Al mio arrivo al The Jane Hotel, un dipendente in livrea e cappello mi accoglie con grande gentilezza, prendendo il mio bagaglio e accompagnandomi alla mia “cabina”. Dico cabina poiché le stanze di questo albergo sono estremamente piccole; ma talmente ben organizzate che lo spazio esiguo non rappresenta un problema, anzi, si apprezzano le barre in ottone con i ganci per appendere gli oggetti, la lunga mensola in legno sopra il letto, il “gavone” dove infilare i bagagli, i cassetti incorporati nel mobile del letto, gli svariati vani portaoggetti. Sotto la finestra, una mensola in marmo a sostenere un televisore, il dock per iPod, la radiosveglia e i telecomandi, compreso quello per l’aria condizionata. In dotazione un piccolo blocco con logo dell’hotel e la sua matitina lignea, due asciugamani ben piegati, che nascondono le pantofole e, per finire, un comodo accappatoio appeso dietro alla porta. Niente male per un semplice due stelle!
Anche i servizi in comune, dal colore bianco e nero, rivestiti con le stesse piastrelle dei bagni della metropolitana di New York, sono comodi e puliti, la doccia fornita di shampoo, balsamo e sapone liquido.
Al bureau, dove il personale cortesissimo si avverte suonando il campanello da tavolo in ottone e i mazzi di chiavi si ripongono nelle caselle di legno di un grande pannello, la mia attenzione viene attirata da un orologio con i numeri scritti al contrario e dal calendario fermo a un venerdì 35 aprile di non so bene quale anno. Una scimmietta impagliata e un grande pavone appeso al soffitto fanno da guardia a questo cantuccio d’altri tempi.

La reception.

Il Jane Hotel è stato costruito negli anni 1907-1908 dalla American Seamen’s Friend Society Sailors’ Home and Institute per ospitare i marinai in libera uscita, quando i vicini moli del fiume Hudson brulicavano di vita. Il progetto era dell’architetto William Alciphron Boring della ditta Boring & Tilton: laureato alla Columbia University, aveva continuato gli studi insieme a Tilton all’Ecole des Beaux-Arts di Parigi.
Nel 1897 il loro studio aveva vinto il concorso per progettare gli edifici di Ellis Island, il centro di raccolta per l’immigrazione negli Stati Uniti.

Nel 1912, il Jane Hotel ospitò i sopravvissuti del Titanic, arrivati a New York a bordo della nave Carpathia e sbarcati al Pier 54, situato a pochi isolati di distanza. In albergo ricevettero cure mediche e vestiti. I marinai che non erano stati pagati dal giorno del naufragio, il 15 aprile, poterono poi sopravvivere grazie alle donazioni.
Il successivo 19 aprile più di cento persone si raccolsero nell’edificio per commemorare la tragedia, intonando la canzone Nearer, My God, to Thee in un “coro potente e ruggente”, secondo le parole del “New York Times”.

Nel 1944, la ymca rilevò il Seaman’s Relief Center, come era chiamato allora l’albergo, trasformandolo in ostello della gioventù. Negli anni ‘80 e ‘90, la struttura divenne parte della cultura bohémien del centro di New York, ospitando Hedwig and The Angry Inch, The Million Dollar Club e molti altri spettacoli rock.
Da allora l’hotel ha continuato ad avere ospiti prestigiosi, more dash then cash, con più stile che denaro, nel suo auditorium dedicato a conferenze, concerti e rappresentazioni teatrali (di natura amatoriale, come sottolinea il rapporto della Commissione per la Conservazione dei Monumenti). La sala venne trasformata nel Theatre for the New City negli anni ‘70, successivamente conosciuto come Jane Street Theatre, in funzione fino al 2005, dalla fama leggendaria a livello mondiale.
Nel 2008 l’edificio venne ristrutturato da Sean MacPherson ed Eric Goode, che avevano anche lavorato nel The Bowery Hotel, nel Maritime Hotel e nel Waverly Inn. “Restaurando questo hotel storico, invece di rinnovarlo, speriamo di far risorgere un’autentica fetta di New York”, era il loro augurio.
La sala ottagonale della torretta era dotata di un faro poligonale con struttura in acciaio e rivestimento in rame “la cui luce lampeggia il benvenuto su e giù per il fiume”, scrisse George Jean Nathan, autore dell’articolo del 1909 The Greatest Non-Resident Club in the World, pubblicato su “Harper’s Bazaar”. Si trattava dell’osservatorio della scuola di navigazione. Il faro venne demolito nel 1946.
Una uriosità: RuPaul, cantante, attore, personaggio televisivo, conduttore e doppiatore, diventato famoso nel mondo dello spettacolo soprattutto come drag queen, ha vissuto in questa torre negli anni ’80. 

