I bombardamenti azeri del 19 settembre avevano riportato nella cronaca un conflitto forzatamente dimenticato. Tuttavia l’attacco di Baku contro il Nagorno Karabach e quanto poi avvenuto ai danni del popolo armeno, non è calato improvvisamente dal cielo. Come avevamo già ipotizzato, era perlomeno probabile.  
Il Nagorno Karabakh è (era) una repubblica autoproclamata, ribattezzata con l’antico nome di Artsaj, abitata in prevalenza da armeni ma posta forzatamente all’interno dei confini dell’Azerbaigian. Dal 1991 si batteva per la propria indipendenza. Nel conflitto del 1988-1994 la vittoria era andata agli armeni con la conseguente espulsione di migliaia di azeri.
Nella seconda guerra del Nagorno-Karabach, nell’autunno 2020, le parti si invertirono e per oltre 40 giorni l’esercito azero si scatenò sulla popolazione civile compiendo ogni genere di efferatezze. Qualificabili come una brutale pulizia etnica; al punto che molti armeni in fuga riesumarono i loro cari dalle tombe e fuggirono con le bare fissate ai portapacchi delle auto, dopo aver incendiato la propria casa.
In realtà solo un terzo della provincia indipendentista era passato sotto il controllo di Baku, ma erano chiare le intenzioni di completare l’opera quanto prima. Nonostante la poco convinta opera di interposizione dei soldati di Mosca, soprattutto dopo che l’Armenia aveva partecipato a esercitazioni congiunte con truppe nato (un autogol di Erevan). Ovviamente anche l’odierna (definitiva?) sconfitta degli armeni – anche per essere stati isolati e privati di mezzi di sussistenza da circa nove mesi – di fronte alle preponderanti forze azere, date le premesse era fatalmente scontata.
Smantellata l’amministrazione armena della enclave ribelle, Baku ha dichiarato di volerla “integrare totalmente nella società e nello Stato azeri”. Quanto alle voci di una possibile concessione di “autonomia”, la cosa appare piuttosto fantasiosa. Se nell’Azerbaigian non gode di alcun riconoscimento la consistente “minoranza” talish, una popolazione di lingua iraniana che supera il milione di persone, cosa potrebbe toccate ai circa 120mila armeni del Nagorno-Karabach? Peraltro ormai fuggiti nella quasi totalità e poco propensi a rientrare nonostante le rassicurazioni del governo di Baku.

Code infinite di auto in fuga dal Nagorno Karabak, riprese dal satellite.

Dal canto suo l’Unione Europea si guarda bene dall’intervenire, pensando ai consistenti accordi con Baku in materia di gas. Solidarietà al popolo armeno è stata espressa vigorosamente dal consiglio esecutivo del congresso nazionale del Kurdistan (knk). Nel comunicato ha denunciato “la tragedia umana che avviene sotto gli occhi del mondo nell’Artsakh (Alto Karabach) dove un centinaio di migliaia di armeni sono costretti all’esilio”. Il knk ricordava anche le immagini terribili del 2020, con “i soldati azeri che tagliavano nasi e orecchie ai civili e vandalizzavano i monasteri”.
Ovvio il parallelismo con quanto avviene “nelle zone curde occupate dalla Turchia”, il principale alleato dell’Azerbaigian. Ma esiste anche un altro timore, ossia che “se cade l’Artsaj, cade anche l’Armenia”. Già nel 2020 l’Azerbaigian aveva occupato territori ufficialmente dell’Armenia nella regione di Syunik, una lingua di territorio che si frappone alla dichiarata intenzione di Turchia e Azerbaigian di unire il Mediterraneo con il Caspio via terra. Ricordo che Turchia e Azerbaigian sono già confinanti grazie all’enclave azera di Najicheván, che – coincidenza – Erdogan ha appena visitato per la prima volta.
Forse paradossalmente, visto che gli azeri sono in maggioranza sciiti come gli iraniani, l’unico Paese con cui l’Armenia mantiene stabili e diretti rapporti commerciali è l’Iran (da cui nel 2020 forse si aspettava anche sostegno militare, ma invano). La perdita della regione di Syunik le sarebbe quindi fatale.
Per il knk comunque non ci sono dubbi: “Si tratta di pulizia etnica orchestrata dall’Azerbaigian e dalla Turchia, motivata dall’ambizione geopolitica panturca che intende riunire queste due nazioni. Dopo 108 anni il popolo armeno si ritrova di nuovo vittima di massacri e deportazioni orchestrati dalle forze statali animate da odio razzista verso la cultura e il popolo armeno. Di conseguenza la pulizia etnica attualmente in corso nell’Artsakh deve essere considerata come la continuazione del genocidio armeno del 1915 perpetrato dai Giovani Turchi”. E conclude paragonando le attuali sofferenze degli armeni a quelle analogamente patite dai curdi a Shengal, Afrin e Serêkaniyê: “Nomi e vittime di questi massacri possono cambiare, ma le motivazioni rimangono identiche”.