Secondo recenti teorie, i baschi discenderebbero direttamente da un Uomo di Cro-Magnon evolutosi in loco nel corso di migliaia di anni. Universalmente riconosciuta come principale peculiarità basca è l’euskara, l’ultima lingua superstite tra quelle parlate in Europa prima delle invasioni indoeuropee. Questa lingua in epoca preistorica era diffusa su un’area molto più vasta, tanto che se ne ritrovano tracce in tutto il territorio dell’antica Aquitania, nel “Levante”, sui Pirenei catalani… Non è quindi esagerata la definizione che dànno del loro popolo alcuni storici e intellettuali baschi: “Indiani d’Europa”. Dal neolitico in poi, i baschi subirono l’influenza dei popoli e delle culture circostanti, senza però venirne mai assimilati.
Dagli iberi del sud-ovest appresero l’uso del bronzo, mentre attinsero in seguito la tecnica del ferro dai celti del nord-est. Anche se non si distinsero per aver opposto una particolare resistenza ad Augusto, non per questo la lingua e la cultura basca subirono più di tanto la romanizzazione. È proprio da allora (anche come conseguenza delle successive ripetute invasioni dei cosiddetti “barbari” di origine germanica) che inizia a delinearsi un preciso assetto della regione basca, già in parte identificabile con quello attuale.

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Alle transitorie occupazioni si alternano le rivolte dei baschi e anche vere e proprie “guerre di liberazione”. A partire dal V secolo si devono difendere sia da sud (visigoti) che da nord (franchi). Queste schermaglie, a base di continui attacchi, contrattacchi, razzie, saccheggi e imboscate (una vera epopea), si protrarranno fino al IX secolo.
Meritano la citazione i re visigoti Teodoro II (responsabile della definitiva cacciata dei romani da Baiona), Leovigildo (che occupò la “Bureba” e una porzione di Alava), Sisebuto (che invase la Navarra nel 612), Wamba (che devastò il Paese Basco nel 672, anche come rappresaglia alla grande rivolta del 653). Nel 711 i visigoti stanno cingendo d’assedio Iruna (Pamplona), in Navarra, quando il loro re deve prontamente defilarsi con le truppe a causa dell’invasione musulmana nel sud della penisola.
La regione di Tudela, estremo lembo meridionale della Navarra, era stata occupata pressoché stabilmente dai visigoti che, naturalmente, vi avevano imposto la loro legislazione da monarchia assoluta. Questo particolare non fu del tutto secondario nel provocare la conversione all’islam (esprimendo quindi una certa dose di “antagonismo politico”) di alcune potenti famiglie della zona. Celebre fra tutte quella dei Cassius, che prese il nome di Banu Casi e che era destinata in seguito a giocare un ruolo rilevante nella fondazione del regno di Pamplona (poi divenuto regno di Navarra, la maggior espressione storica consolidata dalle aspirazioni della nazione basca all’indipendenza).
A nord intanto non scemavano i tentativi di occupazione degli invasori franchi (in particolare nel 581 e nel 587) e nel 602 viene imposto ai baschi da parte dei Merovingi un duca, tale Genialis. Il neonato “ducato di Vasconia”, esteso dall’Ebro alla Garonna, avrà come suo centro Pamplona e si svilupperà tra il VII e l’VIII secolo. Può essere considerato un primo tentativo di Stato basco indipendente. Infatti, tra il 660 e il 670 i baschi riescono a scrollarsi di dosso la tutela “francese” ed eleggono Duca uno di loro.
Toccò a Carlo Martello l’ingrato compito di riconoscere il basco Odon come legittimo duca di Aquitania (che si estendeva fino alla Loira e in cui era compreso il ducato di Vasconia). Tra l’altro i due ebbero anche l’occasione di combattere fianco a fianco nella battaglia di Poitiers. Un diverso trattamento venne invece riservato a Hunald, figlio di Odon, che fu sconfitto e sottomesso dai franchi. Toccherà poi al figlio di Hunald, Waifre, ribellarsi e resistere per molti anni, finché non venne assassinato dai sicari di Pipino il Breve. Scompare cosi il primo Ducato d’Aquitania, ma senza che questo fatto comprometta la sopravvivenza di quello di Vasconia.
