Premessa. Non c’è dubbio che la rivoluzione curda del Rojava abbia visto come protagoniste le donne. Altrettanto evidente il fatto che le strategie repressive degli Stati si accaniscono sulle donne in modo particolare. Il 9 gennaio di cinque anni fa Sakine Cansiz veniva assassinata a Parigi da un sicario arruolato dai servizi segreti turchi. E anche l’Iran sembra non voler essere da meno. Soprattutto nel reprimere l’insubordinazione delle donne in generale e di quelle curde in particolare.
Intanto, il 13 novembre un’altra donna curda è stata giustiziata nel carcere di Sanandaj. Imprigionata da cinque anni e accusata di omicidio, Sharareh Eliasi aveva 27 anni.
Oltre al poco invidiabile record delle esecuzioni capitali, l’Iran detiene anche quello ancora più macabro di donne e minori condannati a morte e giustiziati. Contando solo quelle avvenute da quando è presidente il “moderato” Hassan Rouhani (eletto nel 2013, riconfermato nel 2017), le esecuzioni capitali sono oltre tremilaseicento. Nello stesso periodo, calcolando anche Sharareh Eliasi, le donne finite nelle mani del boia sono già 85.

Sharareh Eliasi Zeinab Sekaanvand
Sharareh Eliasi.

Anche recentemente un’altra giovane donna curda di 22 anni, Zeinab Sekaanvand, era stata impiccata. Veniva arrestata e condannata a morte ancora nel 2012 – all’età di 17 anni, quindi minorenne – per la presunta uccisione del marito. Segregata per 20 giorni, senza poter vedere un avvocato, in un posto di polizia, Zeinab aveva poi denunciato di essere stata sottoposta ripetutamente a torture e maltrattamenti. Per porvi fine avrebbe finito col “confessare” di aver pugnalato l’uomo.
A causa della povertà familiare si era dovuta sposare all’età di 15 anni, e durante i due anni di convivenza l’uomo l’aveva percossa e picchiata continuamente. Contro il marito lei aveva inoltrato diverse denunce per i maltrattamenti subiti, ma senza alcun risultato. Inoltre il marito aveva respinto la richiesta di Zeinab di poter divorziare, mentre i familiari si erano rifiutati di accoglierla nuovamente tra loro. In tribunale aveva accusato del delitto il cognato.
Dato che la giovane era rimasta incinta (ufficialmente per la “relazione con un detenuto”, ma non si può escludere che sia stata violentata dai carcerieri), la sua esecuzione era stata rinviata per consentire la nascita del bambino (nato morto il 30 settembre 2016). Fino al tragico, inesorabile epilogo: il 2 ottobre di quest’anno la corda del boia ha posto termine alla breve vita – condita di sofferenza, violenza e umiliazioni – della donna curda Zeinab Sekaanvand.
Certo, parlare di “genocidio” nei confronti dei curdi in Iran sarebbe forse eccessivo. Ma appare evidente – e inquietante – che quando si tratta di eliminarne qualcuno o qualcuna, Teheran non ci pensa due volte.
Quanto all’obiezione – di area “campista” – in merito all’opportunità di “sollevare polemiche” mentre l’Iran viene sottoposto a ulteriori sanzioni da parte di Trump (e rischia di ridiventare obiettivo di attacchi militari da parte di Israele), devo dire che non è priva di fondamento.
Tuttavia (per quanto contrario, ovviamente, a ogni ingerenza imperialista in Medio Oriente) non mi sembra un motivo sufficiente per tacere. In particolare sulle violazioni dei diritti umani e sulla violenza istituzionalizzata esercitata nei confronti della popolazione curda in Rojhelat (il Kurdistan sotto amministrazione iraniana).
Purtroppo la macabra sequenza delle esecuzioni non sembra volersi arrestare e quindi dovremo riparlane. Sicuramente.