La Weltanschaaung dei montanari walser è carica di favole e racconti da brivido

Il folletto, personaggio principale delle saghe germaniche e gli spiriti dei morti (forse retaggio del mondo scandinavo e prova della discendenza norvegese?) sono i riferimenti obbligati della letteratura locale. In verità, le leggende hanno per protagonisti più gli spiriti dei morti che i folletti, ma se questi ultimi intervengono sono davvero guai!

Il più delle volte esprimono furbizia, ma non manca la cattiveria. Come ad esempio avvenne per la città di Felik che si trovava sulla sponda destra del Lys, tra una morena laterale del suo ghiacciaio e l’alpe Sikken. I suoi abitanti, racconta la leggenda, erano tutti ricchi per i traffici lucrosi con il vicino Vallese. Nessuno pativa la povertà.

Un giorno si presentò nella città di Felik un misero viandante, chiedendo ospitalità, ma nessuna famiglia gliela offrì. A questo punto entra in scena il folletto vendicatore: è lui, infatti, a suggerire allo sconsolato viandante di attuare una vendetta. Che sarà terribile. Il pover’uomo scagliò una maledizione che il folletto rese operativa convincendo gli elementi della natura a scatenarsi. Nevicò abbondante per decine di giorni tanto che neve e ghiaccio seppellirono Felik. Della città non restò che il nome, quello appunto attribuito al colle presso il quale, giura la leggenda, sorgeva quel cattivo agglomerato. La scomparsa della città di Felik si ricollega, come fa notare Bruno Favre, alla leggenda della Valle Perduta (Die Verlorene Tal), tramandata dalle genti di Gressoney, Alagna e Macugnaga. Secondo quest’altra leggenda, nella regione a nord del Monte Rosa esisteva un tempo una valle ricca di boschi e pascoli fertili. Ma i ghiacciai la inghiottirono e da allora è mitizzata come la Valle Perduta.

D’accordo, è leggenda. Tuttavia è interessante ricordare che nelle antiche carte geografiche (carte del Piemonte di Borgonio 1680, di Cantelli 1691, di Coronelli 1693) è segnata una valle longitudinale che si inserisce tra la Valle d’Aosta e il Vallese, lasciando a sud il gruppo del Rosa. Oggi non esiste più. Le saghe nordiche – in particolare quelle norvegesi – evocano processioni di anime in pena lungo i ghiacciai e quando fa crepuscolo. I folletti non mettono necessariamente paura, anzi sono talvolta anche allegri e burloni. Ma la Tôtô- Prozession (processione dei morti) ha sempre spaventato l’uditorio nelle lunghe veglie invernali davanti al fuoco nello stadel (baita).

Proprio a Gressoney La Trinité, le vecchie generazioni raccontavano una storia accaduta nel 1838. Johann Latteltin, padre del parroco di Saint-Jean, si trovava con un altro figlio, Jakob, nel Vallese, precisamente a Zermatt. Per motivi di famiglia, Johann e Jakob furono costretti a interrompere il soggiorno svizzero per fare ritorno al di qua del Rosa. Per fare più presto, ingaggiarono una guida. Verso mezzanotte, i tre erano al Mattejoch (Teodulo). Frastornato dalla stanchezza, il gruppetto si appostò presso una roccia e la guida, a un certo punto, intimò di stare in silenzio. Passava la processione dei morti. Come poi Johann e Jakob e ancora i loro figli racconteranno per decenni, i tre notarono una lunga colonna avanzare verso la roccia che li proteggeva. In testa, un’ombra indistinta portava il Crocefisso e dietro, lungo la fila, sventolavano gonfaloni e risuonavano nel vento trilli di campanelle. La Tôtô- Prozession passò a qualche metro dal gruppetto impaurito e poi cominciò a scendere il colle. Ma proprio uno degli ultimi della fila, più voce che corpo, parlò al vecchio Johann Latteltin. Gli disse giorno e anno della sua morte. Quella data non si tolse più dalla mente di Johann. Anzi, poco tempo prima della scadenza, Latteltin s’interessò di persona per la sua sepoltura e fece pure scavare la fossa. Puntualmente, nell’anno e nel giorno della predizione, Johann Latteltin, papà del parroco, “rese l’anima a Dio”, come spiega la leggenda.

Ma fu davvero leggenda l’intera storia? Gli scienziati parlano di fenomeno collettivo o singolo dovuto alla stanchezza: la Tôtô-Prozession sarebbe una specie di visione riscontrabile in ogni clima o latitudine quando c’è pure un fenomeno di disidratazione nel soggetto stanco. Probabilmente è cosi. Ma per tanti anni ai gressonari è piaciuto credere l’opposto, ossia che la processione dei morti era una situazione davvero reale e riscontrabile sulle loro montagne. A ogni gruppo, per sopravvivere, occorre pure il mito.