In vista dell’annuale orgia antisraeliana dello al-Quds Day, il parlamento iraniano ha approvato all’unanimità una legge che vieta “qualsiasi cooperazione” con Israele – e in particolare l’utilizzo del suo hardware e del suo software – come crimine contro Dio.
Negli anni normali, il giorno di al-Quds è contrassegnato in tutta la Repubblica Islamica da marce e discorsi antisraeliani orchestrati dal regime, bandiere ebraiche e americane date alle fiamme, nonché svariate manifestazioni di odio in vago contrasto con le frequenti assicurazioni alla comunità internazionale che la dirigenza iraniana, amichevole e amante della pace, non ha alcun interesse nell’acquisizione di armi nucleari.
Ma quest’anno, tormentato dal diabolico Covid-19 (che il “leader supremo” Ali Khamenei ha affermato essere stato in parte “costruito per l’Iran” dagli altrettanto odiati Stati Uniti), il regime è costretto a ridimensionare le manifestazioni di massa contro il nemico. Così Khamenei questa settimana ha fatto ricorso a un appello online per una “soluzione finale” al problema di Israele e per armare la Cisgiordania, “proprio come Gaza”, al fine di accelerarla. Manifestando la totale ipocrisia della presunta preoccupazione umanitaria del suo regime per il popolo palestinese, ha insultato gli Emirati Arabi Uniti per aver commesso niente di meno che “il più grande tradimento nella storia del mondo arabo” per aver consegnato 16 tonnellate di presidi anticoronavirus ai palestinesi attraverso l’aeroporto Ben Gurion.
E il suo parlamento ha votato la criminalizzazione della tecnologia israeliana.

iran vieta tecnologia israeliana
Sul sito web del leader supremo iraniano, Ayatollah Ali Khamenei, un poster inneggia alla distruzione di Israele usando il termine “soluzione finale”.

