Origine, migrazione e dispersione dei popoli nomadi. L’organizzazione sociale. Gli usi e le tradizioni, dalla nascita alla morte.

Alessandro Galdi

La storia degli Zingari prima della loro comparsa in Europa rimane a tutt’oggi in gran parte un mistero. Coloro che per primi tentarono di stabilire la provenienza li classificarono nei modi più svariati: discendenti di Cus, figlio di Cam, appartenenti a una delle tribù d’Israele, superstiti degeneri dell’Egitto faraonico. Altri videro in essi gli inventori del bronzo o i sopravvissuti di Atlantide e centinaia e centinaia potrebbero essere le interpretazioni. Fiumi di pagine sono state scritte sul conto degli Zingari senza che si potesse giungere ad una loro precisa collocazione etno- geografica.

La certezza della loro origine venne infine nel secolo XVIII dalla linguistica: in base agli studi concernenti i tratti lessico-sintattici più evidenti gli Zingari dovrebbero provenire dalle regioni del nord-ovest dell’India. Rimane tuttavia un mistero stabilire da quale o da quali di queste regioni essi si mossero: la differenza notevole esistente tra i dialetti dei vari gruppi Zingari europei, per non parlare di quelli asiatici, dimostra senza ombra di dubbio che la migrazione non fu unica e limitata ad un ristretto arco di tempo.

Solo le cronache degli storici, che incominciano a diffondersi in Europa in seguito alla loro comparsa nel nostro continente, possono fornirci una qualche indicazione sui loro successivi spostamenti, pur restando arduo stabilire se si sia sempre trattato di Zingari o di altri gruppi nomadi ad essi estranei.

Il più antico testo non europeo a noi pervenuto, riguardante una popolazione nomade affine agli Zingari, i Luri o Luli, consiste in un passo del “Libro dei Re” del poeta persiano Firdusi, databile al 1011 d.C. In esso si narra che nel 420 a.C., regnando in Persia Baharam Guru, dodicimila Luri, esperti nell’arte del liuto, furono chiamati dall’India per allietare i sudditi del sovrano. Per le loro prestazioni essi ricevettero ingenti doni che subito dissiparono e per ciò furono puniti con la condanna al nomadismo perpetuo. Il racconto testimonia se non altro che in quel periodo si verificò una considerevole migrazione dall’India alla Persia.

Di qui, sempre con l’aiuto della linguistica, non è difficile stabilire che una parte di essi, attraversando l’Armenia giunse nella Grecia bizantina e nei territori controllati dallo stesso Impero, mentre un secondo gruppo si sarebbe spostato nell’Asia centrale, attraversando in seguito la Siria e la Palestina fino a raggiungere l’Egitto (1).

La presenza di Zingari in Grecia è segnalata nell’isola di Creta, nei pressi della città di Candia e in altre isole mediterranee vicine, da due frati minori nel 1322 (2). A Modon, sulle coste del Peloponneso, non lontano dal monte Gype, nel 1384 l’italiano Frescobaldi nota una folta colonia di Zingari, da lui scambiati per eremiti, ma identificati come nomadi da relazioni scritte nella metà del secolo XV (3).

Verso la metà del secolo XIV troviamo, secondo le cronache, dei Cingànije in Serbia e Valacchia, dove saranno tenuti schiavi fino alla metà del secolo scorso. Un atto di Mircea I, voivoda di Valacchia, conferma la donazione fatta verso il 1370 da suo zio Vladislao al monastero di S. Antonio di quaranta famiglie di Atsingàni, il che confermerebbe che in quell’epoca la schiavitù zingara era già un fatto acquisito (4). Verso il 1416, in seguito al conflitto scoppiato tra gli eserciti turco e bizantino, gli Zingari che poterono affrancarsi dalla schiavitù decisero di abbandonare il territorio. Non si trattò tuttavia anche in questo caso di una migrazione massiccia ed uniforme, ma piuttosto del movimento di avanguardie alla ricerca di nuovi paesi in cui stabilirsi.

Alcuni dunque, servendosi di lettere di protezione firmate dall’Imperatore Sigismondo, re di Boemia e d’Ungheria (5), si mossero verso il nord della Germania, confluendo nella regione della Sassonia e della Hesse, fino a toccare la Svizzera. Nell’agosto del 1419 fecero la loro prima comparsa in territorio francese, ne percorsero dapprima il sud, poi il nord, spingendosi di qui nel Belgio e nei Paesi Bassi. Durante questi spostamenti essi furono quasi sempre bene accolti grazie all’esibizione delle lettere imperiali cui abbiamo sopra accennato, ma con l’andar del tempo si resero conto che era necessario procurarsi una protezione più autorevole e duratura, come quella del Sommo Pontefice. Il 18 luglio 1422 un folto gruppo zingaro, capeggiato dal sedicente duca Andrea del Piccolo Egitto, si presentò alla porte di Bologna, diretto verso la sede pontificia, ma è curioso notare come di un avvenimento del genere non si faccia parola nemmeno negli Archivi Vaticani. Sta di fatto che essi ritornarono dall’Italia esibendo bolle papali in cui si esortavano le autorità civili ed ecclesiastiche a lasciarli liberamente transitare sui loro territori senza pagare alcuna tassa o diritto di pedaggio e si promettevano assoluzioni speciali ai fedeli che avessero favorito i pellegrini (6). Nonostante sussistano forti dubbi circa l’autenticità di tali lettere, sembra che molti vi abbiano prestato fede per più di un secolo, facilitando gli Zingari in un pellegrinaggio che, a loro detta, avrebbe avuto lo scopo di espiare il peccato commesso nel convertirsi per convenienza alla religione musulmana durante la dominazione dei Turchi, nell’impero bizantino.