Il conflitto si protrasse anche con Carlomagno, con Luigi il Buono, con Carlo il Calvo… e sempre, come riportano le cronache, i baschi riuscirono a distinguersi sia per la bellicosità sia per le notevoli doti militari (vedi l’abilità della cavalleria basca e la tattica, “guerrigliera” ante litteram, di sfiancare il nemico con una serie incessante di attacchi da parte di piccoli gruppi che poi si rifugiavano in luoghi inaccessibili della montagna).

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Alla storia sono passate in particolar modo le due sconfitte subite dai franchi a Roncisvalle (778 e 824). Come è noto, in quella del 15 agosto 778 persero la vita la maggior parte dei “Paladini di Francia”, ma la versione, riportata dalla Chanson de Roland – composta quattro secoli dopo i fatti narrati – risente di una certa mistificazione ideologica. L’imboscata sui Pirenei fu opera dei baschi (in risposta alla distruzione delle mura di Pamplona) e non dei saraceni. I baschi, giova ricordarlo. si batterono per la propria indipendenza anche contro gli arabi. Proprio tre anni dopo (nel 781), sotto la guida di Belasko e Semen (gli stessi capi militari che li avevano guidati a Roncisvalle) gli abitanti di Pamplona organizzarono la resistenza contro Abd al-Rahaman.
Sembra invece che qualche seguace del Profeta fosse presente, nell’824, alla seconda imboscata di Roncisvalle, anche questa costata cara ai franchi (stavolta guidati da Luigi il Buono, di ritorno da un’altra spedizione contro Pamplona). Secondo lo storico Federiko Zabala i combattenti baschi erano guidati da Eneko Aritza e da suo genero Mussa (guarda caso, al momento capo della famiglia Banu-Casi di Tudela). Sicuramente Roncisvalle rappresentò una delle più alte espressioni della volontà di autodeterminazione del popolo basco. Nel 1032 si registra la scomparsa del ducato di Vasconia, assorbito dal ducato di Aquitania di Guillaume V, potente duca al servizio del re di Francia.
Intanto il “baricentro” dell’indipendentismo basco si andava spostando a sud con la formazione del regno di Pamplona. Il primo sovrano identificato con certezza è proprio Eneko Aritza che regnò dall’824 all’852. con il sostegno dei Banu-Casi. Insieme gestirono un complesso rapporto di conflitto-pacificazione alterni con l’emiro di Cordova.
La stessa politica di perenni scontri e alleanze con gli arabi fu pratica corrente del figlio, Garcia Iniguez (il solo modo di conservare la propria autonomia senza essere sopraffatti dai troppo potenti vicini). Gradualmente, tra il 900 e il 1000, il regno riuscì a organizzarsi: vennero sconfitti i musulmani in più di un’occasione e recuperate la Ribera e la Guascogna. L’apogeo si tocca con Sancho il Grande (1005-1035), quando entro i confini della Navarra sono compresi i sette territori baschi dei nostri giorni (più alcune regioni vicine che lo erano in passato come la Bureba, la Rioja, il Sobrarbe, la Ribagorza). Per inciso: attualmente questi sette territori (già allora ben delineati e identificati come la patria dell’etnia basca) sono praticamente divisi in ben tre parti. Le tre province settentrionali (Zuberoa, Lapurdi e Benabarra, la “bassa Navarra”) sono amministrativamente sottoposte alla Francia, mentre le quattro meridionali in Spagna subiscono una ulteriore divisione tra due “Comunità Autonome”: la “Navarra” e la “Comunità Autonoma del Paese basco” (Guipuzcoa, Vizkaya, Alava).
