L’estate scorsa, nel Caucaso del Nord, è stata particolarmente inquieta e caratterizzata da numerosi scontri a fuoco fra i silovikì (le forze militari e di polizia russe) da una parte, e gli insorti del movimento armato di “resistenza” clandestina che ha molte componenti, ma tutte riferibili all’estremismo islamico. Non dimentichiamo che il Nord-Caucaso era stato scelto dal capo terrorista Doku Umarov come centro dell’Imarat Kavkaz (Emirato del Caucaso), la formazione “virtuale”, ma non per questo priva di armi, da lui fondata con fini terroristici. Secondo il centro di informazione Caucasian Knot, nell’estate 2014 le vittime del conflitto armato nel Caucaso settentrionale hanno raggiunto la cifra di 95, dei quali 77 morti e 18 feriti.
In Daghestan, la repubblica più inquieta della regione, le forze dell’ordine sostengono di avere sventato una serie di attentati di grande gravità. Lo avrebbero fatto grazie a un’azione di polizia conclusasi con l’uccisione di un uomo. La responsabilità per questi attentati non portati a termine è stata attribuita al gruppo terroristico di Kizilyurt. L’azione di polizia è avvenuta nel villaggio di Kirovaul, che si trova nel distretto Kiziljurtovskij, dove sono state organizzate perquisizioni casa per casa, per accertare secondo la polizia eventuali responsabilità connnesse all’“attentato di grandi proporzioni”.
Queste operazioni controtterroristiche hanno gravi ripercussioni sulla vita civile della popolazione daghestana. Le forze dell’ordine sotto il comando del capo della Repubbblica del Daghestan, Ramazan Abdulatipov, seguono spesso una linea repressiva verso la popolazione, in violazione dei diritti umani, come denuncia l’associazione russa per i diritti umani Memorial.
Il 18 settembre scorso una di queste operazioni antiterroristiche si è svolta nel villaggio di Vremennyj, nel distretto di Untsukul, e ha condotto all’arresto di tre sospetti terroristi e di fatto all’evacuazione del villaggio stesso: la maggior parte dei suoi abitanti infatti è stata costretta a lasciare le proprie case e a trovare rifugio nel vicino villaggio di Gimry. Da allora non hanno ancora fatto ritorno.

Fonte: Osservatorio Balcani Caucaso

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