A ormai dieci giorni dalla strage di rospi neometamorfosati maciullati a migliaia intorno al Lago di Fimon (4 maggio 2024) è possibile porre qualche considerazione di “carattere generale”? Per andare oltre alla sacrosanta – ma temo sterile – indignazione.
Intanto sulla situazione del lago stesso, forse impropriamente definito “perla dei Berici”. In realtà, più che un laghetto in stile alpino andrebbe classificato come zona umida, e proprio per questo altamente degna di ampia protezione. Invece negli ultimi anni, con la scusa della solita “valorizzazione”, ha subìto interventi di antropizzazione quantomeno deleteri se non proprio devastanti. Come lo spostamento forzato e la conseguente quasi definitiva scomparsa del canneto dalle rive sottostanti Lapio a quelle sovrastate da Villabalzana. Oppure con la realizzazione di decine di avamposti per pescatori e la presenza di natanti di vario genere.
Con i risultati che sappiamo. Sempre più rari gli avvistamenti di Tarabusino (Ixobrychus minutus, negli anni ottanta presente con oltre una ventina di coppie nidificanti), Pendolino (Remiz pendulinus) e Cannareccione (Acrocephalus arundinaceus). Magra consolazione quella di poterli ammirare nelle immagini delle tabelle didattiche.

A tale proposito riprendo, testualmente, l’articolo Ma è il Lago di Fimon o l’Idroscalo? che avevo scritto per il bollettino del circolo socialdemocratico di Noventa Vicentina. In “epoca non sospetta”, nel luglio 2011, dopo un tragico episodio in cui aveva perso la vita per annegamento un turista in barca:

Quando le conseguenze (gli “effetti collaterali”) delle nostre azioni ricadono sugli altri sarebbe forse il caso di fermarsi a riflettere. Il tragico episodio accaduto recentemente al Lago di Fimon ripropone la questione del rapporto con il mondo naturale nella società del consumismo e dello “spettacolo”.
Il progetto “Riqualificazione ambientale del lago di Fimon”, fiore all’occhiello del Comune di Arcugnano e della Provincia di Vicenza, si è rivelato una presa in giro che ha portato al totale “cambiamento d’uso” di questo luogo a pochi chilometri dalla città, rimasto relativamente integro fino a pochi anni fa.
Nel volume di Girardi e Mezzalira Il lago e le valli di Fimon (1991) si racconta il lago come uno spazio di eccezionale interesse ecologico e naturalistico per il paesaggio e la varietà della flora e della fauna, di grande importanza storica e paleontologica.
Per qualche motivo che possiamo soltanto immaginare si è voluto “valorizzare” questo territorio delicato. Oggi (2011) questo termine è diventato sinonimo di “stravolgimento”: da ambiente naturale di pregio ad ambiente ricreativo e turistico a uso di velisti e pescatori.
I 32 box attrezzati per la pesca sportiva per gare singole e a coppie hanno proposto una monocoltura di tipo invasivo. Il canneto, trapiantato da ovest a est, è praticamente distrutto. Aprendo di fatto il lago alle escursioni di natanti di ogni genere, anche nelle ore notturne. La pesca praticata dai locali in passato aveva ben altra consapevolezza e frequenza.
Si è voluto entrare in questo angolo di Colli Berici come un elefante in una cristalleria, progettando interventi non compatibili con la biodiversità del luogo, trasformandolo in un qualsiasi idroscalo.
Tutti conosciamo la pericolosità delle sue acque scure, vere trappole per chi inavvertitamente vi scivola. Acque con cui non si dovrebbe scherzare, ma l’atmosfera da parco giochi, le bellezze in costume sdraiate sul pontile (quello per consentire la pesca ai disabili, in teoria), i bambini vocianti mentre intrappolano girini nelle bottiglie, possono ingannare sulla reale natura del luogo e confonderlo con una piscina.
Con questi interventi è stato incentivato un approccio superficiale, di facile consumo, senza responsabilità per le conseguenze.
Al momento, tarabusino e pendolino con ogni probabilità non nidificano più in questo ambiente. Altri uccelli non nidificanti ma presenti in passato, sembrano o quasi scomparsi (come lo smergo e lo svasso, già segnalati dalla lipu) o comunque molto meno frequenti (come la folaga).
Se organismi internazionali affermano che la diminuzione del numero delle specie procede a un ritmo mille volte più rapido che nel passato (la famosa “lista rossa” a rischio di estinzione), noi sappiamo che una delle cause più evidenti è la trasformazione degli habitat, legata alla crescita esorbitante delle attività umane, anche quelle del tempo “libero”.
Rinnovando quindi la preoccupazione per il futuro dei Colli Berici, intesi come ambiente naturale e non come oggetto di speculazione, anche se fatta in nome della “valorizzazione” dell’ambiente. La Natura si valorizza benissimo da sola.