Nell’agosto del 1427, come testimonia la cronaca conosciuta sotto il nome di “Journal d’un bourgeois de Paris”, essi fecero la loro prima comparsa a Parigi, dove soggiornarono per più di tre settimane (7) creando un tal sconcerto tra la popolazione per la loro attività di latrocinio, mendicità e chiromanzia da esserne allontanati l’8 settembre dello stesso anno (8). Mentre dunque una parte di tale gruppo risaliva il nord della Francia toccando la Bretagna e la Normandia e disperdendosi nel resto del paese, altri più tardi penetrarono in Spagna attraverso i Pirenei. Essi non giunsero infatti nella penisola iberica attraverso lo stretto di Gibilterra, come si credette per molti anni, il che sarebbe confermato dalla scarsa presenza di vocaboli arabi nel dialetto dei Gitani (9).

In Portogallo nel 1526 gli Zingari erano talmente numerosi da destare serie preoccupazioni nel governo, mentre in Inghilterra il loro sbarco passò quasi inosservato, forse perché a tutta prima vennero confusi con i Tinkers, popolo nomade di origine gaelica ivi stanziato da lungo tempo e professante mestieri assai affini a quelli degli Zingari.

I primi contatti con la Danimarca vennero stabiliti nel 1505, quando un gruppo di nomadi provenienti dalla Scozia vi sbarcò, raccomandato dal sovrano inglese allo zio, re di Danimarca; la Norvegia invece ricevette i suoi primi zingari abbandonati a forza da un battello inglese. I nuclei zingari approdati nella penisola scandinava pare si siano divisi in due tronchi, gli uni attraversando la Germania e spingendosi all’Ovest, gli altri all’Est, tramite lo Jutland (10), Tra questi, alcuni penetrarono in Finlandia, mentre due gruppi distinti, i cosiddetti “Zingari della montagna” provenienti dall’Ungheria e dalla Romania, e quelli “della pianura”, provenienti dalla Germania, (11) si diffusero in Polonia e raggiunsero in seguito la Lituania. La penetrazione degli Zingari in Russia avvenne in primo luogo verso il 1501, mentre nella seconda metà del 1700 un altro contingente, proveniente dalla Moldavia si spingeva fino alle zone settentrionali dell’impero russo. Infine, alcuni Zingari provenienti dalla Polonia raggiunsero Tobolsk, in Siberia, dopo aver attraversato il territorio russo dall’Ovest all’Est.

La presenza degli Zingari nelle Americhe e nelle ex-colonie è perlopiù dovuta alle deportazioni che furono loro imposte dai vari governi europei ansiosi di liberarsi della loro presenza.

Classificazione dei gruppi

Prima di intraprendere un discorso sulle strutture che regolano l’organizzazione familiare e sociale degli Zingari, mi sembra doveroso tentarne una classificazione etnografica. La maggior parte degli ziganologi che nel secolo XVIII si sono occupati del problema, tra cui citiamo i più noti, come il tedesco Grellmann (12) e l’italiano Predari (13), non fanno cenno ad alcuna classificazione dei gruppi zingari, all’infuori di quella più generica tra europei ed asiatici e tendono a considerare tale popolo come più o meno culturalmente omogeneo, al di là degli stanziamenti geografici. Solamente nella seconda metà del secolo scorso gli studiosi incominciano a considerare gli Zingari come popolazione eterogenea per lingua, costumi, tradizioni e storia e a fornire una classificazione. Per attenerci agli Zingari stanziati in Europa, poiché le interpretazioni a riguardo costituiscono una messe interminabile di suddivisioni talvolta attendibili e talvolta arbitrarie, ci limiteremo a schematizzare il più possibile.

Esistono in Europa tre gruppi fondamentali, i Rom, i Sinti e i Gitani, diversi tra loro per il patrimonio storico e culturale, malgrado la comunanza delle origini. Tra di essi i Gitani rappresentano un gruppo a parte, sia perché per essi la sedentarizzazione è ormai acquisita da tempo, sia perché il loro dialetto, il calò, rappresenta una sintesi tra la struttura grammaticale della lingua spagnola e il substrato lessicale della lingua zingara, il romanès. I due rimanenti gruppi, Rom e Sinto, si differenziano tra di loro principalmente per la diversità morfologica, lessicale e sintattica dei dialetti usati e ognuno di essi si suddivide a sua volta in numerosi sottogruppi. La denominazione di questi è data generalmente, presso i Rom, dall’identificazione con i mestieri svolti, anche qualora molti di essi risultino ormai desueti. Avremo quindi ad es. Kalderàsha (calderai o fabbri ferrai), i Lovàra (allevatori di cavalli, dall’ungherese lob, cavallo), gli Ursàrija (ammaestratori d’orsi), ecc.

