Quella tra ius soli e ius sanguinis è soltanto una polemica tra politicanti e tra giornalisti, non certo un contrasto tra due posizioni di pensiero. Non si può definire “argomentazione” augurarsi che miliardi di persone possano infilarsi liberamente a casa tua, stabilirvisi, prendere la cittadinanza e far scomparire così qualsiasi peso elettivo degli autoctoni. È solo qualcosa per cui un tempo si sarebbe stati impiccati per alto tradimento del proprio Paese.
A dire il vero, non esiste neppure il tentativo di farla apparire una posizione filosofica: dalle esternazioni dei politici, alla letteratura latrina dei forum e dei commenti online, la profonda struttura delle argomentazioni iussoliste oscilla dal “si deve perché è giusto” dei colti al “razzista chi non è d’accordo” degli utili idioti di internet. Una cultura di slogan e bestemmie.
Dall’altra parte della barricata ci si preoccupa di numeri, problematiche note del presente e ignote del futuro, esempi agghiaccianti in tutti i Paesi a mescolanza forzata, cataclismi sociali ed economici; ma in risposta non si ottiene mai un dato, una smentita, una promessa, uno straccio di argomento per far sorgere quantomeno un’ombra di dubbio nell’interlocutore. Neanche il tentativo… come se costoro non avessero altro che una fame selvaggia di distruggere tutto, di creare un inferno sociale, di cancellare i millenni (di buono e di meno buono, ma i “nostri” millenni).
E la domanda è: ma questi, che hanno famiglie, figli, case, villette isolate, automobili, che escono di sera – si suppone – con il desiderio di rientrare incolumi, che sono anche donne e omosessuali che rischiano quello che rischiano, e anche politici… tutti questi, sono convinti di non essere minimamente sfiorati da tutto ciò? Pensano di scamparla, di continuare le loro comode vite come se niente fosse? Se ecologisti, pensano mai all’energia, all’inquinamento, allo scempio ambientale per mantenere altre decine di milioni di persone (o miliardi? lo iussolista ovviamente non fornisce mai un tetto numerico), centuplicare l’illuminazione notturna e le telecamere, costruire case e prigioni, disboscare per ottenere combustibile per gli accampamenti, cacciare di frodo per nutrirsi, eccetera?
Non sono domande retoriche. Siamo di fronte a un mistero, un incredibile interrogativo. Non resta che appigliarsi alle considerazioni di Erich Fromm, secondo cui una persona su tre è potenzialmente un essere distruttivo. Noi non ci spingiamo a tanto: come osservazione antropologica, limitiamoci ad affermare che attraverso le varie epoche è sempre presente un 20% di popolazione formata da psicopatici, pronti a essere ghermiti e malleati da fascismo, nazismo, comunismo, terzomondismo e tifo calcistico.
Quindi, quando vediamo qualcuno manifestare o inneggiare o adoprarsi attivamente per l’importazione forzata di maree di stranieri, è lecito sospettare che si tratti di povere creature frustrate, bisognose di cure psichiatriche. Fa parte del gioco storico, e di volta in volta possiamo solo sperare che l’ideologia del momento sia meno bestiale di quelle che l’anno preceduta.
Si dirà: ma ad appoggiare certe follie politiche sono molti di più; non proprio la maggioranza, ma ben oltre un quinto della cittadinanza in un modo o nell’altro – votando, simpatizzando – dà manforte a costoro… Essendo davvero impossibile considerarli tutti psicopatici, non resta che definirli ignoranti, nel consueto senso di individui che non sanno pressoché nulla dei meccanismi del mondo. Non saranno forse esempi di intuizione o ragionamento critico, questi cittadini illuminati, ma bisogna ammettere che strumenti e dati per riflettere ne hanno a disposizione ben pochi. Non c’è giornale, periodico o trasmissione televisiva che ospiti un’analisi del problema migratorio (o del “problema etnico” tout court), poiché tutto è visto come una lotta tra buoni e cattivi, tra bene e male, tra progresso e oscurantismo. Una disinformazione tale da spingerci ad ammettere che anche la loro controparte, la massa dei contrari allo ius soli – che chiameremmo iussanguinisti, se solo sapessero di essere tali – brancola nell’ignoranza. Nell’uno e nell’altro versante si ripete a pappagallo quello che arriva da fuori, muovendosi intruppati nelle proprie simpatie politiche. Chi ha paura e la sensazione che si stia per finire in una tragedia, da una parte; chi ha paura ma sente di appartenere alla parte migliore della società, dall’altra.
C’è però una categoria umana che non ha nulla da spartire con i malati oicofobici e xenomani, né con il gregge dei benpensanti: i politici. Parliamo, va da sé, di professionisti d’alto livello (difficile pensare che Josefa Idem abbia una minima idea di quello che dice sull’argomento), che se intraprendono una lotta lo fanno per motivi razionali e precisi. Sappiamo che nessuno di loro ha un minimo di interesse umanitario per il prossimo, in qualsiasi partito militi. Quindi il loro fine è oscuro. Quindi si propongono di ricavarne un utile, per se stessi e per la loro cerchia ristretta. Dal momento che tutto ciò presuppone la distruzione di una civiltà, un disastro economico e la perdita di migliaia di vite, possiamo spingerci ad affermare che il loro operato è criminale.
Il grande problema, forse l’unico vero problema da affrontare per contrastare la tragedia incombente, è scoprire una volta per tutte cosa si nasconde dietro il terzomondismo dei vertici. E non è facile. Il capitano che fa segare le assi del proprio veliero per riscaldarsi, perché lo fa (sapendo che non è matto)? Cosa si propone dall’affogamento del suo equipaggio? Ed è certo di sopravvivere?
Ecco, allora, il compito che ci attende se vogliamo – noi – sopravvivere. Emarginare gli psicopatici, anche se sono premi Nobel, e perseguirli per i reati di ingiuria e diffamazione quando, per esempio, danno del “razzista” a chi non la pensa come loro. Promuovere studi e ricerche sui fenomeni migratori e pretendere che vengano divulgati dai media, così che anche la borghesia illuminata abbia gli strumenti per deliberare. Capire, con inchieste e investigazioni, perché alla fine degli anni ’80 è iniziata una campagna di preparazione (anche attraverso i giornali, ma di cui non uno straccio di giornalista si è mai accorto) alla società multirazziale, all’esercizio della cosiddetta tolleranza e al fatto che ben presto – parola del ministro De Lorenzo – in Italia ci sarebbero stati 20 milioni di italiani e 30 di stranieri. E questo quando ancora gli unici immigrati erano un pugno di vucumprà.