Quindi possiamo dire che, date le premesse, è stata una facile profezia prevedere quanto è avvenuto il 4 maggio 2024.
Ovviamente poteva andare perfino peggio. All’epoca c’era chi proponeva, in nome di una malintesa “promozione turistica”, oltre alla realizzazione di altri chioschi e punti ristoro, quella di “giochi d’acqua” (scivoli e trampolini, confondendolo forse con il laghetto di Lavarone). Insomma, correva veramente il rischio di diventare l’equivalente vicentino dell’Idroscalo.
Detto questo andrebbe considerato anche un altro aspetto. Da qualche anno i Colli Berici sono diventati la location di eventi di vario genere (marce podistiche, gare ciclistiche, eccetera) e sui sentieri, spesso brutalmente allargati con motoseghe e decespugliatori, sfrecciano bolidi di vario ordine e grado. Oltre alle moto – mai del tutto scomparse nonostante i divieti – biciclette di vario genere, magari elettriche, ancora più pesanti, che oltre a scavare il terreno trasformando i sentieri in solchi più o meno profondi. schiacciano impietosamente salamandre, orbettini e altri piccoli animali (documentabile).
Generalmente in “modica quantità”, ma stavolta su scala industriale dato che si è infierito sulle inermi creature intente ad abbandonare il lago per migrare verso le zone boscose circostanti. Un fenomeno ricorrente del tutto naturale, previsto e prevedibile, che purtroppo ha coinciso con una manifestazione ciclistica autorizzata dalla Provincia. Tale evento avrebbe dovuto svolgersi domenica 5 maggio, ma è stata preceduta da un “sopralluogo” nella giornata di sabato. Per cui il 4 maggio le biciclette (in ricognizione sul percorso, presumo) e i quad di supporto (ma si può!?) ne hanno fatto strage.
Nel comunicato purtroppo intempestivo di un gruppo ambientalista si legge che “la decisione della manifestazione ciclistica entra in contrasto con l’autorizzazione, fornita al contempo al gruppo sos Anfibi Vicenza, per chiudere un tratto di strada circumlacuale al fine di effettuare interventi di salvataggio degli anfibi”. Soltanto l’encomiabile intervento in extremis delle guardie zoofile enpa ha consentito la modifica del percorso della gara prevista per domenica 5 maggio. Evitando ulteriori uccisioni dei rospetti migranti. Tuttavia i volontari enpa venivano allertati soltanto la sera prima, quando ormai un danno irreparabile era già avvenuto.
Da segnalare l’assoluta mancanza di tempismo, oltre che di sensibilità, nel programmare tali eventi (di cui comunque non si sente la necessità). È questo il periodo dell’anno in cui, oltre all’uscita dal lago dei giovani anfibi, nidificano e nascono gli uccelli selvatici qui ancora presenti.

Il precedente di Longare

Fatte le debite proporzioni (le vittime erano in minor numero, ma trattandosi di adulti in fase riproduttiva il bilancio era almeno equiparabile), mi ha ricordato quanto accadde una quindicina di anni fa a Longare allorché centinaia di rospi, scesi dai boschi circostanti per raggiungere il canale Bisato dove potersi riprodurre, cominciarono ad attraversare la strada conosciuta come Riviera Berica. Anche se in questo caso (una “tragica fatalità”) forse c’erano delle attenuanti. Probabilmente una conseguenza imprevista degli invasivi lavori di ripristino, con posa di pietre, delle rive del canale nel tratto in prossimità di “Pluto”, dove il Bisato fuoriesce da una galleria arrivando dalla Val Bugano. Laddove prima, sempre presumibilmente, la maggior parte andava a deporre le uova direttamente nel tratto tra il monte e la strada, trovandolo ora impraticabile avevano preso a raggiungerlo più avanti, oltre la strada alquanto frequentata anche di notte.
Per i due-tre anni successivi (almeno finché il fenomeno era durato), all’epoca della migrazione, decine di volontari si erano impegnati a raccoglierli in tempo trasportandoli fino al canale, impedendo così che finissero spiaccicati dalle ruote impietose.
Uno spettacolo confortante ammirare questi animali, in apparenza goffi, nuotare agilmente e velocemente appena posti in acqua.

