Nella Valle del Cerfone, in comune di Arezzo, nel tratto tra Molin Nuovo e Le Ville, si trova una complessa area di interesse storico, artistico e archeologico, in cui emergono due toponimi: Ranco e Filonica. L’area geografica è attraversata dal torrente Cerfone, il quale tra l’insediamento di Ranco e quello di Filonica riceve le acque del Fosso di Ranco. Nello stesso punto un altro piccolo affluente, denominato Fosso della Madonna, si getta nel Cerfone.

Ranco è un antico insediamento, oggi spopolato ma con un passato interessante. La Pieve dei SS. Lorentino e Pergentino a Ranco è documentata fin dal 1031 ed è edificata su una precedente villa romana. Nella zona sono presenti toponimi etruschi, come l’insediamento di Socéna. Tombe etrusche sono state rinvenute vicino al cimitero di Bivignano. Dalla vicina Badia S. Veriano proviene un’urna cineraria etrusca. L’idronimo Cerfone, invece, rimanda alla divinità umbra Scerfio o Scerfia.

Dal casolare di Filonica, situato in altura, si estende un prato verso sud-est in leggero declivio e in direzione del Fosso di Ranco. Al termine del prato, dalla parte ovest, appena riappare la folta vegetazione boschiva e il pendio del monte comincia a risalire, si trovano i resti del podio di un tempio etrusco che ancora non sono stati studiati. Ringrazio l’amico architetto Francesco Pizzolato che ha effettuato minuziosamente i rilievi delle emergenze del podio di Filonica disegnandoli accuratamente su scala, che per me sono stati la base per approfondire le studio. Riporto parte della descrizione di Pizzolato:

Il manufatto si presenta come una muraglia disposta su tre lati perpendicolari, a formare un rettangolo cui manca un lato, del quale non si conosce la posizione; il muro racchiude un terrapieno di livellamento del piano del bosco, altrimenti scosceso su tutti e tre i lati meno il quarto. La muraglia è composta di elementi lapidei di varie dimensioni, anche notevoli (fino a circa 2 metri di lunghezza), sovrapposti senza malta e rozzamente squadrati solo sulle facce esterne.

La struttura presenta una pianta rettangolare di metri 20 x 12 circa. Il lato longitudinale ha un azimut di 32° e di conseguenza il lato corto risulta di 122°. Il modo di costruire, il tipo di struttura, la grande dimensione delle pietre, fanno pensare a una cultura molto simile a quella del noto santuario etrusco di Castelsecco nelle adiacenze della città di Arezzo, che gli archeologi hanno datato al III-II secolo a.C. Lo studioso di topografia medievale Simone De Fraja, che ha notato la struttura di Filonica, la compara infatti per tecnica di costruzione alle emergenze murarie della collina di Castelsecco, dove oltre ai resti di un teatro della medesima epoca, si trova una spianata rialzata di forma rettangolare di circa m. 50 x m. 24. Secondo gli archeologi, essa era una complessa area cultuale in cui sarebbe stato presente anche un tempio. Quindi un podio rialzato (come a Filonica) con il lato lungo a 31° di azimut e quello corto a 121°. Si evince facilmente che i due podi hanno lo stesso orientamento con appena un grado di differenza.

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Castelsecco da foto aerea.
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La muraglia di Castelsecco. Foto Sonaglia/Etnie.

Curiosamente i due siti, Filonica e Castelsecco, si trovano alla medesima altitudine di 424 m. Questi dati confermano, a mio parere, l’ipotesi che a Filonica si sia insediata la stessa civiltà di Castelsecco. Mi sono molto interrogato sul rilievo di Filonica di 32° e 122° di azimut. Apparentemente 122° è la direzione del sorgere del sole al solstizio invernale, ma in quella direzione, nel luogo dove si trova il tempio, l’orizzonte è ingombrato da un monte per cui la mattina del solstizio invernale il sole sorge a 146° 55’ 35” di azimut, raggiungendo un’altezza di 15° 52’ 49”. Neanche a Castelsecco, al solstizio invernale, il sole sorge a 121°, o 122°, ma a 125° 54’ 47” a un’altezza di 2° 34’ 26”. Mi sono convinto, dunque, che il classico criterio usato dagli antichi popoli per orientare astronomicamente un edificio – piantando uno gnomone alla levata del sole in un certo giorno dell’anno – non vale nel caso di Filonica, né probabilmente per gli etruschi in generale.