Presso i Sinti invece è data da un’identificazionc di tipo territoriale; ad es. i Sinti piemontesi, lombardi, gatshkane (tedeschi), estrekarja (austriaci), ecc., il che non significa ovviamente che tali sottogruppi siano esclusivamente stanziati nei territori da cui hanno tratto la denominazione.

Mentre la maggior parte delle suddivisioni tra gruppi e sottogruppi zingari parte quasi sempre da considerazioni di carattere linguistico (vedi Liégeois, Bloch, Clébert, Gilliat-Smith ecc.), chi fornisce un’interpretazione totalmente diversa è l’etnologo belga Luc de Heusch (14), che poggia le sue argomentazioni principalmente sulla differenza tra Zingari nomadi, che tuttora conducono vita nomade, e sedentari o semisedentari.

Il de Heusch, escludendo arbitrariamente questi ultimi, sostiene che i primi si suddividono in cinque classi sociali, rassa, come egli le definisce: i Lovàra, i Ciuràra, i Kalderàsha, i Matshvàya e i Sinti (o Manosh). Tutte insieme le classi costituirebbero i Róma, i veri Zingari, e la classificazione implicherebbe una rigida scala di prestigio e subordinazione dal meno nobile al più nobile. Nonostante che l’interpretazione fornita dal de Heusch non manchi di interesse e di utilità, in quanto eliminerebbe le incertezze di una classificazione geografica, tuttavia mi è assai difficile accettarla. La suddivisione in classi sociali implica da un lato una tendenziale omogeneità delle famiglie e dei sottogruppi che la compongono, ossia un grado di prestigio, di ricchezza e di autorità affini e richiede, in secondo luogo, la subordinazione di una classe all’altra. Ora, stando almeno al testo del de Heusch, non è dato constatare né l’uno né l’altro di tali presupposti. Inoltre il termine rassa, che egli traduce arbitrariamente con “classe sociale”, equivale per il suo accompagnatore Jan Yoors, zingaro adottivo (15), a “tribù” e anche se l’etnologo afferma che non esiste una vera organizzazione tribale all’interno dei gruppi zingari, ciò non mi sembra sufficiente per alterarne il significato originario, tanto più che i due termini semanticamente non si equivalgono affatto.

L’organizzazione sociale

La kumpània rappresenta l’unica forma di organizzazione sociale conosciuta dai gruppi zingari ed è basata sulla famiglia nucleare. Esaminiamo ora se al di là della kumpània sia possibile individuare un tessuto sociale più vasto e consistente. Il Liégeois (l6) afferma che più famiglie nucleari, unite da legami di parentela fra i componenti, formano una famiglia estesa o lignaggio, definita vi tsa, o secondo il Nicolini (17) stàmma, che può comprendere fino a 200 persone. A loro volta tali lignaggi si riunirebbero sotto uno stesso nome, costituendo un gruppo denominato nàtsja. Più nàtsja formerebbero un sottogruppo e l’unione dei sottogruppi costituirebbe infine i tre gruppi fondamentali dei Rom, dei Sinti e dei Gitani.

Tuttavia la famiglia estesa esiste solamente quando le famiglie nucleari che la compongono hanno fra di loro corresponsabilità economica, ossia quando i beni sono egualmente divisi al pari dei guadagni. Ciò implicherebbe una convivenza costante dei gruppi famigliari, il che sembra assai difficile per gli Zingari, data la fluidità e l’instabilità della kumpània. Ammetteremo tuttavia che, se è improbabile che ciò si verifichi presso i sottogruppi nomadi (Rom) è altrettanto probabile che possa avvenire per i sottogruppi sedentari o semisedentari (Sinti, Rom dell’Italia Centro-meridionale, Gitani). Inoltre la tendenza dei gruppi, ed in particolare dei sottogruppi all’endogamia per quanto riguarda il matrimonio, contraddice il concetto antropologico di lignaggio, per lo più basato sull’esogamia, su matrimoni contratti generalmente all’esterno della propria famiglia o del proprio gruppo.

