o il filologo e narratore Herman Schmidt (1901-1979).

Una bandiera, anzi due…

Eppure, a dispetto di una lingua destinata pian piano a perdersi, esiste una bandiera della Frisia a testimoniare l’esistenza di sentimenti identitari da parte dei frisoni dei tre Stati. Sentimenti che poi in concreto non si sono mai evidenziati, quanto meno in tempi recenti, attraverso movimenti politici autonomistici, come invece accaduto per esempio tra i baschi o i catalani in Spagna o tra i corsi in Francia. La bandiera nazionale della Frisia è composta da quattro bande blu separate da tre bande bianche in diagonale; su queste ultime sono apposte sette foglie della ninfea gialla (chiamate pompeblêden nella lingua frisona) di colore rosso, simili a cuori.

Bandiera della Frisia olandese e germanica.

Ma anche per questo simbolo esistono differenze tra i tre gruppi di frisoni. Infatti, se il vessillo sopra descritto è quello che viene talvolta ostentato, soprattutto nel corso di manifestazioni locali, tra i frisoni olandesi e tedeschi, esiste anche una variante danese della bandiera, in cui le bande diagonali sono state sostituite dalla tipica croce scandinava così da formare quattro aree di colore giallo, due quadrate a sinistra e due rettangolari a destra, delimitate dalla fascia blu con al centro della croce il campo bianco e con quattro foglie rosse di ninfee anziché sette, una per ogni quadrante.

Bandiera della Frisia danese.

Anche questo fatto testimonia l’effettiva perdita di un’identità nazionale unica nella popolazione europea che ancora tenda a ricordare la propria origine comune nell’antica Frisia.

Questione di… costumi

La città olandese di Hindeloopen è probabilmente oggi il maggiore centro della cultura frisona, e non solo in Olanda. Hindeloopen è stato d’altronde uno dei maggiori centri che ha alimentato storicamente la cultura di questo popolo il quale, da queste parti, fu uno dei protagonisti della Lega Anseatica, con i suoi marinai che intrapresero frequenti viaggi nel Mare del Nord e nel Mar Baltico anche come pescatori di balene. Forse furono proprio i contatti con popolazioni straniere all’origine della nascita del linguaggio locale, un misto di frisone, inglese, danese e norvegese.
Il villaggio si sviluppò in particolare tra il ‘600 e il ‘700 proprio grazie ai commerci marittimi, e in questo periodo nacquero un’architettura e un arredamento tipici che caratterizzavano sia gli edifici sia i loro arredi interni con colori molto vivi, dando vita a uno splendido artigianato ancora vitale ai giorni nostri.
Come testimonianza di questo passato marinaresco rimangono le case dei capitani, alcune delle quali presentano un’àncora appesa sulla facciata, all’epoca indicazione che il capitano era disponibile per un ingaggio su qualche nave in partenza. Le vetrine dei tanti negozi di artigianato locale offrono splendidi oggetti in legno decorati nei toni del rosso, del blu e del verde con motivi floreali e uccelli: una testimonianza della tradizione artigianale locale, nata dal lavoro dei pescatori che in inverno occupavano così le giornate, prendendo spunto dai motivi decorativi ammirati in oriente e trasferendoli nei loro mobili e negli oggetti di uso quotidiano, che con il trascorrere dei secoli hanno reso la cittadina famosa proprio per gli oggetti artigianali in legno dipinto.
All’interno dello Stadhuis, il seicentesco palazzo municipale rinascimentale, è allestito l’Hidde Nijland Stichting, un museo locale con una raccolta di mobili dipinti del ‘700 che ricalcano la tradizione locale, oltre ad argenti e quadri di scuola locale.
Non deve quindi meravigliare se questo borgo ha mantenuto ancora vive tra le sue tradizioni anche l’uso di un costume locale, soprattutto femminile, concretizzatosi nelle sue forme tipiche in pieno ‘500, ancora oggi adoperato in occasione di eventi e feste. Di questa lunga tradizione si conservano testimonianze in alcuni disegni e dipinti di varie epoche oltre che nel ricordo di una esposizione storica avvenuta in città nel 1877.
La caratteristica principale del costume femminile di Hindeloopen è l’uso del chitz, un tessuto di cotone dipinto a fiori, in genere sui toni del rosa, sotto il quale si trova una camicia (frysterhimd), un corpetto e il grembiule, coordinati nel colore. Un’altra caratteristica è il copricapo, indossato dalle donne sposate, detto fôrflechter, a forma di cilindro rigido e con la sommità rivolta in avanti, foderato di stoffa e ricoperto di panno che scivola in basso adagiandosi attorno ai capelli, che rimangono così invisibili agli sguardi degli altri. Al riguardo, una leggenda locale afferma che le donne di Hindeloopen non si tagliassero mai i capelli e avessero lunghe trecce nascoste da questo copricapo.
Altra caratteristica delle donne sposate, per altro assai vezzosa, è la presenza di un fazzoletto posto tutt’attorno al collo, con un fermaglio che lo chiude sul davanti, ma spostato un po’ lateralmente sopra il cuore, a simbolizzare proprio che il loro cuore è già… occupato.