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Azimut della struttura.
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Filonica. Foto Nocentini.
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Filonica. Foto Sonaglia/Etnie.

Occorre, dunque, ricercare il criterio o il motivo per cui questa civiltà etrusca del III-II secolo a.C. scelse questo tipo di orientamento per i propri luoghi di culto. Gli studi più recenti di etruscologia dicono che questo popolo conosceva bene l’astronomia e che per questa civiltà il primo tempio era il cielo, diviso in 16 settori, corrispondenti ad altrettante divinità.

tempio etrusco di filonicaCiò è dedotto essenzialmente dall’analisi del cosiddetto “fegato di Piacenza”, un manufatto di bronzo di piccole dimensioni (mm 126 x 76 x 60) del V-IV secolo a.C., il quale oltre a varie incisioni e protuberanze, sembra indicare abbastanza chiaramente la suddetta divisione cosmica in 16 settori con i nomi delle divinità corrispondenti. Il cielo è quadripartito, come anche ci ha lasciato scritto Varrone. Postosi all’incrocio tra i due assi celesti principali, cardo e decumano, l’augure con la schiena rivolta a nord chiama lo spazio alle spalle (a nord) pars pòstica e quella davanti (a sud) pars àntica. Poi divide in altre due parti, quella alla sua sinistra (a est) pars familiaris, cioè quella propizia, mentre quella a destra (a ovest) pars hostilis, sfavorevole.
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Per gli etruschi, dunque, il cielo era il tempio per eccellenza, pertanto da questo “modello” essi costruivano il loro tempio in terra, che doveva essere il riflesso del tempio celeste. A sua volta, dal tempio terrestre si facevano partire le coordinate per edificare la città, che risultava così “modellata” sul tempio e in ultima analisi sul cielo. Una menzione particolare va al contributo di Antonio Gottarelli, architetto-archeologo, che tra il 1986 ed il 2000 ha svolto attività professionale e di ricerca nel campo dell’innovazione delle tecniche di rilievo, documentazione, elaborazione e edizione dell’informazione archeologica. In alcuni suoi saggi egli ha confrontato le geometrie sacre dei siti archeologici della città etrusca di Marzabotto (Bologna), della città osca di Bantia (Potenza), “rifondata” in municipium romano nel I secolo, e del santuario di Meggiaro di Este (Padova), giungendo a risultati molto interessanti. Soprattutto, Gottarelli ha sperimentato nuovi metodi di ricerca per gli scavi etruschi, tenendo in grande considerazione la concezione che gli etruschi avevano riguardo al “cielo” da cui tutto procede. In questa impostazione, l’augure etrusco concepiva e materializzava tre livelli cosmici discendenti che portano la figura dal livello celeste (che è rotonda) a quello terrestre e poi quello infero (entrambe ortogonali). Poste queste tre figure, Gottarelli concepisce un asse verticale che attraversa i tre centri delle tre figure, in evidente analogia con l’asse della rotazione cosmica. In tal modo egli definisce il concetto di Axis Mundi, quale elemento di congiunzione tra macrocosmo e microcosmo, tra Templum in caelo e Templum in terris. Per quanto riguarda le coordinate celesti – e di conseguenza quelle terrestri – Gottarelli spiega come non vada considerata solo la croce cosmica del cardo e del decumano, ma anche le diagonali, una con direzione da nord-ovest a sud-est (cioè dal tramonto del solstizio estivo all’alba del solstizio invernale) e l’altra con direzione da sud-ovest a nord-est (dal tramonto del solstizio invernale all’alba del solstizio estivo). Secondo l’autore viene così a chiarirsi l’enigmatica spiegazione etimologica del termine decumanus da parte di Plinio: “Egli afferma che il termine decumanus deriva dall’analogia tra la croce che è descritta dall’incrocio degli assi cardinali e la forma del numerale X, e cioè decem (Plin. Nat. Hist. XVIII, 331)”. Cioè il numerale romano X oltre che indicare decem (dieci) indicherebbe graficamente anche le diagonali estreme che il percorso del sole compie nei giorni dell’anno dagli equinozi ai solstizi e viceversa. Gottarelli ricorda che il percorso apparente del sole è solo agli equinozi in direzione est-ovest, ma poi ogni giorno cambia ponendosi sempre più obliquamente fino al rispettivo solstizio. In pratica se il cardo è uno solo, in un dato luogo, di decumani ce ne sono tanti quanti sono i giorni dell’anno

