In India i contadini si rivoltano contro la deregulation

Il 3 gennaio 2021 un gran numero di contadini ribelli del villaggio di Masani si accingevano a forzare i blocchi stradali sulla frontiera Rajasthan-Haryana (lungo l’autostrada Delhi-Jaipur nei pressi di Dharuhera), dove si erano radunati – restando bloccati – dal 13 dicembre 2020. Ma la polizia non l’aveva presa bene e rispondeva attaccando i manifestanti con cannoni ad acqua e un fitto lancio di lacrimogeni (anche CS si ritiene). Almeno una ventina di trattori e centinaia di persone riuscivano comunque a forzare il blocco, anche se poi dovevano sospendere l’azione in quanto rimasti separati dalla massa degli altri manifestanti. Una mezza dozzina di contadini risultavano feriti negli scontri.
Attualmente sono migliaia e migliaia gli agricoltori del Maharashtra, del Rajasta, del Haryana e del Gujarat forzatamente bloccati dalle barricate erette dalla polizia lungo le strade che portano a Delhi, dove intendono recarsi per esporre le loro rimostranze nei confronti delle leggi sulla deregulation dei mercati agricoli.
Detto per inciso, a chi scrive tali eventi ricordano almeno esteriormente (per la “scenografia”) le manifestazioni degli agricoltori nostrani del 1997 (vedi gli scontri di Grumolo nel vicentino).
Ormai in India da settimane tali “incidenti” sono pane quotidiano. Ai primi di dicembre un altro corteo di agricoltori a bordo di trattori aveva violato il posto di blocco della polizia a Shahiahanpur (sempre alla frontiera tra Rajasthan e Haryana). E anche in questa circostanza la polizia aveva reagito duramente.
Sempre in dicembre una grande manifestazione si era svolta a Patana, capitale del Bihar. Oltre alle organizzazioni degli agricoltori. I primi scontri si erano svolti già al momento del raduno in Gandhi Maidan. Qui le autorità avevano piazzato barricate e posti di blocco per isolare gli accampati di una tendopoli che protestavano da diversi giorni. Mentre i manifestanti si dirigevano verso la sede del governo dello Stato di Bihar, venivano ancora respinti dalle cariche della polizia in una località denominata Dak Bungalow. Alla fine si contavano numerosi feriti (quelli portati all’ospedale, altri hanno preferiti curarsi in casa per non venire arrestati).
Già alla fine di novembre 2020, nonostante la presenza di centinaia di gendarmi, altre barricate erette lungo le autostrade erano state attaccate con fitti lanci di pietre e divelte dai manifestanti intenzionati a raggiungere New Delhi. Va ricordato che anche ai nostri giorni due indiani su tre vivono in aree rurali. Solo nell’ultimo anno si contano migliaia di suicidi tra i contadini rovinati dalla siccità e dai debiti.
Non è da oggi naturalmente. Chi ha partecipato alle manifestazioni anti-globalizzazione della fine del secolo scorso e degli inizi di questo, ricorderà la folta presenza di contadini indiani che protestavano in prima fila (addirittura a fianco del “blocco nero”), e il caso di quel piccolo allevatore che si suicidò pubblicamente per protesta durante una manifestazione.
A questa già difficile, per certi versi insostenibile situazione sono venute a sovrapporsi, nel settembre dell’anno scorso, le riforme legislative per la deregulation della vendita e dell’acquisto di prodotti agricoli. Con la sostituzione dei “mandis” (ossia le regolamentazioni statali fino ad allora in vigore ), tali riforme hanno rappresentato la classica goccia che fa traboccare l’acqua del vaso (e fatalmente vien da pensare che spesso, quando non si impiccano, i contadini indiani si suicidano annegandosi).