Il ruolo dei batraci

Parlando dei batraci, ne va sottolineato il ruolo fondamentale come equilibratori ecologici degli habitat in cui vivono, in genere già compromessi dall’antropizzazione. Oltre che essenziali per la catena alimentare (per gli studiosi sarebbero i vertebrati terrestri più abbondanti per biomassa), risultano fondamentali per il controllo delle zanzare. Per cui non si può escludere che anche il ritorno della malaria, e altro, possa essere in relazione con la loro costante diminuzione.
Tra quelli nostrani, sui Berici ritengo sia a rischio l’ululone dal ventre giallo (presumo per l’inquinamento da trattamenti nei vigneti). Ancora non risulta, ma in futuro potrebbe avere effetti devastanti l’ulteriore diffusione della chitridiomicosi che a livello planetario ha già causato danni ingenti a svariate popolazioni di anfibi. Si parla ormai dell’estinzione di almeno 90 specie, in Germania e Olanda starebbe provocando la quasi scomparsa delle salamandre.
Per rane e rospi il pericolo proviene dal fungo Batrachochytrium dendrobatidis, per le salamandre dal Batrachochytrium salamandrivorans di origine australiana (precisamente dal Queensland dove ha sterminato la Ranoidea rheocola), forse a causa del malaugurato commercio di anfibi esotici per gli acquari.
Da non sottovalutare poi le microplastiche che evidentemente non inquinano solo gli ecosistemi marini. Tracce ne sono state rinvenute nello stomaco di alcuni anfibi come il Triturus Carnifex (in aree appenniniche, addirittura nei Parchi del Gran Sasso e Monti della Laga).
La pesca sportiva in alcuni specchi d’acqua appenninici starebbe invece mettendo a rischio la sopravvivenza della rarissima salamandra di Savi (i pesci qui introdotti ne divorano le larve).
Un’altra salamandrina, la “vicentina” e ancor più rara Salamandra atra aurorae, ha rischiato l’estinzione totale a causa dell’esbosco in periodo estivo nelle ristrette aree dell’Altipiano dove sopravvive(va?). Magari sarebbe bastato – meglio che niente – operare come nel Trentino dove alcune autorità comunali avevano imposto l’esbosco nel tardo periodo invernale, con il sottobosco ancora ghiacciato e le salamandre in letargo. Ma nel vicentino pare siano prevalse la logica commerciale e le esigenze delle aziende forestali.

La Salamandra atra aurorae, rarissima e minacciatissima, vive soltanto sull’altipiano dei Sette Comuni. In cimbro si chiama “Güllandar Ekkelsturtzo”.

Considerazione finale. Ormai di gente che “ama immergersi nella natura” non se ne può più. Meglio sarebbe cercare di riportarla là dove è stata estromessa. Per esempio piantando alberi nelle aree degradate, come zone industriali dismesse, cave abbandonate, eccetera. E smettere di scendere a rotta di collo per qualche pendio o piantare spit sulle maltrattate pareti di qualche “falesia”. Percorrere i sentieri in silenzio e a piedi, se non proprio in solitudine almeno in gruppi esigui. Evitare di frequentare le grotte quando i pipistrelli sono in letargo e non recidere alberi e arbusti (penso alle roverelle e ai ginepri sradicati in questi giorni per allargare un sentiero nei Berici meridionali).
D’altra parte capisco che per qualcuno è necessario “sfogarsi”… Che dire, sfogatevi pure, ma almeno non venite a tediarci blaterando del vostro “amore per la Natura”. Dubito molto che sia ricambiato.

Foto del titolo di Marek Szczepanek.