o meglio, tanti quanti sono la metà dei giorni dell’anno (182 circa), in quanto i punti di levata e tramonto del sole variano di giorno in giorno, ma percorrendo due volte, all’andata e al ritorno, l’intero arco di orizzonte compreso tra il solstizio d’inverno e il solstizio d’estate. Ovviamente questa è una estremizzazione del principio, ed è logico pensare che venissero tracciati solo i decumani che indicavano i punti di stazione maggiormente significativi dell’intero ciclo annuale […] È sorprendente che non si sia mai osservato che in una città che si è ipotizzato dovesse essere stata rigidamente fondata a immagine dell’ordine cosmico e in cui si suppone venissero rispettati i principi “canonici” della descrizione rituale degli assi ortogonali, all’unica linea nord-sud del cardo massimo dovessero al contrario corrispondere, in direzione est-ovest, non uno, né tantomeno 182 decumani, ma bensì tre decumani di eguale ordine gerarchico, uno a sud riferito al solstizio d’inverno; uno al centro riferito agli equinozi; e uno a nord riferito al solstizio d’estate.

I tre livelli cosmici secondo Gottarelli.

Da questa impostazione degli etruschi, dedotta da Gottarelli, si evince chiaramente che si procede partendo dalle coordinate celesti, tradotte poi in coordinate terrestri attraverso i riti di fondazione, seguendo il concetto di trasferire l’ordine cosmico nel territorio e che, dunque, non si tiene conto della conformazione del territorio; cioè, se ad esempio l’orizzonte (equinoziale o solstiziale) sia ingombrato o meno. Lo dimostra, evidentemente, anche il noto passo di Vitruvio – che Gottarelli riposta nel suo lavoro – in cui si indica con grande chiarezza l’unico metodo possibile per tracciare il decussis della città, impiegando lo gnomone per determinare i due istanti simmetrici in cui l’ombra tocca la circonferenza prima e dopo il mezzogiorno. L’asse equinoziale sarà determinato dalla corda che unisce i due punti e di conseguenza la sua perpendicolare determinerà il cardo, che Gottarelli chiama con più precisione “la direzione dell’asse della rotazione cosmica”, sottendendo una concezione piuttosto celeste che terrestre.
Queste deduzioni ci autorizzano, guardando il podio del tempio di Filonica, a cercare l’ordine cosmico che ha determinato la scelta dell’orientamento delle strutture murarie, piuttosto che cercare criteri che si basano su rilievi fatti partendo dal terreno. In definitiva gli etruschi hanno voluto orientare un lato del loro luogo sacro nella direzione cosmica del solstizio invernale (122°), trascurando la conformazione morfologica del sito. In tutto questo c’è una prima ragione che spiega quello che per noi è l’insolito orientamento del tempio di Filonica. Ho cercato anche di comprendere perché sia stata scelta la direzione del solstizio invernale e non la direzione equinoziale, per esempio. Siamo generalmente abituati a dire che la mattina del solstizio invernale “rinasce il sole”, poiché progressivamente la sua luce aumenta di nuovo di giorno in giorno, ma per gli etruschi non era così. Per i popoli antichi, etruschi compresi, la mattina del solstizio invernale la divinità Madre partorisce il dio sole. È lo stesso fenomeno, ma la prospettiva cambia se mettiamo l’accento, non sul sole che rinasce o ricresce dopo la stasi solstiziale, ma sulla Grande Madre cosmica che ogni anno partorisce: è la Dea Madre che genera il Fanciullo Solare. Questo parto del solstizio invernale diventa così l’archetipo di ogni “parto”, ed è dunque sulla linea “generatrice” del solstizio invernale, a 122°, che viene simbolicamente generato il tempio, al di là che la parte a est sia ingombrata o meno, poiché è un fatto cosmico, non terrestre.