In base alla legge approvata lunedì scorso, qualsiasi cooperazione con “il regime sionista” sarà d’ora in avanti considerata “alla stregua di un’aggressione contro Dio e di corruzione sulla terra”, secondo il sito di news semiufficiali Fars. “Tutti gli organismi iraniani sono tenuti a utilizzare le risorse regionali e internazionali del Paese per affrontare le misure del regime sionista”, ha riferito, e in particolare “l’attività delle piattaforme software israeliane in Iran, ed è vietato l’utilizzo dei suoi prodotti hardware e software”.
Piuttosto che protestare contro quest’ultima versione legislativa dei continui tentativi degli ayatollah per accelerare la morte di Israele, il mondo libero dovrebbe semmai applaudire il bando, quando non domandarne con forza l’inasprimento, almeno nei campi in cui non comporti direttamente la morte di innocenti.
Perché, data la primazia dell’innovazione e della tecnologia israeliane su così tanti aspetti della vita moderna, la nuova legislazione, se applicata come richiesto dal parlamento iraniano, il Majles, farà arretrare l’Iran di decenni, innalzando il livore popolare contro gli ayatollah a nuove vette e probabilmente segnando la fine di un regime brutale, rapace e cinico.
Tanto per cominciare, se la legge solennemente approvata dal Majles può considerarsi qualcosa di più di una frottola, l’Iran ora come ora dovrebbe spegnere tutti i suoi computer. I quali sono tutti equipaggiati con circuiti integrati Intel, o altre tecnologie, sviluppati in Israele.
Come l’allora presidente di Intel Israel, Mooly Eden, spiegava nel 2014, i chip e le tecnologie sviluppati nel Paese rappresentano il pilastro della progettazione digitale. Intel aveva aperto una filiale in Israele negli anni ‘70, dove Intel Haifa sviluppò il processore 8088, utilizzato poi nell’IBM, il primo computer per uso domestico basato su sistema Microsoft. Da allora, Intel Israel ha elaborato CPU sempre più avanzate nel corso dei decenni, per pc, tablet e notebook. “L’intera rivoluzione dei laptop è stata avviata dal processore Pentium M (Banias), sviluppato in Israele nel 2003”, ricordava Eden.
Anche Apple, che utilizza i chip Intel dal 2009, mantiene un importante centro di ricerca e sviluppo in Israele.
Certo, d’ora in poi l’Iran avrà comunque meno bisogno di computer, in quanto la sua nuova legislazione implica che si dovrà interrompere l’utilizzo del web. Questo perché i router prodotti da Cisco Systems sono un elemento base della dorsale internet (cioè il trasferimento di informazioni tra reti di computer a velocità vertiginose) e Cisco Israel è fondamentale per lo sviluppo dei router nella multinazionale statunitense. Per esempio, “il cuore” dell’ultimo router di Cisco, ha annunciato l’azienda lo scorso dicembre, “è il chip Cisco Silicon One basato sulla tecnologia creata da Leaba”, un’azienda di Caesarea acquisita dagli americani quattro anni fa.
L’Iran avrebbe in ogni caso immense restrizioni nell’uso di internet: difficile individuare quali motori di ricerca potrebbero soddisfare la nuova regolamentazione. Google svolge un’enorme quantità di ricerca ed elaborazione in Israele relativamente a una vasta gamma di prodotti. Un piccolo esempio: Google Suggest, che suggerisce le parole chiave mentre digiti la tua richiesta, è stato inventato in Israele.
Per quanto riguarda il motore di ricerca Bing, be’, si tratta di un prodotto Microsoft. E come l’amministratore delegato del tempo, Steve Ballmer, ebbe clamorosamente a dichiarare durante una visita in Israele nel 2008 (17 anni dopo che la società vi aveva istituito la sua prima divisione di ricerca e sviluppo al di fuori degli Stati Uniti), “Microsoft è un’azienda tanto israeliana quanto americana”. (Lodando la “straordinaria” tecnologia di Israele in un viaggio quattro anni dopo, Ballmer notò che Microsoft impiegava, in rapporto agli abitanti, più lavoratori in quel Paese che in qualsiasi altra parte del mondo.)
Da adesso in poi, anche il cloud storage rappresenterà un bel grattacapo, essendo che la sua tecnologia è una specialità israeliana. Agli iraniani poi toccherà spegnere gli smartphone. Dai tempi della Motorola, che stava facendo ricerca e sviluppo in Israele anche prima di Intel, i cellulari sono infarciti di tecnologia israeliana.
Di fatto tutti i collegamenti internazionali dell’Iran – comunicazioni, banking, spedizioni merci, persino la sua vitale esportazione di petrolio – richiederanno un attento esame da parte dei Majles, nel timore di cooperare con i sionisti.
A seconda di quanto sarà rigida l’interpretazione della sua legge, l’Iran rischia di dover autolimitare i suoi movimenti bancari internazionali, già sotto sanzione, poiché parecchie importanti banche mondiali – Citibank, RBS, Deutche Bank, eccetera – fanno ricerca e sviluppo in Israele, hanno acquistato società israeliane e utilizzano sistemi informatici israeliani.
Le spedizioni saranno un problema, dal momento che Freightos – l’Expedia del trasporto globale di merci – è di Gerusalemme…
Le fondamentali esportazioni di petrolio iraniane subiranno un duro colpo: le raffinerie internazionali che lavorano il suo oro nero si affidano a sistemi di monitoraggio sviluppati da Israele, a sistemi di difesa informatica israeliana e ad altre tecnologie di protezione provenienti da quel Paese.
Molte delle autovetture circolanti in Iran dovranno fermarsi. La Repubblica Islamica importa decine di migliaia di veicoli ogni anno, e si può tranquillamente scommettere che parecchi includono funzionalità sviluppate in Israele. Costruttori come General Motors hanno centri tecnologici in Israele, le cui innovazioni alimentano il processo di produzione. L’israeliana Mobileye vede la sua tecnologia di assistenza alla guida installata su circa 40 milioni di auto, per oltre 300 modelli.
I servizi sanitari dell’Iran subiranno un colpo mortale. Medtronic, la più grande azienda di dispositivi biomedici al mondo, le cui attrezzature sono un pilastro per gli ospedali dell’intero pianeta, ha acquistato una notevole quantità di tecnologia israeliana e mantiene un centro di ricerca e sviluppo nel Paese. In effetti, la ricerca medica è uno dei principali obiettivi israeliani, attirando le multinazionali che acquistano startup israeliane e impiantano propri centri sul posto. Per esempio, sono presenti importanti divisioni sanitarie di General Electric e Change Healthcare.
Ora verranno bandite anche parecchie sostanze. Teva, il massimo produttore di farmaci generici al mondo – israeliano – sarà dunque off limit, ovvero niente più impiego del suo trattamento brevettato al Copaxone per la sclerosi multipla. E molti tra i medicinali più importanti, prodotti dai giganti mondiali dell’industria farmaceutica, provengono dalla ricerca israeliana.
Colpita anche la cardiologia: lo stent flessibile, che ha salvato milioni di vite, è stato inventato un quarto di secolo fa dall’israeliana Medinol.
E avanti così…