Gli uomini un tempo portavano un lungo cappotto scuro con molti bottoni, calzoni corti che arrivavano appena sotto il ginocchio e quindi pesanti calze a coprire il resto delle gambe. Sotto il cappotto, gli uomini indossavano una giacca originariamente colorata, che poteva essere di lana, stoffa, seta o damasco a seconda della loro posizione economica; sotto, una camicia lunga (yak) infilata nei pantaloni, spesso di colore rosso. Al collo un fazzoletto bianco e sulla testa un cappello a punta triangolare; ai piedi scarpe basse con fibbia. Anche gli uomini indossavano abitualmente un accessorio, una catena d’orologio con sigilli e una chiave per caricarlo. Ma questo costume tradizionale è oggi ormai quasi perso.
Altra città che ha mantenuto quasi intatte le sue caratteristiche frisoni è Leeuwarden, attuale capoluogo della regione della Frisia olandese, costruita su una collinetta per proteggere gli abitanti dalle piene del Mare del Nord, i quali comunque dovettero subire nel corso dei secoli periodiche inondazioni. La città si sviluppò a partire dal XII secolo divenendo in seguito capitale del Ducato indipendente di Frisia prima di ribellarsi all’imperatore Massimiliano ed essere, quindi, sottomessa nel 1523 da Carlo V. Nel 1579 aderì all’Unione di Utrecht e poco dopo divenne capitale degli stathounder della Frisia e venne circondata da mura stellari.
Qui la sede museografica più importante è l’Het Princessehof, in un palazzo del ‘600, che ospita una delle più belle collezioni europee di ceramiche, frutto anche dei commerci della Compagnia delle Indie Orientali, comprendente oltre alle ceramiche olandesi anche porcellane del Giappone, della Cina, della Thailandia e del Vietnam.
In quella che fu l’abitazione di Mata Hari, la ballerina-spia giustiziata durante la seconda guerra mondiale, è invece ospitato oggi il centro di documentazione storico-letteraria della regione frisona.
Il Fries Museum raccoglie infine collezioni sulla storia della regione attraverso l’archeologia, l’arte applicata, l’artigianato, l’etnologia e l’arte, con una raccolta di dipinti di scuola locale, costumi, attrezzi per il lavoro, eccetera; al suo interno, infatti, si susseguono reperti preistorici e di età romana, argenti, la ricostruzione della bottega di un orafo, ceramiche di Delft, piastrelle di Makkum e interni di antiche case di Hindeloopen che permettono un’ampia panoramica sulle tradizioni e il folclore dell’area.
Monumento principale è il Waag, l’antica pesa pubblica, che un tempo era punto di vendita di burro e formaggi (ma il burro allora serviva qui anche come “moneta di scambio” tra merci e prodotti diversi!), mentre vicino alla stazione sorge un monumento dedicato a una protagonista inusuale ma molto importante per l’economia cittadina: si tratta di una mucca pezzata in bronzo della rinomata razza frisona, raffigurante “Us Mem”, la nostra mamma, a riprova del ruolo che il latte e i formaggi hanno nella società locale.
Anche Leeuwarden vanta uno splendido costume tradizionale femminile, un po’ diverso da quello di Hindeloopen: più semplice, realizzato in lana in una variante del tartan inglese assai di moda da queste parti soprattutto per gli scambi commerciali con le isole britanniche, in genere sui toni del blu a disegni geometrici e con i polsini in mussola ricamati. Assai più prezioso è il grembiule, anch’esso in mussola con vistosi ricami soprattutto per le donne più ricche, e altrettanto lo sono il foulard che gira attorno al collo ed è chiuso sul petto da un fermaglio d’oro, e il copricapo, una sorta di elmo liscio in pizzo, anch’esso ricamato, con bottoni appariscenti sulle tempie.
Ma se oggi la città più importante dell’area frisona olandese è Groningen, con le sue industrie e la sua grande università, forse proprio il suo moderno sviluppo è stata la causa principale della perdita delle importanti tradizioni storiche, che infatti qui appaiono oggi più evanescenti al punto che nessuno dei suoi musei è legato alle tradizioni e al folclore del suo passato; come se i suoi cittadini avessero scelto consapevolmente di guardare soltanto al futuro, smarrendo le tracce della storia e del folclore di un passato che comunque avrebbe dovuto essere conservato e valorizzato. Non deve meravigliare quindi se anche l’abito femminile tipico di Groningen, rimasto in vita e indossato in alcune ricorrenze, appare il più semplice tra quelli della tradizione frisona olandese. Solatanto il grembiule e la cuffietta che ricopriva i capelli della donna, entrambi in cotone o lana bianchi con ricami, sembrano elementi di un certo rilievo, permettendo anche di capire lo status sociale di chi l’indossava in relazione alla presenza e alla qualità dei ricami.
