Trump ha fatto quel che Obama avrebbe dovuto sei anni fa. Ha colpito aeroporti, installazioni militari, depositi. Troppo tardi, come tutti sappiamo. In questi sei anni si sono avuti 600 mila morti, milioni di profughi che hanno sommerso l’Europa e che hanno aperto le rotte dell’immigrazione illegale ad altri milioni di disperati. La guerra civile ha fatto nascere il mostro dell’Isis. E l’lsis ha addirittura creato uno Stato occupando parte della Siria e dell’Iraq. Ha commesso massacri inenarrabili. Ha esportato il terrore nelle nostre città. Infine la Russia è ridiventata protagonista in Medio Oriente, aprendo nuove basi militari.
E intanto Obama che faceva? Tracciava linee rosse che venivano sistematicamente ignorate dal dittatore siriano. Si associava all’attacco demenziale voluto da Sarkozy contro Gheddafi, diventato nostro amico. Favoriva la deposizone di Mubarak, altro nostro amico, in nome di una primavera araba che avrebbe portato al potere non la democrazia ma gli integralisti Fratelli Musulmani che – senza il golpe di Al Sissi – avrebbero trasformato l’Egitto in un altro Iran.
Insomma un errore dopo l’altro. E a correggerli, come detto, non basterà certo il raid americano dell’altra notte. Un raid determinato oltretutto da presunzioni più che da certezze. Voglio dire che non è affatto provato che il gas sarin sia stato lanciato dagli aerei di Assad. Di sicuro si sa solo che gli aerei che hanno bombardato Idlib sono partiti dall’aeroporto colpito dai Tomahawk americani. Lo hanno rivelato i satelliti.
E non si può scartare nemmeno un’altra presunzione e cioè che quei gas fossero già sul terreno e che, come sostiene Mosca, siano esplosi per effetto delle bombe siriane. Non dimentichiamo che molte delle armi chimiche di Saddam Hussein finirono in Siria per sfuggire alle ispezioni dell’Onu. Forse non è un caso che gli americani, una volta conquistato l’Iraq, non le avessero trovate.
Versioni contrapposte. E allora fra tanti dubbi, perché Donald Trump, il cui slogan elettorale era America First, si è mosso? In Siria, allo stato attuale, nulla è più recuperabile. Assad sta vincendo. E proprio per questo appare assurdo che abbia voluto gasare i bambini e bombardare gli ospedali. Perché dunque il meno interventista dei presidenti ha deciso un intervento dal valore più che altro simbolico?
La risposta va cercata nelle eredità avvelenate di Obama. Soprattutto in due aree vitali per gli interessi e la sicurezza degli Stati Uniti: in Corea del Nord e in Iran. Negli otto anni di Obama il dittatore comunista Kim Jong-un si è dotato di armi nucleari e di missili in grado di scaricarle sulla testa degli odiati sudcoreani, dei giapponesi e persino di raggiungere la costa occidentale degli Stati Uniti.
Alleato e protettore di Kim è Xi Jingpin, il presidente di quella Cina che ha sconfessato il dogma comunista abbracciando l’economia di mercato e rispetto alla quale lo stalinismo nordcoreano appare un relitto del passato. Ebbene Xi ieri è arrivato in Florida per colloqui con Trump. E Trump gli ha rinnovato un avvertimento ultimativo: o la Cina si unisce agli Usa nel neutralizzare Kim o gli Usa faranno da soli. Kim è avvisato. Ma anche gli ayatollah iraniani lo sono. Sanno che Trump non starà con le mani in mano. Che non rispetterà affatto l’accordo che ha loro consentito di dotarsi di armi nucleari. E’ l’accordo voluto da Obama con una ostinazione pari alla sua ingenuità e subordinata agli interessi delle multinazionali americane ansiose di entrare in un grande mercato.
Queste considerazioni ci aiutano a capire meglio perché Trump abbia lanciato i suoi missili. Non senza ovviamente avere prima avvertito Putin onde evitare vittime fra i militari russi. L’America di Trump cerca di recuperare parte della sua credibilità. Mentre la limitata reazione di Putin conferma l’interpretazione dell’evento più che altro simbolico. Il presidente russo non vuole guastarsi i rapporti con Trump. In fin dei conti i suoi hackers hanno fatto di tutto per farlo eleggere. O no? E poi il nemico comune rimane il terrorismo che Trump nel dopo Obama ha ripreso a chiamare con il suo nome: terrorismo islamico.

Cesare De Carlo, “Quotidiano.net”