Proteste in Nuova Caledonia

Forse quella di Gérald Darmanin (ministro francese dell’Interno e dell’Oltremare) a Kanbaly non era una visita particolarmente gradita agli indipendentisti. Il 21 febbraio i militanti della Cellule de coordination des actions de terrain (ccat, composta da movimenti e sindacati favorevoli all’autodeterminazione: pt, moi, uc, ustke) avevano sfilato pacificamente a Noumea per protestare contro il progetto già ufficialmente annunciato di sbloccare il corpo elettorale provinciale. Ma ben presto la manifestazione era degenerata e – dopo il tentativo di raggiungere la sede dell’alto-commissariato – scoppiavano scontri con le forze di polizia (tra rue Anatole-France e Rue Général-Mangin dove erano stati schierati in gran numero camion militari).


Alla fine si sono registrati cinque arresti e numerosi feriti, in particolare tra le forze dell’ordine.
In cosa consisterebbe il previsto “scongelamento” del corpo elettorale provinciale?
In base agli accordi di Noumea, firmati nel 1998, il diritto di voto spetta soltanto alle persone iscritte nelle liste elettorali prima di quell’anno. Ritenendo tali restrizioni “poco democratiche”, il governo francese intende aprire sia ai nativi caledoniani dai 18 anni in su, sia alle persone presenti nell’arcipelago da almeno dieci anni. Con un aumento previsto di circa 25mila elettori.
Nel giorno immediatamente successivo, con un comunicato i responsabili della ccat hanno condannato i disordini e le violenze. Anche se – denunciano – sono stati “provocati da chi voleva impedire la consegna delle nostre richieste al ministro”.
Infatti l’intenzione degli organizzatori della protesta pacifica (i quali denunciano di essere finiti in una “trappola”) era soltanto quella di consegnargli direttamente una richiesta per il ritiro del decreto di legge.
Da parte sua l’organizzazione Loyalistes (una coalizione di partiti di destra anti-indipedentisti, sorta nel 2020 e diventata nel 2022 Rassemblement au Congrès de Nouvelle-Calédonie) ha forzatamente evocato l’immagine di una città “messa a ferro e fuoco, saccheggiata” sostenendo che le violenze erano state previste e organizzate. Arrivando a chiedere la dissoluzione della ccat.
Inevitabile un pensiero per Louise Michel che, sfuggita ai massacri della “Semaine sanglante” (dopo la caduta della Commune di Parigi) venne deportata in Nuova Caledonia. Tra l’altro durante il viaggio sulla Virginie completò la sua evoluzione politica transitando definitivamente dal blanquismo all’anarchismo.
Louise non solo si interessò della lingua, delle tradizioni, dei miti e della musica degli indigeni, ma si schierò apertamente al loro fianco quando i kanak si sollevarono; paragonando la loro rivolta a quella della Commune del 1971 e donando agli insorti un simbolica bandiera rossa (anche se al momento del dibattito su quale bandiera utilizzare a Parigi nel 1971 Louise pare si fosse schierata con la minoranza che voleva quella nera).
Una vera eccezione la sua, dato che anche la comunità degli ex comunardi qui deportati alla fine si era allineata alle posizioni delle autorità francesi.

Oceania inquieta

Per tornare ai giorni nostri, molto peggio quanto sta avvenendo in Papua Nuova Guinea, dove una settimana fa decine di persone (le cifre ufficiali parlano di una trentina di vittime, altre fonti di una settantina) sono state assassinate nella provincia di Enga nel corso di un’imboscata. Questa regione di altipiani, conosciuta come Highlands e dove da alcuni mesi vige il coprifuoco, è da tempo martoriata da uccisioni e scontri presumibilmente legati al controllo delle terre da parte di una ventina di tribù. Un conflitto reso ulteriormente sanguinoso dalla recente diffusione delle armi da fuoco. Il tutto in un generale contesto di crisi sia economica sia sociale.
Del resto quest’anno le violenze non hanno risparmiato nemmeno la capitale Port Moresby. Qui il 10 gennaio sono state ammazzate almeno 22 persone. Tanto che il governo australiano (forse preoccupato per i i suoi investimenti in Papua Nuova Guinea) ha offerto il proprio sostegno per garantire la sicurezza nell’isola, in particolare per l’addestramento delle forze di polizia locale.