Peripezie di un edificio

L’edificio del Jane Hotel è di soli sei piani, ma dispone di ben 200 camere essendo progettato con “micro stanze” simili alle cabine di una nave. I marinai originariamente pagavano 25 centesimi a notte, mentre il costo per gli ufficiali variava da 50 a 75 centesimi. Anche oggi risulta conveniente, vista la sua eccellente posizione nel cuore del Greenwich Village, The Village, come lo chiamano i newyorkesi, con camere da 99 dollari a seconda della stagione e della disponibilità.
Purtroppo gran parte dell’edificio è in ristrutturazione e a fine anno diventerà un club esclusivo.
Al momento rimangono 130 camere standard e 40 con letto a castello, con bagni comuni in stile europeo, con docce a pioggia. Sono state distrutte le stanze destinate ai capitani, quelle con terrazza privata, vista sul fiume, bagno dotato di vasca profonda e lavandino in marmo. Un vero peccato.
Il seminterrato ospitava una pista da bowling, una piscina e il ristorante: quasi tutto è andato perduto o è stato trasformato in deposito. 
Il Jane Hotel Ballroom, aperto nel 2009 dagli imprenditori Carlos Quirarte e Matt Kliegman, è stato uno dei locali notturni più famosi di New York, con il suo bar accogliente e la terrazza panoramica nella torretta all’ultimo piano. La sala da ballo presentava una decorazione minuziosamente curata da MacPherson e Goode, i quali a loro dire impiegarono “lunghe serate per catalogare tutta le opere, i pezzi d’antiquariato e i tocchi decorativi attentamente raccolti per la sala da ballo”. Come, al centro della sala, la gigantesca palla da discoteca a specchio proveniente dalla casa di MacPherson a Los Angeles. Un elaborato caminetto recuperato dal Belgio. Le piastrelle d’epoca poste intorno agli ingressi, trovate in Argentina. Lo specchio incorniciato da corna di animali arrivato dalla Scozia. E poi pezzi provenienti dall’India, da aste, o realizzati da artisti locali.
Il soffitto in vetro colorato del bar era stato progettato su misura nella Carolina del Sud. Una coppia di lampade le cui basi ricordano teste avvolte da un turbante provenivano dal Connecticut. Appesi al soffitto una coppia di pavoni impagliati (uno adesso si trova nell’ingresso) e un ariete, sempre impagliato, posto sopra il camino.

Il Jane Hotel è abitato in permanenza da una ventina di persone: alcune vi risiedono da quarant’anni, altre da oltre venti… grazie a una legge dello Stato di New York secondo la quale chi alloggi da più di 30 giorni in un edificio non può essere cacciato. Così nei corridoi incontri l’ex avvocato sempre in pigiama da quando ha smarrito la ragione, che ascolta musica classica a tutto volume giorno e notte… Io ho simpatizzato con Christiane, una signora sessantenne installata nell’albergo da 23 anni, che vive in una cabina minuscola come quella occupata da me: è una cristiana di Palestina, probabilmente una rifugiata.
È un’isola di storia che si oppone al modernismo selvaggio di questa città. E non è il solo: mi raccontano che, in un vecchio edificio affacciato su Central Park, abbiano offerto a una persona ben 3 milioni di dollari per sgomberare il suo alloggio, ma questa si è ben guardata dall’accettarli e ha rifiutato di spostarsi. Speriamo che gente simile rallenti la smania distruttiva dell’edilizia, e che lo spirito del Jane Hotel rimanga vivo, almeno in una parte del suo edificio, per stupire i suoi clienti come ha stupito me.