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Uno dei grandi massi squadrati di Filonica. Foto Sonaglia/Etnie.

Anche per questo elemento Antonio Gottarelli ci viene in aiuto. Nel paragrafo intitolato Auguraculum e sede inaugurationis: il principio di “diagonalità” di uno dei suoi saggi, egli ci narra come a Marzabotto (ma anche negli altri siti studiati) ci fossero in realtà due sedi “sacre” in stretta connessione tra loro ed implicate nei riti di fondazione della città, che l’autore descrive sulla scorta di scavi, rilievi e studi precedenti: la sedes augurationis, o auguraculum, situata in alto, nell’acropoli (un podio di circa 2×2 metri, dove stava l’augure rivolto verso sud-est, direzione del solstizio invernale) e la sedes inaugurationis, in basso, al centro del templum, dove si incrociavano i due assi orientati e dove stava l’auspicante rivolto verso sud.
Riconsiderando gli archetipi della mentalità etrusca, potremmo immaginare il podio rialzato dell’augure, di Marzabotto, come l’elemento di partenza, il punto di origine, da cui poi, sulla linea e in direzione del solstizio invernale, venga “generato” (come un parto) il templum. Anche a Filonica, a nord-ovest del tempio dovrebbe esserci dunque un piccolo podio rialzato come sede dell’augure e infatti l’ho individuato in un cumulo di pietre a forma quadrangolare, che però soltanto uno scavo archeologico potrebbe confermare. Il concetto, comunque, è che ogni opera che viene realizzata è come fosse in un certo senso “partorita” e questo parto – come ogni parto – deve riconoscersi nella direzione archetipica del solstizio invernale. Questa concezione doveva avere un peso importante nella cultura e nella prassi etrusca, tanto da essere molto frequente e avere un certo peso nelle emergenze archeologiche.
Ho voluto fare ulteriori approfondimenti di tipo archeoastronomico, per i quali sono stato aiutato dall’amico Leonardo Malentacchi che ringrazio. Con il programma di simulazione Stellarium si è visto che nell’anno 200 a.C. (siamo dentro la cronologia del tempio, il quale essendo tipologicamente simile a quello di Castelsecco può essere datato III-II secolo a.C.) il 31 ottobre alle ore 7,05 si verificava la levata eliaca della Costellazione di Ercole, attorno ai 122°, cioè una delle due direzioni di allineamento del tempio. Questo fenomeno astronomico doveva avere una certa importanza nell’antichità; infatti esso viene riportato nel manuale ottocentesco sui monumenti etruschi di Francesco Inghirami e viene messo in rapporto a una festività pagana importante che cadeva tra fine ottobre e inizio novembre: 1)

“Tav. XXVI. I due gemelli Ercole ed Ificlo sono assaliti dai serpenti; favola allusiva alla costellazione di Ercole ingenicolo, il cui levare eliaco ha luogo allorché il sole stando nello Scorpione, l’Idra di Lerna si vede spiegata nell’emisfero superiore, ed una parte del serpente dell’Ofiuco, il quale porta la sua testa vicina ad Ercole ingenicolo. Il tempo in cui si trova il sole nello Scorpione era quello in cui facevansi le commemorazioni dei morti presso i Gentili”.

Quanto scritto è rappresentato nel cielo del 200 a.C. della fine di ottobre. Possiamo vedere che al sorgere eliaco della costellazione di Ercole, quando il sole è nello Scorpione (fine ottobre), la costellazione dell’Idra (serpente molto lungo parallelo alla Via Lattea) è spiegata (alzata) nell’emisfero nord. Nello stesso istante si vede anche la costellazione del Serpente e Ofiuco accanto a Ercole. Ofiuco ha la testa vicina a quella di Ercole. Ercole è inginocchiato (“ingenicolo”) con la testa sopra il Drago. In questa immagine Ercole è ruotato come se scendesse una parete.


Proseguendo la ricerca, è risultato che nell’anno 200 a.C., il 22 marzo alle ore 19,13, equinozio di primavera, si verificava il tramonto eliaco della Costellazione di Ercole a circa 32° di azimut, ovvero in corrispondenza dell’altro allineamento del tempio di Filonica.

