Secondo l’economista Giovanni Bianchi dell’Istituto degli studi industriali e del lavoro, l’assetto economico del Paese va sanato redistribuendo le risorse a livello omogeneo. In tal modo, a suo parere, si combatterebbe il divario tra Nord e Sud e si sanerebbero le diversità rendendo il paese omogeneo. Una visione da contrastare: invece di imporre alle regioni del sud di operare meglio, pretendono di far pagare gli sfasci alle realtà virtuose.
Per quale ragione chi adopera meglio il denaro, chi lavora per far sì che il territorio che amministra sia vivibile offrendo ai residenti un livello della qualità della vita migliore, dovrebbe subire penalizzazioni e favorire le regioni che sperperano risorse e le cui amministrazioni sono composte d’incapaci? Tutto questo è paradossale.
Recentemente, l’ormai ex ministro dell’Istruzione Fioramonti aveva trovato, a suo parere, la quadra per risolvere la situazione della disomogeneità nel comparto dell’istruzione. La proposta suonava così: poiché le università del nord prosperano, lo Stato smetta di inviar loro i finanziamenti e li elargisca piuttosto al sud. Mica scemo.
Alcuni pretenderebbero una sorta di decrescita infelice per chi si comporta meglio, che invece di esser premiati dovrebbero versare l’obolo a chi non è in grado di fare il proprio mestiere.

Dibattito infuocato

Anche per ragioni simili il dibattito sull’autonomia delle regioni Lombardia e Veneto è sempre più infuocato. Il presidente della regione Lombardia Attilio Fontana, e quello della Regione Veneto Luca Zaia, non ci stanno più ad attendere che la politica nazionale faccia i propri comodi e disattenda le attese dei cittadini.
Perché sia chiaro: questa questione non è voluta solo dalle amministrazioni regionali quanto dai cittadini lombardi e veneti, che il 22 ottobre 2017 avevano espresso il loro voto favorevole in tal senso. I Sì dei cittadini lombardi furono 2.875.438, equivalenti al 95,29% dei votanti. In Veneto si giunse quasi all’en plein, con il 98,1% di Sì dei votanti.
Delle decisioni e dei desideri del popolo, a quanto pare, importa un fico secco a chi siede al governo. A nulla sembrano valere le richieste dei presidenti delle due regioni, che inutilmente tentano di instaurare un dialogo col governo attuale per verificare lo stato dell’arte. Risposte vacue, rinvii, scuse. C’è sempre qualche altra priorità. Eppure, come lo stesso presidente della Regione Lombardia ha dichiarato spesso, piuttosto che essere vissuta come una minaccia, la riforma dovrebbe essere assimilata come un’opportunità per tutto il paese.

Retromarcia

Il ministro degli Affari regionali e delle autonomie, Francesco Boccia del Partito Democratico, ha oltretutto rallentato il lavoro del suo predecessore, Erika Stefani della Lega, che stava operando alacremente per giungere alla definizione della questione, con una riforma snella e applicabile in tempi brevi, tanto che dopo una riunione con la Stefani, il presidente Zaia dichiarò come quella fosse “Una giornata storica”.
Boccia ha ritenuto invece utile l’imposizione di correzioni per modificare l’impostazione precedente, proponendo una legge quadro per ridefinire i LEP, Livelli Essenziali delle Prestazioni, da garantire in misura omogenea a ogni regione, ma è un ragionamento balordo perché di quest’omogeneità non si è mai vista l’ombra, principalmente a causa delle scarse risorse finanziarie messe a disposizione. Una scusa per prender tempo, inutile girarci intorno. Non basta, c’è la ciliegina sulla torta: Boccia intende incontrare le sardine per parlare di che…? Di autonomia!
A questo punto, l’unico metodo da tentare potrebbe essere la carta della manifestazione popolare. In migliaia nelle piazze a tempo indeterminato. Altro che sardine…

 

Emilia Urso Anfuso, “Libero”.