La battaglia di Calatañazor (1002) allontana definitivamente il pericolo rappresentato dagli arabi, ma purtroppo l’indipendenza politica del piccolo regno non è destinata a durare a lungo. Alla morte di Sancho “el mayor”, il regno viene infatti spartito tra i suoi tre figli. Spetteranno al più anziano Pamplona, Nájera e le attuali “Vascongadas” riconosciute come tali (Alava, Guipuzkoa e Vizkaya). Regnerà con il nome di Garcia III (1035-1054) e verrà ucciso in combattimento durante l’invasione di un esercito castigliano (il figlio verrà invece assassinato dopo aver regnato con il nome di Sancho IV).

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In questo periodo i conflitti interni alla famiglia dei discendenti di Sancho si intrecciano e confondono con le mire espansionistiche del nuovo potente nemico subentrato agli arabi: la Castiglia. A nulla serviranno le “transazioni” di Sancho IV (detto non a caso “il prudente”) che restituisce la Ribera appena recuperata in cambio di esplicite garanzie sulla inviolabilità delle sue frontiere occidentali. Ma già allora, evidentemente, i trattati erano “carta da stracciare”: nel 1200 la Castiglia, alleatasi con l’Aragona, attacca la Navarra e poco dopo si impadronisce con la forza delle armi della regione di Alava.
Sempre nel 1200 anche Guipuzkoa cade sotto l’egemonia castigliana, pur mantenendo una certa autonomia, prevista dai “fueros”. Queste leggi e ordinamenti relativi all’autonomia basca garantiscono, in teoria, che non si tratta di annessione ma di un “vincolo personale” con il sovrano. A conti fatti, si devono registrare ben cinque scissioni: Alava e Guipuzkoa per opera della Castiglia; Vizkaya per scelta unilaterale dei signorotti feudali locali che, approfittando della situazione di instabilità, si dichiarano “sovrani” e si separano dal regno di Navarra; Labourd e Soule (Lapurdi e Zuberoa) per una serie di complesse vicende. In quanto dote di Eleonora di Aquitania, diventano prima patrimonio della corona francese (1137) e poi di quella inglese quando Eleonora, divorziata, si risposa con Enrico Plantageneto. Negli anni seguenti questo provocherà due successivi interventi inglesi contro i visconti locali poco propensi a riconoscerne l’autorità. D’ora in poi il conflitto tra la Navarra e la Castiglia sarà permanente. Ormai, dopo le cinque scissioni, la Navarra non conserva che sei governatorati interni (tra cui quello della Bassa Navarra. oggi in territorio francese) e la Castiglia farà di tutto per separarla ulteriormente dalle sue province Alava e Guipuzkoa e toglierle ogni possibile sbocco sull’Atlantico.
La decadenza sarà costellata da alterne fasi e vicende, da una ulteriore serie di conflitti e temporanee alleanze (in una specie di “tiro incrociato” a volte di difficile interpretazione) con i potenti vicini Castiglia, Francia e Aragona, da varie reggenze, intrighi e da vere e proprie usurpazioni (oltre naturalmente alle immancabili guerre civili). Tra i vari sovrani di questo periodo si ricordano come mecenati e pacificatori Thibault II (1253-1270) e Carlo III il Nobile (1387-1425).
Preludio alla conquista della Navarra (oltre alla netta superiorità bellica conseguita dalla Castiglia con un apparato militare tale da garantirle l’egemonia tattica sia all’interno sia all’esterno) è la divisione della nobiltà basca. Si formano infatti due partiti (passati alla storia come “Beaumontais” e “Agramontais”) che – dopo aver spaccato in due il Paese provocando una sciagurata sequela di massacri, vendette, uccisioni e rappresaglie – finiranno in parte tra le fila dei sovrani castigliani, attratti dalla possibilità di ottenere titoli, far carriera o acquistare diritti su altre terre.
L’attacco programmato per lungo tempo avviene nel 1512; giungendo da ovest e da sud, gli invasori stringono d’assedio Pamplona che si arrende il 21 luglio 1512. Per la cronaca: risaliva al febbraio di quell’anno (1512) la famosa bolla di scomunica di Giulio II contro i “baschi cantabrici” con la quale il Papa cancellava qualsivoglia diritto dei legittimi sovrani Caterina de Foix e Juan de Albret. Questa bolla costituì l’indispensabile premessa all’invasione e alla successiva espulsione degli ultimi re navarri.