A differenza di altre culture che hanno creato un’organizzazione sociale più o meno stabile, controllata dalle più svariate forme di governo, regolata da leggi valide per tutti gli appartenenti alla comunità o alla nazione, gli Zingari non hanno potuto o voluto fare altrettanto. La motivazione fondamentale di questo fatto va indubbiamente ricercata nel nomadismo che li ha spinti ad attraversare grandi distanze, mettendoli a contatto con le più diverse strutture sociali e politiche. Ne consegue che l’agglomerato più stabile conosciuto dagli Zingari nomadi o semisedentari è la kumpània, che si può definire come “unità sociale in movimento che riunisce per un periodo più o meno lungo un numero variabile di famiglie nucleari” (18). È interessante notare che, pur essendo posto l’accento sulla parentela patrilineare, non si ravvisa terminologicamente alcuna traccia di sistema classificatorio. Ciò trova riscontro soprattutto presso i sottogruppi semisedentari come i Sinti Piemontesi dove tanto i parenti del padre quanto quelli della madre sono designati con termini identici (es.kakó “zio” e bibi “zia” sono utilizzati per entrambe le linee). A livello di gruppo sociale la kumpània si presenta come un’entità instabile e provvisoria, nella quale l’insieme di un certo numero di famiglie costituisce una sorta di nucleo difensivo nei confronti della società dei non-zingari (gagé), nonché offre la possibilità di un mutuo appoggio. Le singole famiglie all’intemo della kumpània vivono in modo autonomo e costituiscono ognuna un focolare distinto, in cui il padre esercita generalmente la sua autorità di capo-famiglia sulla moglie e sui figli, anche quelli sposati finché essi non diventino a loro volta padri, staccandosi dal nucleo di origine (19). Ciò non sembra essere necessariamente valido per i sottogruppi semisedentari quali i Sinti Piemontesi, dove la nuova coppia è libera di staccarsi dal proprio nucleo familiare non appena avvenuto il matrimonio, anche se non si è ancora verificata la nascita di un figlio.

L’unico organo giudiziario che sembra regolare la vita della kumpània è la kris, una sorta di tribunale costituito dai membri più anziani della comunità temporanea.

Il termine kris significa nello stesso tempo consiglio, diritto e giustizia. Essa si riunisce nel caso in cui il reato commesso sia assai grave, e rivolto verso un membro della kumpània. È opportuno notare che l’istituzione della kris è per lo più sconosciuta o dimenticata presso i Sinti, mentre resta in vigore presso i Rom, considerati i più fedeli custodi delle tradizioni. Tuttavia anche presso i Sinti è il consiglio dato dalle persone più anziane e rappresentative a risolvere problemi o controversie che sorgono all’intemo della kumpània.

La kris non ha potere esecutivo, ma ad essa è affidato unicamente il compito di giudicare e condannare o assolvere; tale incarico sarà svolto dal gruppo stesso (20) e le sanzioni applicabili nei riguardi dei colpevoli si possono suddividere in 4 categorie distinte: corporali, economiche, soprannaturali e sociali; sarà opportuno notare che le sanzioni soprannaturali sono le più temibili e si applicano solamente nei casi in cui la kris si scioglie senza che si sia scoperto il colpevole.

Usi e tradizioni

Secondo la maggior parte degli studiosi il matrimonio zingaro sarebbe prevalentemente di tipo endogamico, ossia la scelta del coniuge sarebbe rivolta all’intemo dello stesso gruppo o sottogruppo. Secondo alcuni l’endogamia, data la struttura della kumpània, sarebbe per gli Zingari uno stato di fatto, non un ideale o una regola. Il matrimonio all’interno del parentado inoltre presenterebbe spesso un vantaggio finanziario per entrambi i coniugi (21). Da quanto affermato fino ad ora risultano dunque due diversi aspetti dell’endogamia: a) all’intemo del gruppo o del sottogruppo, b) all’interno del parentado. Per quanto riguarda gli Zingari nomadi (Rom) il tipo b sembra prevalere sul tipo a.

Prima di esaminare brevemente le varie forme matrimoniali adottate dai gruppi zingari mi pare opportuno accennare alla possibilità di scelta di un coniuge gagìo (sedentario) da parte di un rom (zingaro) o di una romnì (zingara). Allo stato attuale delle cose sia per quanto riguarda i gruppi nomadi che per i sedentari o semisedentari non appare esservi preclusione alcuna, anche se è più frequente che una gagì (non zingara) sposi un rom (zingaro). In questo caso la donna dovrà completamente assoggettarsi alla tradizione zingara e piegarsi alle leggi del gruppo. È pure possibile, anche se poco frequente, il matrimonio tra Rom e Sinti, anche se la preferenza va sempre accordata alla scelta del coniuge all’interno del proprio gruppo.

Due risultano essere le forme matrimoniali maggiormente in uso presso i gruppi zingari:
a) il matrimonio per acquisto, prevalentemente adottato dal gruppo Rom,
b) il matrimonio per fuga, caratteristico del gruppo Sinto.

Il primo è caratterizzato dal prezzo della sposa, in merito al quale l’opinione prevalente è che esso sia legato ad un valore simbolico e che non risponda a fini immediatamente economici; la contrattazione ed il pagamento della sposa costituirebbero una sorta di rituale a cui partecipano non soltanto gli sposi e le loro famiglie, ma tutta la comunità. Nel corso del banchetto nuziale i beni accumulati saranno spesi fino all’ultimo centesimo; inoltre poiché non risulta che la famiglia zingara abbia una struttura patrilocale o matrilocale, la separazione di un figlio o di una figlia non dovrebbe arrecare un danno o un vantaggio sostanziale, tale da giustificare il prezzo d’acquisto come un risarcimento economico. In base a ciò il prezzo della sposa si limita alla funzione di ratificare il matrimonio tra i due giovani e di celebrare degnamente l’unione, affinché le famiglie ne traggano vantaggio e prestigio.