È una semplice coincidenza che i due assi del tempio di Filonica siano orientati, uno alla levata elica della costellazione di Ercole (122°) e l’altro al tramonto eliaco (32°) della medesima costellazione? Oppure “Ercole” era importante per gli etruschi? Optando per questa seconda ipotesi, mi sono chiesto perché in certi specchi etruschi, ma anche in altri manufatti, ricorra molto spesso il mito di Uni che allatta Ercole, come ad esempio nello Specchio di Volterra (Vt S.2). Nella versione classica del mito greco di Esiodo, si narra che Zeus, approfittando del sonno della dea Era, 2) le attaccò al seno suo figlio Eracle, avuto con la mortale Alcmena, poiché solo succhiando dal petto della madre degli dèi il semidio avrebbe potuto ottenere l’immortalità. Eracle però agguantò un seno della dea con troppa forza, svegliandola e facendo schizzare parte del latte verso il cielo, dando origine così alla Via Lattea.
C’è dunque un legame stretto tra Ercole, Uni (la Era etrusca) e la Via Lattea. Per quanto riguarda Uni, ci sono possibili elementi nel tempio di Filonica che rimandano a questa divinità? Friedhelm Prayon in un suo articolo affronta il problema dell’orientamento dei templi etruschi che si trovano in Italia e parte da un fatto già assodato: di norma il tempio greco è orientato in direzione ovest-est, mentre quello del mondo etrusco-italico è orientato verso sud, anche se con delle divergenze da questa linea immaginaria, ma “tutti sono rivolti verso la metà meridionale del cerchio, verso la pars àntica della croce celeste […] Quasi tutte le regioni meridionali sono occupate, anche se con una certa preferenza della parte sud-ovest”.
L’autore analizza un numero cospicuo di templi etrusco-italici e deduce che i templi orientati in direzione sud-ovest sono dedicati a Uni/Juno e comunque a divinità femminili. Ora, il podio del tempio di Filonica ha uno degli assi a 32°, che corrisponde nella direzione opposta (32+180) a 212° quindi sud-ovest. Ipotizzo dunque, in forza di ciò, che il nostro tempio orientato a sud-ovest sia stato dedicato alla dea etrusca Uni.
A questo punto il mito dell’allattamento di Ercole da parte di Uni, da cui prende origine la Via Lattea, doveva avere non poca importanza nel tempio di Filonica, se in esso ci sono richiami a entrambe le divinità. Resta il problema di comprendere il significato della Via Lattea a Filonica e per il mondo etrusco in generale. Scorrendo la consistente letteratura sulla Via Lattea non ho trovato nulla che potesse venire in aiuto su questo argomento specifico, se non le cose generali che si conoscono. Credo invece di aver trovato la risposta attraverso un ricercatore della cultura etrusca, Luciano Vagni, ingegnere perugino, che ha diretto dal 1976 i lavori di ristrutturazione sotto la cattedrale di Perugia e da quel momento si è dedicato assiduamente allo studio e all’approfondimento del mondo etrusco, scrivendo i risultati della sua ricerca in un’opera di prossima pubblicazione.
Scrive Vagni:

Protagonista delle civiltà antiche e di quella etrusca in particolare, è la Via Lattea, il decumano del cielo, la grande madre. Il momento della giornata in cui la Via Lattea si presenta nel cielo, distendendosi in direzione est-ovest, sia esso di giorno (in primavera) o di notte (in inverno) è il momento sacro, il momento della divinazione […] La Via Lattea era considerata dai popoli antichi la grande madre, ben rappresentata nella pittura egiziana da Nuth, la divinità femminile che solca il cielo in direzione est-ovest e si congiunge al dio Geb, che rappresenta la terra, disposto in direzione est-ovest. È questo il momento nel quale, ogni giorno, il cielo e la terra si congiungono, quando la Via Lattea si dispone in tale posizione, solcando tutto il cielo, inviando sulla terra i suoi raggi cosmici. Gli Etruschi avevano scoperto, e prima di loro certamente i Sumeri, che la Via Lattea aveva influenza sugli organismi della terra ed era tanto importante per loro da sentirsi in obbligo di consultarla prima di prendere le grandi decisioni, con la divinazione. Era il momento sacro nel quale il fegato dell’agnello appena sacrificato veniva esposto al cielo mentre la Via Lattea era allo zenit; il fegato si macchiava e quelle macchie venivano interpretate dagli aruspici per dare una risposta, oppure semplicemente un consiglio, a chi aveva ordinato il sacrificio […] Il sopraggiungere allo zenit delle stelle di Cassiopea significava che la Via Lattea era già in corrispondenza con la terra, cioè in direzione est-ovest, e pertanto poteva iniziare la divinazione, perché il collegamento era già attivo. Gli atti divinatori sono stati illustrati in alcuni specchi etruschi, che nel retro riportano incise le scene.

