Si sa che in politica gli inglesi hanno opinioni volatili come il gin, ma nessuno aveva davvero scommesso su quella “macchia rossa” che ha travolto la cartina del voto inglese di giovedì 8 giugno. Il vero vincitore delle lezioni anticipate volute dalla May è stato, in un modo o nell’altro, Corbyn. A guardarlo, foss’anche da lontano, la “Primula rossa” – il laburista tanto, troppo a sinistra – sembra essere stato prelevato direttamente dalla fu Unione Sovietica. Il portamento da autentico socialista, uno stile trasandato e austero, pigro e cupo. L’aria strascinata e trasognata. Il sorriso sbilenco che non rassicura e crea piuttosto un certo disagio. E quella cravatta rossa che non lascia mai a casa.
Si è presentato agli inglesi con un programma che è un residuato bellico della sinistra novecentesca: lotta alla diseguaglianza, redistribuzione, welfare, reddito, nazionalizzazioni, tasse alte. E poi, immancabilmente, la politica ecologista, porte aperte all’immigrazione e dialogo con il mondo islamico. Un leader né aitante né giovane, eppure uno come Corbyn è stato capace di intercettare il voto di quelli che dovrebbero parlare, solo per la data di nascita, un’altra lingua: i millennials. Quelli che hanno intonato “Jez, we can” (è così che chiamano Corbyn, Jez) per festeggiarne la vittoria e che lo hanno fatto passare alla storia come il laburista che ha archiviato la terza via di Tony Blair. Sono i giovani d’oggi: nati vecchi e che della rivoluzione vestono la muffa più stantia.
Il film inglese, come nella regia francese (Jean-Luc Mélenchon) e americana (Bernie Sanders), sullo sfondo tiene un realismo poco reale, una colonna sonora drammatica, e tanti, tantissimi capelli bianchi di un protagonista che è una star di estrema sinistra occidentale. Gli analisti, infatti, raccontano che una buona parte del bottino del Labour sia legata a una fortissima partecipazione al voto dei giovani. Sul Telegraph, Allister Heath ha scritto proprio a loro: “Cari millennial, avrete tempo per capire la verità su Corbyn e ripensarci”, evidenziando, poi, il paradosso di questa generazione: “Nell’Europa orientale, i giovani sognavano la rivoluzione capitalistica e democratica. Oggi i millennial dell’Iran sognano il liberalismo occidentale. In Inghilterra i nostri sono attratti dall’utopia socialista di Corbyn”. Il Corbyn che a Israele preferisce gli ayatollah di Teheran, e Hamas.
Un sondaggio Reason-Rupe ha mostrato che la maggioranza dei millennial americani ha una visione più favorevole del socialismo che del capitalismo. Una generazione che definirla paradossale è poco. Sono i figli dei figli dei fiori che vestono Che Guevara, ma che del comunismo non hanno mai visto né il sangue, né la miseria, né il terrore stampato negli occhi. Sono la generazione nata quando del comunismo tirannico erano rimaste solo pietre e polvere. Dalle rovine del muro di Berlino è venuta fuori una delle generazioni più fortunate della storia, cresciuta in un tempo in cui la libertà economica e di espressione sono state non certo l’eccezione, bensì la regola. Eppure i millennial non considerano il comunismo come una pagina tremenda della storia dell’umanità, piuttosto un credo cool in cui riversare ogni frustrazione. Addirittura un quarto dei giovanissimi esprime giudizi favorevoli su Lenin e Mao.
Multiculturali, politicamente corretti, ossessionati dal concetto di discriminazione e che vorrebbero limitare la libertà di espressione e di parola in nome della “diversità”. La generazione nichilista che disprezza la vita e la famiglia. Secondo l’Urban Institute, le donne millennial fanno figli a un ritmo più lento di qualsiasi generazione nella storia degli Stati Uniti. Svezzati fin dalla scuola alla dottrina sinistrorsa, cresciuti nelle camere iperbariche dei pensatoi di sinistra che li hanno resi davvero anni luce distanti dalla vita reale. Figli del capitalismo, e che votano ogni sorta di ricetta illiberale. Attratti dal socialismo perché della miseria non conoscono l’odore.
Sono i millennial che in Inghilterra hanno fatto fare ai laburisti il miglior balzo in avanti “da un’elezione all’altra mai registrato dal 1945”, scrive Stephen Davies, direttore studi dell’Institute of Economic Affairs. E che aggiunge, come, a dispetto di quel che vi raccontano i giornaloni, i tories “in realtà non sono andati malaccio. Hanno aumentato il proprio consenso del 6 per cento, ottenendo il miglior risultato dal 1983 e, in termini di voti, il loro secondo miglior risultato elettorale di sempre: la May ha preso due milioni di voti in più rispetto a David Cameron”. L’ago della bilancia sono stati proprio i giovani. Incantati da un manifesto elettorale elaborato da Corbyn imbottito più che da promesse, da idealismo utopico.
E le manie postcomuniste del ventunesimo secolo idolatrate dai millennial hanno davvero qualcosa che ha a che fare con un incantesimo piuttosto che con un fenomeno politico. Distanti come sono dalla realtà come dal prezzo della vita, Adrian Wooldridge – grande saggista e attualmente all’Economist – ha notato che, addirittura, a voltare le spalle alla May è stato anche un certo disprezzo per la nuova linea dura su sicurezza e immigrazione. Del resto sull’economia la May e Corbyn hanno presentato due programmi che erano due facce della stessa medaglia dello statalismo. Corbyn sembra uscito da un film di Ken Loach – che ne ha già individuato un modello per la sinistra nel mondo – ed è la perfetta rappresentazione in bianco e in nero di un illogico revival di formidabili idiozie, vestite di un progressismo che di nuovo non ha nulla, ma di già affondato tutto. E adesso è forte come non mai in una Gran Bretagna dove i laburisti sono sempre più rossi, e più forti del sostegno della gioventù, che avanza tra falsi miti e leggende. E come in gran Bretagna anche nel resto d’Occidente.

Lorenza Formicola, “l’Occidentale”.