Il matrimonio per fuga sembra essere esclusivo del gruppo Sinto e si differenzia dal matrimonio per acquisto per l’assenza di contrattazioni preliminari tra le famiglie, almeno a livello esplicito, e di una cerimonia che sancisca il fidanzamento.
Il consenso dei genitori al matrimonio viene imposto dai giovani mediante la fuga; essi ritornano dopo una o due settimane ed ai parenti non resta che concedere il loro accordo. Uno schiaffo consacra l’unione mentre punisce la colpa, reale o simulata  (22). Presso i Sinti dunque non esiste né dote né prezzo della sposa; inoltre la scelta della ragazza non sembra indirizzata dai genitori del ragazzo e di conseguenza la fuga parrebbe reale e non preparata in precedenza con l’intervento delle famiglie. Avvenuta la fuga i due si rifugiano presso un parente, per la scelta del quale non si sceglie una regola fissa; egli farà da intermediario tra le due famiglie e prenderà accordi per la cerimonia nuziale e la festa. Presso i Sinti Piemontesi il momento della fuga è determinante in quanto comporta il compimento dell’atto sessuale; avvenuto ciò nulla è più possibile mutare ed il matrimonio dovrà essere accettato per forza, anche se i genitori non fossero d’accordo.

Accanto a questi due tipi di matrimonio sarà opportuno notare che ne esiste un terzo che accomuna le due componenti, ossia la fuga ed il pagamento della sposa. Esso sembra abbastanza in uso presso i rom xoraxané (musulmani) presso i quali la ragazza più o meno consenziente viene rapita dal giovane; il padre di quest’ultimo si impegnerà a pagare un determinato prezzo in denaro alla famiglia della ragazza, dopodiché il matrimonio sarà sancito di fronte alla comunità che prenderà parte alla festa nuziale.

Essendo la donna zingara molto attiva ed energica, il periodo della gravidanza non implica generalmente una sospensione o un rallentamento della sua attività, poiché si ritiene che il movimento faciliti il parto. Un tempo la nascita doveva avvenire all’aperto (23), fuori dalla roulotte o della tenda; solo in epoca recente gli Zingari hanno incominciato a servirsi delle cliniche ma sembrano farlo a malincuore e difficilmente resistono più del necessario.

Tutto ciò che riguarda il parto è impuro: luoghi, persone, ecc. (24). La gravidanza inoltre comporta la separazione momentanea dal marito: la donna non può preparargli i pasti, ma deve farlo solamente per sé con utensili propri che in seguito dovranno essere distrutti (25). Quando il parto avveniva all’aria aperta erano alcune donne esperte che si incaricavano di assistere la puerpera, dopodiché dovevano purificarsi. Il parto alla luce del sole ed a contatto con la terra non è sconosciuto ad altre culture. Esso implica un legame diretto tra la vita nascente e la forza vitale derivante dalla natura. I divieti imposti alla neo-madre non si esauriscono con la nascita del figlio. Generalmente la donna può mostrarsi dopo il parto soltanto al marito, che durante i primi giorni potrà vedere moglie e figlio soltanto da lontano, fino al momento del battesimo. Trascorso questo periodo la donna si laverà in un fiume, mentre tutto ciò di cui si è servita verrà rotto o gettato nell’acqua, dopodiché essa potrà riprendere la sua vita normale.

II bambino

Attualmente, venendo meno la tradizione, l’impurità sembra ridursi a pochi giorni (26); preciserò anzi che le regole sopradescritte non paiono più costituire una norma da osservare strettamente, almeno a quanto è dato verificare presso i sottogruppi semisedentari quali i Sinti Piemontesi, mentre è più probabile che vengano mantenute tra i Rom più tradizionalisti. Prima di chiudere l’argomento è importante sottolineare un fattore alquanto importante, come quello dell’aborto presso gli Zingari. Un matrimonio zingaro non sarebbe ritenuto completo senza la nascita di un figlio ed in taluni casi la sterilità della donna potrebbe essere causa di rottura dell’unione tra i coniugi. In ogni caso l’aborto volontario sarebbe sconosciuto (27), non solo, ma duramente condannato dagli Zingari, e qualora una donna morisse durante il parto ciò sarebbe un presagio funesto per tutto il gruppo.