In fuga dal mondo

L’elenco delle principali società che investono, possiedono o interagiscono profondamente con aziende e ricercatori israeliani, e che hanno fatto affari con l’Iran – e quindi sono presumibilmente interdette a tutti gli iraniani – comprendono anche, per fare solo una decina di esempi: Boeing (stampa di componenti 3D, strumentazione di volo); Daimler (tech hub, ricerca e sviluppo); Deutsche Telekom (laboratorio di cyber security); Hyundai (innovation hub, investimenti); LG (smart TV, smartphone, cyber security); Renault (laboratorio ricerca, incubatore smart car, finanziamento di tecnologie auto); Samsung (software, investimenti di startup); Siemens (laboratorio di innovazione); Volkswagen (tech hub di Tel Aviv); Volvo (investimenti tecnologici, centro di innovazione)… Chiaro il concetto?
Saul Singer, giornalista e scrittore che vive a Gerusalemme (il cui libro Laboratorio Israele dovrebbe ovviamente essere vietato in Iran) immagina che gli iraniani potrebbero ancora cavarsela con calcolatrici tascabili e telefoni fissi, anche se non ne è del tutto sicuro. “È sconfinato”, dice riferendosi all’impatto del divieto Majles su tutto quanto ha a che fare con Israele. “Se conti tutte le società Fortune 500 che hanno centri di sviluppo fondamentali in Israele – tra cui Siemens, una favorita degli iraniani, IBM, GE – non rimane molto. Suppongo che torneranno a carta e penna, cavalli, visite a domicilio di medici con stetoscopi e ospedali stile seconda guerra mondiale”.
Un Iran senza “Israele dentro”, afferma Singer, “farebbe apparire la Corea del Nord un Paese progredito e cosmopolita. Sostanzialmente l’Iran tornerebbe al mondo di 50 anni fa, forse di più. Sembrerebbe un’enorme colonia di amish in abiti musulmani. Nel frattempo gli Stati Uniti, Israele e la maggior parte del mondo arabo si abbandonerebbero ai festeggiamenti”.

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Un’impiegata del ministero degli Interni, a Teheran.

D’altra parte, ovviamente, l’Iran potrebbe riconoscere l’importanza della tecnologia israeliana per il buon funzionamento e la salute della società, smettendo di sprecare risorse nel vile intento di spazzare via gli ebrei e rientrando nella famiglia delle nazioni. Legislatori dei Majles, ora parliamoci seriamente: credete davvero che sarebbe un crimine contro Dio?
Giusto due mesi fa si è sentito un anziano religioso iraniano affermare che, se i “sionisti” fossero i primi a sviluppare un vaccino per il coronavirus (in questo momento Covid-19 ha già ucciso oltre 7000 suoi connazionali), ne sarebbe consentito l’uso. Anche questo costituirebbe un atto criminale?
Nel frattempo, lo stesso leader supremo Khamenei sarà evidentemente costretto, non solo a spegnere il suo laptop e chiudere il cellulare nel cassetto, ma anche a ripensare in fretta le sue modalità di trasporto.
La tedesca BMW, che nel 2019 affermava di aver “collaborato con aziende israeliane di vari settori tecnologici per diversi anni”, ha annunciato il progetto di un nuovo “centro per la ricerca tecnologica” a Tel Aviv.
Nel 2013, Khamenei venne fotografato mentre sbarcava dalla sua BMW. Con la nuova legge, compiere un gesto del genere sarebbe per qualsiasi iraniano – e tanto più per il leader supremo – un crimine contro Dio.

 

 

“The Times of Israel”.