Si percepisce un leggero odor di vittimismo e di ipocrisia nel lamento di alcune agenzie cattoliche per il recente attacco con droni nel Rojava, nord-est della Siria, costato la vita a tre miliziani del Syriac Security Office (la milizia per l’autodifesa conosciuta anche come polizia Sutoro) e di un civile. Tutti cristiani siriaci.
Sostenendo che “da anni Ankara compie raid mirati contro gruppi combattenti curdi in Siria e Iraq, finendo per coinvolgere anche le popolazioni cristiane”, si vorrebbe forse far intendere che i “cristiani” sono soltanto agnelli sacrificali di una guerra tra gruppi armati usi alla violenza? Ossia, in sintesi, tra l’esercito turco – con i suoi ascari jihadisti – e le milizie curde (ma anche arabe, armene e turcomanne).
“Vittime del fuoco incrociato tra Turchia e pkk”, si sosteneva tempo fa parlando dei cristiani siriaci dell’Iraq, dimenticando che se in Bashur (Kurdistan entro i confini iracheni) e in Rojava esiste ancora qualche cristiano in circolazione, siriaco o armeno, è soltanto grazie ai combattenti curdi che ne hanno impedito lo sterminio totale da parte di isis & C. E che, appresa la lezione, anche i cristiani siriaci, come gli armeni, si sono autorganizzati per difendersi lottando a fianco dei combattenti curdi in quella che di fatto è ormai una consolidata alleanza multietnica, le Forze democratiche siriane (sdf).
Probabilmente uno dei periodi peggiori – se non il peggiore in assoluto – per la comunità cristiana e per le altre minoranze è coinciso con la seconda guerra del Golfo, iniziata nel marzo 2003, e l’ avvento dello Stato Islamico, quando le persecuzioni operate dalle milizie jihadiste si sono inasprite (rapimenti, saccheggi, esecuzioni).
In seguito, con la sconfitta dell’isis la situazione sembrava dover migliorare. Ma dal 2020 si è fatta nuovamente critica con la ripresa delle operazioni militari di Ankara contro il pkk in territorio iracheno. Sia impedendo il ritorno di chi era fuggito per timore dell’isis, sia causando l’evacuazione di molti villaggi (almeno nove su undici solo nella provincia di Zakho).
Tornando ai nostri giorni e riepilogando: mercoledì mattina 28 febbraio i droni turchi colpivano quattro veicoli nei pressi della città di Dêrik, provocando appunto la morte di quattro persone e il ferimento di altre due.
Va ricordato che nel corso degli ultimi anni gli attacchi aerei mirati contro la regione autonoma si sono intensificati di mese in mese. Oltre settanta soltanto dall’inizio dell’anno, stando a quanto ha documentato il Centro di informazione del Rojava (cic). In particolare dal 12 al 15 gennaio 2024 venivano bombardate sistematicamente con droni e aerei le infrastrutture vitali e le installazioni indispensabili per la popolazione (magazzini e silos di generi alimentari, centrali elettriche, ospedali e ambulatori), con oltre una cinquantina di località colpite. Da ottobre 2023 questa è stata la terza “offensiva aerea” di ampia portata contro il Rojava.
Un mese dopo, domenica 11 febbraio, venivano assassinate due comandanti delle Unità di protezione delle donne (ypj), Sorxwîn Rojhilat (38 anni, già ferita gravemente nella battaglia di Kobane contro l’isis e coordinatrice della federazione dei mutilati di guerra) e Azadî Dêrik (40 anni, attiva fin dall’inizio della rivoluzione in Rojava e responsabile del coordinamento dei progetti di aiuto internazionale a sostegno dei feriti e handicappati a causa della guerra). Il giorno successivo, 12 febbraio, un altro drone aveva ucciso una persona a Qamishlo.
L’anno scorso gli attacchi effettuati da Ankara con i droni sono stati circa 200 e hanno causato la morte di 105 persone, tra cui 31 civili, oltre al ferimento di oltre 120, tra cui una sessantina di civili.
Secondo le ypj tali attacchi avevano oggettivamente la funzione di dare supporto allo Stato Islamico che nel 2023 aveva visto calare notevolmente la propria capacità operativa sia in Siria (con “soltanto” 112 attacchi contro i 292 dell’anno precedente) sia in Iraq (con 141 attacchi nel 2023 contro gli oltre 400 del 2022).
Inoltre, terrorizzando e affamando la popolazione, si vorrebbe scacciarla definitivamente dalla propria terra.