Il conferimento del nome rappresenta uno degli aspetti più misteriosi e suggestivi della cultura zingara ed è stato oggetto delle più svariate ipotesi da parte degli ziganologi. Secondo il Frans de Ville durante la cerimonia del battesimo il neonato riceve dal padrino (kìrvo) un nome zingaro, che sarà impiegato solo presso il proprio gruppo (28). Il bambino ne avrà un altro che verrà denunciato all’anagrafe e sarà il nome in uso presso i Paesi in cui gli Zingari nomadizzano. Sembra invece che in epoca più antica, quando la donna partoriva da sola, sussurrasse all’orecchio del neonato un nome segreto che non sarebbe più stato ripetuto fino al raggiungimento della pubertà ed anche questa volta pronunciato a bassa voce per impedire che chiunque potesse scagliare una maledizione proferendolo. Il Nicolini non fa cenno a tale usanza ed afferma che il nome di battesimo avrebbe poca importanza essendo presto sostituito dal ròmano lab, il vero nome zingaro (29).

Presso i Sinti Piemontesi il neonato assume in genere il nome del kìrvo (padrino) o della kìrvi (madrina); dunque il Sinto ha generalmente due nomi, più eventualmente un soprannome che gli viene conferito dai familiari o dalla comunità ed è connesso a particolari modi di fare, ad azioni o caratteristiche fisiche. Ora, i soprannomi sembrano essere molto spesso usati per precise ragioni: poiché nome e cognome reali e corrispondenti ad una persona identificabile nella kumpània sono anagraficamente registrati, l’uso del soprannome consente probabilmente al Sinto:

a) di mimetizzarsi meglio nei confronti dell’esterno; b) di disporre di appellativi non conosciuti dai gagé (sedentari) e quindi di sottolineare e rafforzare i rapporti interni al gruppo. L’allattamento del bambino zingaro si protrae per un periodo assai più lungo di quanto non avvenga normalmente presso i non zingari: esso infatti può durare fino all’età di tre o quattro anni, e ciò è possibile dato il susseguirsi ravvicinato di parti. Quando nasce un figlio la donna, mentre lo allatta, porge spesso il seno anche agli altri figli. Sono propenso a ritenere che l’allattamento prolungato risponda a due diverse esigenze; da un lato esso dovrebbe sopperire presso i gruppi più emarginati e poveri alla scarsità di risorse alimentari, costituendo il latte materno un suppletivo gratuito e molto sostanzioso dell’alimentazione. Dall’altro lato esso sarebbe determinato da un senso di insicurezza ingenerato nel bambino nomade dalle sue precarie condizioni ambientali e vitali.

Tuttavia, per forza di cose, lo svezzamento sembra avvenire assai più rapidamente di quanto non si possa immaginare, ed inoltre è spesso attuato in maniera drastica. I genitori consentono piena libertà ai piccoli e, pur osservandoli da lontano non fanno mai pesare la loro presenza. La liberalità nei confronti dei figli è talvolta fin troppo accentuata e raramente un bambino viene castigato per una mancanza. Ciò deriva dal fatto che gli Zingari in genere sono molto attaccati alla foro prole e difficilmente se ne separano, anche in casi di grave malattia per mandarli in ospedale oppure in colonia, laddove le condizioni di sedentarietà e la frequenza alla scuola lo consentano. Nonostante ciò i piccoli sviluppano in fretta un senso notevole di auto-controllo divenendo ben presto utili all’economia della famiglia, tramite la pratica del manghél (accattonaggio) se non del piccolo furto.

La società zingara è purtroppo costituzionalmente debole; essa si trova, oggi più che un tempo, soggetta alle vessazioni ed ai colpi, sovente assai duri, sferrati dalla società ospitante ed essendo priva di mezzi materiali per una decisa affermazione deve aggirare l’ostacolo servendosi dell’astuzia, della resistenza fisica e della sopportazione. Il risultato più tragico di tale situazione è che in questo genere di vita i bambini zingari hanno perso o forse non hanno mai conosciuto la loro infanzia. Il gioco non è sovente per loro libera attività ed espressione creativa, ma diventa sovente manifestazione di violenza e di aggressività. D’altronde il passaggio dall’infanzia all’età adulta è assai breve e a otto o nove anni non sapranno già più cosa essa sia.

La morte e i suoi riti

La morte segna il punto estremo dell’arco vitale e rappresenta al pari della nascita un campo di vasta importanza per la comprensione della cultura di un popolo.

