Neom: beduini contro i deliri dei nuovi faraoni sauditi

Roba da film di fantascienza? Megalomania patologica? Comunque un delirio.
A qualcuno il progetto, già in fase di realizzazione, dell’Arabia Saudita potrà evocare un qualche improbabile “Rinascimento”, ma The Line – la “città verticale a impatto zero” a Neom, provincia di Tabuk, che dovrebbe accogliere oltre nove milioni di abitanti – ai più apparirà, ci si augura, l’ennesimo sfregio ambientale, umano e culturale.
Avviato nel 2021 in pieno deserto, il progetto fa parte del programma Vision 2030 promosso dal principe ereditario Mohammed bin Salman, e consiste in un gigantesco edificio lungo 170 (centosettanta!) chilometri, alto 500 metri e largo 200. In teoria non ci dovrebbero essere né strade, né automobili, né emissioni.
Costo previsto, 500 miliardi di dollari.
Una chicca: il luogo sarebbe candidato per ospitare (in pieno deserto!?) i “Giochi asiatici invernali” del 2029.
Ma non tutti a quanto pare condividono l’entusiasmo delle classi dominanti saudite, tantomeno quelle del principe ereditario, principale promotore del progetto futurista. Soprattutto tra le popolazioni indigene tribali.
In passato chi protestava era stato condannato addirittura a morte. Più recentemente, come denunciava il 16 febbraio l’ong AlQst, organizzazione europea per i diritti dell’uomo in Arabia Saudita, nel documento The Dark Side of Neom, una cinquantina di beduini della tribù howeitat (universalmente considerata una minoranza etno-culturale) sono stati arrestati per essersi opposti, pacificamente, agli espropri causati dal progetto faraonico. O anche soltanto per aver espresso qualche critica, per aver denunciato gli abusi (non solo quelli edilizi ovviamente). Altri oppositori invece sono semplicemente desaparecidos.
Non è certo la prima volta che membri della tribù howeitat rimangono vittime della repressione per la loro opposizione a questa cattedrale nel deserto.

Gruppo di etnia howeitat con alcuni ufficiali arabi (1919).

Il 2 ottobre dell’anno scorso sulla stampa libanese appariva un articolo inquietante: la “giustizia” saudita aveva confermato le condanne a morte per tre beduini howeitat che appunto si erano opposti agli espropri per Neom, ancora nel 2020, con manifestazioni e appelli. Un mese prima, altri beduini erano stati condannati da un tribunale speciale a 50 anni di carcere per le medesime ragioni.
Un caso emblematico quello di Abdul Rahim al-Howeitat. Abitante del luogo prescelto per costruire Neom e membro dell’etnia howeitat, aveva affermato in un messaggio su Twitter che non si sarebbe sorpreso se fossero “venuti ad ammazzarmi. Questa è casa mia e la proteggerò”.
Coma da manuale, il giorno dopo venne assassinato nel corso di un confuso intervento delle forze dell’ordine (ufficialmente una perquisizione).
Evidentemente ci vuole ben altro che qualche beduino per arrestare l’aberrante idea di “progresso” incarnata dal potere saudita, e da Mohammed bin Salman in particolare.
E sicuramente non mancherà qualche lobbista di buon cuore o qualche ong farlocca che – come per il megastadio del Qatar – verrà a raccontarci che si sono rispettati i diritti dei lavoratori, dell’ambiente e degli autoctoni.