Nell’area tedesca la più rilevante conservazione delle tradizioni frisone è presente sulle isole dell’arcipelago che fronteggiano i piccoli villaggi costieri dello Schleswig-Holstein, dove esistono solo piccoli villaggi e nessun centro abitato nemmeno di medie dimensioni. Qui, oltre alla lingua frisona rimasta prepotentemente in vita ben più che sulla terraferma, il costume tipico ha avuto un alto carattere identitario per molti isolani e viene ancora sfoggiato dalle donne nei giorni festivi e nelle cerimonie, in particolare nelle isole di Amrum e di Föhr. La tradizione vuole anzi che le giovani ragazze vestano per la prima volta il loro personale “abito della festa”, tutt’oggi spesso realizzato a mano, il giorno della cresima. Altre occasioni per indossare il costume tradizionale rimangono le principali festività religiose, la partecipazione a matrimoni o anche cerimonie di laurea, eventi familiari e in occasione di spettacoli per turisti.
I costumi domenicali e festivi delle ragazze e delle donne vivono del forte contrasto dei grembiuli chiari, dei gioielli in filigrana e del tessuto scuro del vestito, con risultati di estrema eleganza. Entrando più nel dettaglio, la gonna (pai) è sempre coperta da un ampio grembiule sul davanti che può essere bianco o colorato, quasi sempre con ricami e pizzi; alla vita è stretta con un cinturino in tessuto blu scuro o nero mentre appare molto ampia alla base, con una larghezza da quattro a cinque metri. Il corpetto ha le maniche in taffetà o velluto e sopra di esso viene indossato uno scialle di seta triangolare, decorato con una fascia di velluto nero larga circa otto centimetri, spesso ricamata e sfrangiata. La donna sposata indossa un berretto ricamato con perle nere e copre il capo con un cappuccio che fa capolino da sotto il velo. Vistosi sono i gioielli sul petto, in filigrana d’argento, diversi da isola a isola; una collana, spille per foulard, forcine per capelli e una spilla sul cordino del grembiule completano i gioielli del costume.
Una curiosità è legata proprio alla manifattura di questi gioielli in argento: iniziarono a essere usati dai frisoni tedeschi quando i loro marinai se ne innamorarono e ne fecero dono alle loro donne, dopo averli visti in Portogallo nel corso dei loro viaggi commerciali; ma passato qualche decennio, furono gli stessi frisoni a imparare l’arte delle lavorazione della filigrana d’argento per poterli produrre autonomamente, e ancora oggi questa tradizione artigiana è rimasta viva.
Diversi costumi tradizionali delle isole frisoni tedesche sono esposti al Carl Haeberlin Friesen a Wyk, nell’isola di Föhr; all’interno del museo, intitolato a un medico che mise in piedi per passione una vasta collezione di oggetti della cultura tradizionale della minoranza, è presente anche un attrezzatissimo laboratorio nel quale ha tuttora luogo la realizzazione di questi gioielli in filigrana.
Nel corso della visita è possibile ammirare anche la Casa Olesen, il più antico edificio della popolazione frisona sopravvissuto da queste parti nel suo aspetto originario, risalente al 1617, numero scolpito in una trave del tetto. Dopo la morte del suo ultimo occupante, nel 1927 l’edificio fu letteralmente rimosso dalla sua posizione originale, nel villaggio di Alkersum, e meticolosamente ricostruito nell’area del museo. Oggi documenta il modo di vivere e l’agricoltura dei frisoni dei tempi passati, prima che le fattorie più grandi diventassero comuni in seguito all’intensificazione dell’agricoltura intorno all’800. Mostra tra l’altro che, nella casa degli antichi frisoni, persone e bestiame vivevano sotto lo stesso tetto: gli alloggi e le stalle erano separati l’uno dall’altro solo da un corridoio. La zona giorno della Casa Olesen comprende quattro piccole stanze perfettamente arredate oltre alla cucina e alla dispensa, ma sull’isola c’erano in passato molte case ben più piccole.