Alla morte di un membro della comunità zingara ha inizio il lutto, che generalmente dura un anno e un giorno, ma può anche durare fino a tre anni. Generalmente l’inumazione avviene in un cimitero non zingaro ed i funerali si svolgono in maniera solenne partecipando tutta la comunità alle spese. Presso i Sinti sembra prevalere l’usanza di bruciare la roulotte e gli oggetti appartenenti al morto; nessuno dei parenti, neppure quelli più stretti, ha diritto all’eredità. Gli oggetti di valore vengono sempre sepolti insieme al morto; quando ancora era in uso il cavallo, se era proprietà del morto, veniva ceduto al mattatoio affinché morisse al pari del padrone. Non manca mai, almeno presso i Sinti, la cerimonia in Chiesa, ed anzi, molto più che presso di noi, pare diffuso l’uso delle messe in suffragio. La morte di un individuo rappresenta sempre una grossa spesa per i parenti che vogliono condurre la cerimonia in modo conveniente. Soffermiamoci ora su uno degli aspetti più suggestivi del rituale concernente la morte, cioè l’uso di bruciare ogni oggetto ed ogni bene appartenuto al defunto, senza trasmetterlo ad altri. Il continuare a fare uso di tali oggetti presenterebbe il rischio di offendere, prima o poi, per loro tramite il morto stesso. In questo caso si identifica l’oggetto con la persona e come tali entrambi devono essere progressivamente dimenticati. Il rituale della distruzione della roulotte non vale solo per il capofamiglia ma è riservato a qualunque membro della famiglia stessa, anche nel caso in cui si tratti di un bambino morto all’interno della roulotte. Oltre agli oggetti personali si bruciano anche coperte e lenzuola mentre piatti e bicchieri vengono frantumati, particolarmente quelli che il morto poteva preferire. Per l’ultima vestizione vengono appositamente acquistati indumenti nuovi, ed essa è generalmente affidata ad un parente non stretto perché il dolore impedirebbe ai congiunti di assolvere serenamente il compito. Si aggiunga poi il pudore, per cui ciascuno vestirà solo un individuo del proprio sesso.

Mentre un tempo era frequente che il decesso avvenisse nella propria roulotte, attualmente i morenti vengono spesso trasportati all’ospedale dove accade che finiscano i loro giorni. Mi parrebbe opportuno a questo punto osservare come molti dei riti finora descritti non sembrano essere più in uso presso i sottogruppi ormai semi- sedentarizzati come quello dei Sinti Piemontesi.

È probabile che essi, come gii altri Zingari costretti a vivere a contatto di una società industrializzata, molto meno dei fratelli dell’Est europeo o dell’Asia abbiano potuto conservare le usanze primordiali, il che ho potuto personalmente constatare, rendendomi conto che la realtà di tale sottogruppo è spesso ben diversa da quella descritta dai più noti ziganologi, da Clébert a De Ville, da Liégeois a Foletier, da Bloch a De Heusch, ecc.

Esistono inoltre altri riti funebri, in uso presso il gruppo Rom, quali la pomàna o banchetto funebre, in cui si celebra il primo anniversario della morte dell’individuo tramite un complicato rituale in cui uno tra i presenti rappresenta la persona scomparsa e mangia e beve in vece sua. L’abbondanza di cibo e l’onore tributatogli dagli astanti esprimono l’augurio di pace e di felicità per lo spirito del defunto (30).

La religione

Gli zingari non hanno una religione propria, il che sarebbe provato dall’estrema facilità con cui aderiscono almeno esteriormente alle più svariate confessioni, siano esse la cattolica, l’ortodossa o la musulmana. Essi tuttavia riconoscono una divinità benigna, Del o Devèl, che in romanés significa Dio, ed una divinità maligna, Beng, che in indostano significa rana e in sanscrito ranocchio (bheka) (31). Pare inoltre che essi temano di pronunciare il nome di quest’ultimo ed usino sinonimi per evocarne la presenza. A completare la natura demoniaca di Beng, intervengono gli spiriti dei morti, i mulè, e presso i Sinti Piemontesi le maske, che tormentano i vivi e possono diffondere influssi malefici.

La religione zingara dunque, nelle sue linee schematiche, sarebbe una sorta di zoroastrismo fondato sull’antagonismo tra il principio del bene e quello del male e apparentemente privo di ogni sorta di culto. Il misterioso pellegrinaggio alle Saintes Maries de la Mer rimane tuttavia un fatto religioso insondabile. Esteriormente esso appare come una manifestazione in cui gli Zingari, convergendo da diverse nazioni si trovano periodicamente accomunati per rinsaldare i loro vincoli di cultura e per adorare insieme la loro protettrice, Santa Sarah, la Vergine nera. Al contrario altri affermano che il vero rito religioso, il vero scopo della loro venuta, si realizzerebbe invece nella cripta dell’antica chiesa e che il suo significato rimarrebbe sconosciuto (32).

Come si è detto a proposito della morte, gli Zingari sono molto devoti agli estinti e spesso si rivolgono direttamente ad essi nel corso delle loro preghiere affinché intercedano in loro favore presso Dio. Inoltre sono molto superstiziosi e credono nel malocchio, nel valore degli amuleti e delle immagini sacre e nel potere delle hàlighe gagjà (fattucchiere; letteralm. sante donne) alle quali si rivolgono di frequente per ottenere la guarigione di persone malate o per la risoluzione di casi diffìcili.

In Italia sono presenti tra i nomadi alcuni preti cattolici che svolgono opera di evangelizzazione, legati all’O.A.S.N.I. (Opera Assistenza Spirituale Nomadi in Italia), alcuni dei quali hanno scelto di condividere appieno la loro vita. Molti consensi infine, specie tra i Rom sta ottenendo in questi ultimi anni la Missione Evangelica Zigana (Pentecostali) sorta in Francia e rapidamente diffusasi in molti altri Paesi Europei.

