Ovviamente si sapeva da tempo che difendere la natura è cosa buona e giusta, ma spesso assai pericolosa. Soprattutto per la mancanza di scrupoli della controparte che pensa solo ai profitti. Tuttavia è innegabile che i dati che vi riferiamo siano sconcertanti, quasi incredibili: cifre da capogiro, in costante aumento, e purtroppo ben documentate. Stando al recente rapporto dell’Istituto di Scienze e Tecnologie dell’Ambiente dell’Università Autonoma di Barcellona (ICTA-UAB), la percentuale dei militanti ecologisti assassinati nel mondo (dall’America latina all’India, alla Turchia…) arriverebbe al 13% mentre il 18% di loro sarebbero comunque vittime di violenza fisica!
Sempre nello studio di ICTA-UAB si sostiene che i movimenti ecologisti civici impediscono – o quantomeno rallentano – il degrado ecologico nel 27% dei conflitti a carattere ambientale. E questo nonostante vengano sistematicamente sottoposti a criminalizzazione (soprattutto quando tali movimenti si oppongono allo sfruttamento minerario).
Gli esperti di Enviromental Justice hanno analizzato oltre 2700 casi di azioni collettive in difesa dell’ambiente (si veda il loro Atlante della giustizia ambientale, una mappa interattiva che segnala e localizza le battaglie ambientaliste attualmente in corso sul pianeta), in particolare quelle contro l’estrazione di combustibili fossili, le miniere a cielo aperto, le monoculture a scapito delle foreste, le dighe, le discariche e gli inceneritori di rifiuti tossici. Dallo studio hanno ricavato che nella maggior parte dei casi i gruppi ecologisti adottano forme di lotta non violenta. Tuttavia sono ugualmente esposti alla criminalizzazione sotto forma di denunce, multe, repressione, processi, condanne al carcere, e talvolta anche a seri rischi per la loro stessa vita.
La situazione peggiora ulteriormente quando a confrontarsi con i devastanti progetti di sfruttamento ambientale sono popoli nativi, aborigeni. In questo caso la percentuale dei militanti assassinati arriva al 19%, mentre il 25% subisce violenze fisiche.