L’autore riporta quattro casi di scene incise su specchi etruschi, uno dei quali è lo Specchio di Tuscania (III sec. a.C.) conservato al Museo Archeologico di Firenze, in cui è visibile la scena dell’esposizione del fegato animale con l’aruspice Pava Tarches.

Specchi etruschi. A sinistra è raffigurata la scena di Unii che allatta Ercole. A destra, lo Specchio Tuscania, sul quale, nella parte in alto, è raffigurata una donna in mezzo ai quattro cavalli.

In tutte e quattro le scene dei relativi specchi vediamo in alto sopraggiungere una donna alla guida di quattro cavalli: ella è Catha, la stella centrale di Cassiopea, γ Cas (Cih), che nel fegato di Piacenza è riportata al centro della parte inferiore, la pars àntica. L’incisione nello specchio di Tuscania conferma l’ipotesi dell’esposizione e analisi dell’aruspice del fegato ovino sotto l’influenza della Via Lattea, rappresentata qui da Catha in mezzo ai quattro cavalli, sopra la scena. Catha con i suoi quattro cavalli sarebbe la rappresentazione di Cassiopea, simbolo a sua volta della Via Lattea.

Fori praticati sul selciato del podio di Filonica. Foto Bianchi/Etnie.

Dalle spiegazioni di Luciano Vagni abbiamo ora un quadro abbastanza completo sul tempio etrusco di Filonica, un tempio dedicato alla dea Uni, ove si officiavano delle operazioni di divinazione attraverso il fegato degli ovini (la zona è fertile, ricca di prati e acque). A dette operazioni presiede Ercole, a cui ci si affida. Ercole, infatti, si era dimostrato coraggioso e saggio nelle sue dodici fatiche affrontando bestie e mostri di varia specie. A chi affidarsi meglio che a lui per la protezione e la guida di quelle delicate “operazioni chirurgiche” di estrazione e analisi del fegato? La mia ipotesi è che dagli etruschi in poi, le civiltà successive eleggeranno Ercole come protettore delle greggi e della transumanza, proprio prendendo spunto dagli etruschi. Sappiamo, infatti, che in terra d’Etruria il culto a Ercole era molto diffuso e molto importante. L’antica città di Tivoli, ove si trova il santuario di Ercole Vincitore, si identificava col culto di Ercole (Herculaneum Tibur) proprio in virtù della sua posizione strategica e lo venerava sia come dio guerriero, sia come protettore dei commerci e della transumanza delle greggi, attività fondamentale per l’originaria economia cittadina. Ercole ha addirittura dato il nome a centri abitati come per esempio Porto Ercole.

Sembra che si debba agli Etruschi l’attribuzione del nome di Ercole al luogo, ipotesi avvalorata dalla recente scoperta di una necropoli etrusca posta a monte di Cala Galera, collocata nel 13° settore dello zodiaco etrusco, corrispondente alla costellazione di Ercole.