 

NOTE

(1) In questo contesto ci occuperemo essenzialmente degli Zingari europei, sia perché i gruppi asiatici sono tuttora assai poco conosciuti e studiati, sia perché il discorso ci porterebbe troppo lontano.
(2) Cfr. François de Vaux de Foletier, Mille ans d’histoire des Tsiganes, Paris Fayard, 1970, pag. 37.
(3) Cfr. Vaux de Foletier F., op. cit., pag. 38.
(4) Cfr. Vaux de Foletier F., op. cit., pag. 39.
(5) Cfr. Vaux de Foletier F., op. cit., pag. 43.
(6) Cfr. Vaux de Foletier F., op. cit., pag. 48.
(7) Cfr. Vaux de Foletier F., ibidem.
(8) Cfr. Vaux de Foletier F., op. cit., pag. 49.
(9) Cfr. Derek Tipler – La lingua zingara – in Lacio Drom VII, 1971, n. 1, pp. 2-6.
(10) Cfr. François de Vaux de Foletier, op. cit., pag. 53.
(11) Cfr. François de Vaux de Foletier, op. cit., pag. 53-54.
(12)Cfr. H.M.G. Grellmann, Histoire des Bohemiens, ou tableau des moeurs, usages et coutumes de ce peuple nomade. Trad. dal ted. della II edizione a cura di MJ. Chaumerot, Parigi, 1810.
(13) Cfr. Francesco Predari, Origine e vicende degli zingari, Milano 1841.
14) Cfr. Luc de Heusch, A la découverte des Tsiganes. Une expedition de réconnaissance (1961), Bruxelles, Institut de Sociologie, 1965.
(15) Jean Yoors, zingaro di adozione, condusse gran parte della sua infanzia presso i Rom Lovàra. Nel 1961, alla ricerca del padre adottivo, zingaro, si prestò ad accompagnare il de Heusch in un viaggio attraverso i gruppi zingari europei che li condusse da Bruxelles ad Istambul. Il risultato di tale viaggio costituisce l’opera del de Heusch pubblicata a Bruxelles nel 1965.
(16) Cfr. J. Pierre Liégeois, Les Tsiganes, Paris Edition du Seuil, 1971.
(17) Cfr. B. Nicolini, Famiglia Zingara, Morcelliana, Brescia, 1969.
(18) Cfr. Lue de Heusch, op. cit, pag. 65.
(19) Cfr. B. Nicolini, op. cit., pag. 39.
(20) Cfr. J.P. Liégeois – La kris, su Etudes Tsiganes, XIX, 1973, n. 3, pag. 32.
(21) Cfr. Werner Cohn, Mariage chez les Roms nord-americains: quelques consequences du “prix de la mariée”, su Etudes Tsiganes, XVIII, n. 2-3, 1972, pag. 6.
(22) Cfr. J. Bloch, Les Tsiganes, Paris, P.U.F., 1953, pag. 68.
(23) Cfr. J.P. Liégeois, op. cit.
(24) Cfr. B. Nicolini, op. cit, pag. 62.
(25) Cfr. J.P. Liégeois, op. cit., pp. 147-150.
(26) Cfr. Frans de Ville, Tsiganes, témoins du temps, Bruxelles, Office de Pubblicité, 1965, pag. 103.
(27) Cfr. Mirella Karpati, Ròmano Them, Trento, Artigianelli, 1962, pag. 71.
(28) Cfr. Frans de Ville, op. cit.
(29) Cfr. B. Nicolini, op. cit., pag. 65.
(30) Cfr. Matèo Maximoff, La pomana in Karl Kindernecht, Tsiganes, nomades misterieux Lausanne, Editions Mondo, 1973, pp. 59-61.
(31) Cfr. B. Nicolini, op. cit.
(32) Cfr. Colinon, Les Gitans et les Saintes Maries de la Mer, in Monde Gitan, n. 2 1967, pp. 1-3; copie, Pèlerinage aux Saintes Maries de la Mer, su Etudes Tsiganes, II, 1956, n. 4; Delage, Les Saintes Maries de la Mer; des origines de la tradition à nos jours, su Etudes Tsiganes, II, 1956, n. 4.

BIBLIOGRAFIA

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Libri in romanés:

Riboldi M. Devleha (preghiere e salmi in sinto istriano) ciclost.
Riboldi M. Pascè ku murdevel (preghiere e salmi in romanés abruzzese) ciclost.

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Riviste specializzate:

Lacio Drom Centro Studi Zingari V. Arco della Pace, 5 Roma.
Etudes Tsiganes 5, rue Las Cases Parigi.
Journal of the gipsy lore society University of Edinburgh.
Rom In cammino O.A.S.N.I. V. Circoscrizione Aurelia 50 Roma.
Vita e luce Missione Evangelica Zigana V. A. Giatti 8 Venaria.
Romano Lil V. Arco della Pace, 5 Roma Roma 3290/15-D Chandigarh India.