Roma, inoltre, accordò prontamente lo jus belli agli spagnoli. Sempre per la cronaca: il cardinale Cisnéros, che dal 1499 aveva condotto una vera e propria campagna di conversioni forzate a Granada (nel quadro di un radicale processo di “unificazione religiosa” rivolto a estirpare e/o omogeneizzare la molteplicità e varietà di religioni, usanze e popoli della penisola iberica), dirige personalmente l’occupazione della Navarra. In seguito, l’inquisizione avrà mano libera nello scatenare la caccia a “streghe ed eretici”, paravento per poter eliminare fisicamente, oltre ai nobili che non si erano sottomessi, tutte le élites intellettuali e le minoranze etnico-religiose (come ebrei e musulmani) del Paese.
Del resto la monarchia spagnola ha sempre sostenuto, da Ferdinando in poi, di essersi impadronita legittimamente della Navarra, in quanto questo era il compito (la “missione”) affidatole dal papa, come tangibile riconoscenza per i servigi resi alla cristianità.
Da queste precise corresponsabilità del papato derivò la deliberata trasformazione della Navarra “superstite” in un bastione dell’integralismo cattolico (o, come qualcuno preferisce, un “serbatoio dell’ortodossia”, un “vivaio di vocazioni, ordini religiosi, giuristi, moralisti, teologi, eccetera”, tutti impegnati ad elaborare le giustificazioni ideologiche della “spagnolità” della Navarra…).
Un accordo firmato dal nuovo sovrano Carlo V a Noyon (sotto la “supervisione” francese), secondo cui la Navarra sarebbe dovuta tornare ai sovrani legittimi, restava lettera morta. Soltanto con le rivolte dei “comuneros” castigliani, Henri d’Albret, successore di Catherine e Juan, potrà cogliere l’occasione per sollevarsi contro gli spagnoli. Pamplona insorge e si costituisce una vera e propria armata di liberazione a cui vengono a unirsi anche gruppi di rivoltosi della Bassa Navarra.
Per breve tempo sembra possa rivivere l’indipendenza, ma ogni speranza è destinata a infrangersi definitivamente il 30 giugno 1521 (battaglia di Noain). Nel 1530 Carlo V si vede costretto ad andarsene dalla Bassa Navarra per i costi rilevanti che l’occupazione comporta. Tra il 1570 e il 1590 nelle regioni del nord i contrasti religiosi tra cattolici e protestanti degenerano in veri e propri scontri. Il conflitto a carattere confessionale favorisce indirettamente lo sviluppo di una notevole letteratura cristiana in lingua basca (ispirata da entrambe le fazioni) per ragioni di “propaganda” reciprocamente concorrenziale.
Sarà questo a fornire lo scenario per il delinearsi di una vera e propria lingua basca letteraria unificata. Inoltre il movimento calvinista in Bassa Navarra resta sentimentalmente molto legato al ricordo di una Navarra indipendente, e ciò rappresenta uno dei primi esempi di una consapevole difesa e teorizzazione dell’identità basca attorno alla “questione Navarra”.
Si può quindi sostenere con tutta tranquillità che l’importanza attualmente attribuita da ogni componente politica e culturale autenticamente basca al ruolo della Navarra viene da molto lontano. Non solamente perché essa rappresenta più della metà di Euskal-Herria, ma in quanto unico Stato basco nella storia a godere di una vera e completa indipendenza. Le altre regioni basche, infatti, costituiscono dei principati, dei protettorati, delle signorie, mai un regno. E all’epoca questa era storicamente l’unica forma politica in cui poteva esprimersi una autentica sovranità nazionale.