In tutta l’Italia Centrale, soprattutto nella fascia appenninica, sui tratturi di transumanza si trovano molti santuari dedicati a Ercole e quasi tutti ora dedicati a San Michele Arcangelo, il quale con il cristianesimo ha sostituito Ercole nel patronato. Anche nella Valle del Cerfone e nell’Alta Valle del Tevere, in un vasto territorio adiacente al nostro tempio, si riscontrano un cospicuo numero di elementi che rimandano al culto di Ercole e un alto numero di chiese dedicate a San Michele Arcangelo. Tutta l’area della vallata del Cerfone a valle di Ranco è di grande interesse storico e archeologico. Qui emerge la cittadina di Monterchi (il cui nome deriva da Mons Herculis, “Monte di Ercole”) che custodisce la notissima Madonna del Parto di Piero della Francesca. Anche quest’opera d’arte rimanda, per la particolare tipologia, ad ancestrali culti della fertilità, ipotesi avallata sia dalla presenza di polle d’acqua sorgiva (ritenuta terapeutica nel passato) nelle vicinanze dell’edificio sacro che accoglieva il celebre affresco, sia dal toponimo Montione (Mons Iunoni, “Monte di Giunone”) dato alla collinetta sovrastante detto edificio.
Ecco dunque che a Monterchi, a solo qualche chilometro dal tempio di Filonica, si ripropone una continuità cultuale con le stesse divinità, in cui Uni diventa Giunone dopo la conquista romana. Ben sette chiese del territorio circostante sono dedicate a San Michele Arcangelo (cristianizzazione di Ercole). La figura leggendaria di Ercole risuona in varie forme. Una leggenda che passa di bocca in bocca narra che Ercole avrebbe fondato Monterchi dopo aver sconfitto l’Idra, come immortalato nello stemma comunale e come scolpito nel parapetto in pietra del pulpito della chiesa parrocchiale di Monterchi.

Filonica. Foto Nocentini.

Un’ultima osservazione sull’importanza che assume il tempio di Filonica in rapporto al territorio. I resti del manufatto, ancora così visibili e imponenti dopo più di duemila anni, testimoniano una civiltà prosperosa; e siccome essi si situano nella Valle del Cerfone, una vallata importante per i collegamenti viari, fanno pensare al bisogno di espansione e di controllo di questa civiltà. Secondo Giampiero Laurenzi del Gruppo Ricerche Archeologiche di Sansepolcro, il percorso che segue il torrente Cerfone è da sempre considerato il principale collegamento etrusco tra Arezzo, Città di Castello, Perugia e l’Etruria Meridionale, e nella fase etrusca-orientalizzante verso l’Adriatico e la Padania, dove erano ubicati vari centri etruschi – Ravenna, Spina, Adria – importanti dal punto di vista degli scambi commerciali.
Nell’Alta Valle del Tevere, le testimonianze etrusche, segnalate da Laurenzi, sono relativamente molte e significative: Catiglianello vicino a Monterchi, Posteggio dei Mulini presso Sansepolcro, valichi appenninici di Montecasale, Vesina, Passo delle Vacche, e Città di Castello e dintorni, da dove proviene tra l’altro uno specchio etrusco con la rappresentazione di Ercole, Afrodite e Minerva.

Filonica. Foto Sonaglia/Etnie.

 

N O T E

1) Questa festività veniva celebrata dai vari popoli dell’antichità ed è rimasta, ad esempio, nella cultura celtica con il nome di Samhain.
2) Era, della mitologia greca, moglie di Zeus, corrisponde alla Uni etrusca e alla Giunone romana.

BIBLIOGRAFIA

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Per il fegato di Piacenza rimando a studi specifici, come:
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M. Ghelfi, Il templum caeleste e la natura loci nei Gromatici Veteres, in “Rivista Italiana di Archeoastronomia”, 2003.
A. Aveni, G. Romano, Orientazioni di templi e rituali etruschi, in “Rivista di Archeologia”, 1994.
A. Gottarelli, Auguraculum, sedes inaugurationis e limitatio rituale della città fondata. Elementi di analogia tra la forma urbana della città etrusca di Marzabotto ed il templum inaugurale di Bantia, in “OCNUS”, Vol.11, 2003;
Modello cosmologico, rito di fondazione e sistemi di orientazione rituale. La connessione solare, in “OCNUS”, Vol.11, 2003;
Templum solare e città fondata. La connessione astronomica della forma urbana della città etrusca di Marzabotto, in: Culti, forma urbana e artigianato a Marzabotto, Atti del Convegno di Bologna, S. Giovanni in Monte 3-4 giugno 2003.
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