Assai più semplici sono i costumi tradizionali dell’area frisona tedesca dello Schleswig-Holstein sulla terraferma. Per esempio nella penisoletta di Eiderstedt, appena più in basso delle isole di Amrum, Föhr e Pellworm, il costume festivo femminile è caratterizzato da una tunica nera lunga ma che lascia scoperte le caviglie sulle quali si indossano calze bianche, un collettino bianco ricamato, un cappuccio anch’esso bianco con una strana forma a “farfalla” che copre il capo ma lascia parzialmente a vista i capelli per le donne sposate, ben più semplice per le nubili; e infine una cintura dorata che evidenzia anche lo status sociale della persona, arrivando a scendere lunga sul davanti per le donne più agiate e rappresentando l’unico elemento di vero pregio dell’abito.
Sulla terraferma, tuttavia, è stato allestito un interessante museo della cultura frisona: si tratta del Friesisches Museum di Niebüll. Il museo è ospitato all’interno di un antico edificio d’inizio ‘800 rimasto invariato nell’aspetto e nella sua posizione originaria, nella campagna di Deezbüll, vicino al Mare del Nord, un tempo insediamento di pescatori e piccoli proprietari agrari.
Il museo mostra come i frisoni costruissero le loro case prima dell’èra industriale, come vi abitassero e vi lavorassero. La parte residenziale dell’edificio è costituita dal dörnsch, lo spazio abitativo vero e proprio della casa, seguito dal mitteldörnsch, letteralmente “lo spazio del vecchio contadino”, quindi dal pesel, una zona non riscaldata.
Dalla cucina con la stufa aperta per fungere anche da camino si accede alla dispensa con il forno, alla stanza della padrona di casa, Katharine Gingwersen, e infine alla klüterkammer, un locale che fungeva da soggiorno e insieme da camera di lavoro.
Gli alloggi della servitù sono separati dalla stalla. Il magazzino si trova accanto alla stalla, mentre il fienile, oggi non più esistente, era ospitato in un piccolo edificio angolare annesso alla casa ma esterno a essa.
Nei pochi (e piccoli) centri di tradizione frisona della Bassa Sassonia, invece, i costumi tradizionali hanno perso la loro originalità confondendosi con le tradizioni locali e del resto del Land. Lo stesso è accaduto nella piccola area danese dello Jutland dove, come già dicevamo, la stessa cultura frisona si è di fatto fusa dapprima con quella del popolo vichingo e poi con quella dei danesi stanziati nello Jutland sud-occidentale.
Solo a Tønder, a una trentina di chilometri dal confine tedesco, tracce delle tradizioni frisone si possono cogliere visitando il museo civico: qui, in particolare nella sezione del Kulturhistorie Tønder, è ospitata una raccolta di raffinati merletti locali, frutto di un’attività femminile che rese famosa questa cittadina nel passato; ma sono esposti anche mobili intarsiati e mattonelle di maiolica di influenza “olandese” (ed ecco, appunto, il richiamo alla cultura frisona).
Un’altra testimonianza storica del passato e delle tradizioni si può leggere dalle antiche architetture del sobborgo di Møgeltønder; qui, attraversando in particolare la Slotsgade, l’arteria lastricata in pietra che taglia in due il piccolo abitato, si ha modo di ammirare una sequenza di case in mattoni dai tetti ricoperti di paglia con alti frontoni, abbellite dalle rose che si arrampicano verso le finestre bianche e i portoni dipinti in colori brillanti, residua testimonianza dei modelli architettonici frisoni. All’estremità occidentale del villaggio si ammira la notevole Møgeltønder Kirke, la parrocchiale cittadina che, a fronte di un esterno abbastanza anonimo, contrappone un interno davvero opulento, in cui le tracce romaniche si alternano ai rimaneggiamenti gotici, con splendidi affreschi, i matronei decorati con scene tratte dai Vangeli, il seicentesco altare ornato da decorazioni dorate e un organo seicentesco che è il più antico funzionante della Danimarca.
Anche sull’isola di Rømø e su quella di Fanø, dove pure la tradizione frisona si è perpetrata più a lungo, vi sono oggi solo pochi segni distintivi dell’identità propria di questo antico popolo. Le maggiori evidenze sono sull’isola di Rømø, in particolare le fattorie rurali e alcune case di Toftum dai colori brillanti con il tetto in paglia, oltre al Kommadørgården, un edificio risalente al ‘600 ricoperto dal tetto in paglia che era la residenza di un capitano di baleniera, al cui interno è allestito un museo del folclore, che testimonia in particolare la prosperità che portò all’isola la caccia alla balena, per secoli una delle maggiori occupazioni dei marinai locali.

 

N O T E

1) Douwe A. Tamminga, Friesland, feit en onfeit, Leeuwarden 1970.
2) Alina Filip, La Carta europea per le lingue minoritarie: due esempi di applicazione in Germania, “Etnie”, marzo 2016.