Agli inizi del XVI secolo, dunque, la situazione del Paese Basco è quantomeno frammentata. Ci sono ben sette “semi-Stati”, relativamente autonomi ma sotto tutela: le province di Zuberoa e Lapurdi, quelle di Guipuzkoa e Alava, la signoria di Biscaya e i due “frammenti” del regno di Navarra. L’autonomia di queste diverse regioni basche è relativa, per esempio, alla riscossione in proprio delle imposte (che non venivano consegnate direttamente al sovrano loro “protettore”: un po’ come avviene ai nostri giorni) e alla formazione di milizie (che non erano sottoposte a obblighi militari al di fuori dei propri ambiti territoriali). In alcuni casi queste entità giunsero a firmare veri e propri trattati internazionali.
Cardine dell’autonomia basca sono naturalmente i “fueros”. Questi non vanno intesi come concessioni da parte della monarchia, ma come il risultato di una negoziazione tra gli abitanti di questi staterelli e la persona del re.

Naturalmente, dato il carattere assoluto della monarchia spagnola, erede in questo dell’ideologia imperialista dei visigoti, l’indipendenza teoricamente garantita dai “fueros” non lo era sempre all’atto pratico. Non bisogna infatti lasciarsi troppo ingannare dal gran numero di accordi stipulati tra le due controparti: lo scopo è spesso quello di far apparire come unione volontaria quella che di fatto era un’annessione (o si avviava a diventarlo). D’altra parte, l’oggettiva sproporzione di forze in campo economico-militare rendeva inevitabile la progressiva erosione delle prerogative garantite dai “fueros”.
Emblematica da questo punto di vista fu l’imposizione alla Navarra della figura del viceré, il cui compito principale era quello di avallare le “leyes ordenanza” madrilene. Per i tre secoli successivi (fino alla grande presa di coscienza collettiva con la nascita del moderno razionalismo, grazie a Sabino Arana Goiri), si può dire che i baschi non furono più protagonisti della loro storia, ma sottoposti alle altrui vicende, di Spagna e Francia in particolare.
Alla morte di Ferdinando VII (1833) viene designata come successore la figlia Isabella, ancora bambina. Si scatena la guerra civile tra i conservatori, alleati dei “regionalisti” (tra cui i baschi), e i “liberali”. I primi parteggiano per Don Carlos, che rivendica i suoi diritti al trono di Spagna, i secondi sono fautori di uno Stato fortemente caratterizzato in senso centralizzatore e sostengono la reggenza della vedova di Ferdinando.
Ogni giudizio sulla massiccia adesione dei baschi al Carlismo (in difesa dell’“Ancien Regime”) deve essere valutato alla luce della precedente Rivoluzione francese (oltre che della brutale instaurazione del capitalismo, contemporanea e causa non secondaria della reazione carlista, soprattutto in Navarra). La concezione della “nazione” prodotta dall’89 aveva comportato la negazione dei diritti delle piccole nazioni cosiddette minoritarie, in realtà minorizzate.
La prima sconfitta del Carlismo portò tra l’altro a un drastico ridimensionamento (o meglio: svuotamento) della legislazione forale in quegli aspetti che ancora garantivano il mantenimento di un certo potere nelle mani dei baschi. La soppressione delle Cortes di Pamplona concluse il processo di riduzione della Navarra al rango di pura e semplice provincia spagnola. Eroe universalmente riconosciuto di questa guerra fu il generale basco Zumalakarregi, caduto in combattimento nei pressi di Bilbao.
Quanto alla seconda guerra carlista (che ebbe per i baschi un carattere meno accentuato di liberazione nazionale) e alla relativa sconfitta, fu la causa di un ulteriore inasprimento repressivo (tra l’altro con l’imposizione del servizio militare obbligatorio nell’esercito spagnolo). Con la legge del 21 luglio 1876 che “trasformava” i baschi in spagnoli a tutti gli effetti, il processo di assimilazione sembrava essersi concluso… Invece stava per nascere un movimento politico-culturale capace di ridare ai baschi un nuovo “strumento globale” di lotta: quello della consapevolezza della loro identità nazionale.
Nel 1895 nascerà il PNV (Partito Nazionalista Basco). Il resto è cronaca, nel bene e nel male.

Zumalakarregi ferito mortalmente a Bilbao.