Il 12 maggio 2024 si sono svolte le elezioni per il Parlamento catalano. La stampa spagnola e internazionale ha sottolineato soltanto il fatto che Puigdemont non sia arrivato primo. Il candidato vincente, Salvador Illa del psc, il ramo catalano del PSOE, non viene quasi menzionato perché non sembra aver vinto per quello che è, ma in quanto capintesta della campagna statale per sconfiggere elettoralmente l’indipendentismo catalano, un movimento che dal 2012 ha vinto tutte le elezioni con la maggioranza assoluta.
E dicendo “l’indipendentismo catalano ha perso” sottintendono che “l’indipendentismo catalano è finito”; anche se non è chiaro se Illa possa formare un governo anti indipendentista (avrebbe bisogno della partecipazione di erc, un partito catalanista). erc potrebbe piuttosto appoggiare Puigdemont per formare un governo pro indipendenza. E se non ci sarà un accordo si andrà a nuove elezioni.
Il psc (socialdemocratici filo-spagnoli) ha ottenuto 42 deputati, Junts de Puigdemont (socialdemocratici e liberali indipendentisti) 35 deputati, 20 per erc (socialdemocratici indipendentisti), 15 per il pp (destra filo-spagnola), 11 per Vox (estrema destra spagnolista), 6 per Comunes (sinistra nazionale indefinita), 4 per cup (sinistra indipendentista) e 2 per Aliança Catalana (un nuovo partito di estrema destra pro indipendenza, in linea con quanto sta accadendo in Europa, ma contrario alla tradizione antifascista del movimento indipendentista).

Salvador Illa, l’uomo di Sanchez.

Nonostante stia per essere approvata un’amnistia per disinnescare la lawfare della magistratura, utilizzata dal nazionalismo spagnolo contro l’indipendentismo catalano, in queste elezioni c’è stata comunque una forma di persecuzione: Puigdemont ha dovuto fare campagna elettorale dalla Catalogna del nord (attualmente in territorio francese), senza poter circolare per la Catalogna vera e propria perché sarebbe stato arrestato, e senza poter partecipare a dibattiti televisivi. E nonostante questo svantaggio – che in altri Paesi avrebbe portato all’annullamento delle elezioni per disparità tra i contendenti – il risultato di Puigdemont è stato decisamente accettabile: ha superato di 100.000 voti il suo precedente risultato, portandosi a 7 seggi dal vincitore.
Il movimento catalanista nel suo complesso ha mantenuto i voti delle precedenti elezioni, ma ha ne ha persi 700.000 rispetto al 2017. Calo dovuto principalmente a erc, che stava già perdendo consensi da tempo e che ora ha perso 170.000 voti rispetto alle elezioni precedenti, e ben 500.000 rispetto al 2017. L’elettorato ha punito il governo catalano di erc per aver cambiato rotta, per aver voluto fermare il movimento di emancipazione, per aver parlato di rinviare l’indipendenza per oltre 20 anni e per essersi continuamente sottomesso ai disegni del governo spagnolo. La battuta d’arresto elettorale ha spinto la sua dirigenza a dimettersi e ad annunciare un processo di autocritica e di riorientamento.
Pertanto, chiunque voglia vedere nella perdita della maggioranza assoluta la fine del movimento indipendentista avrà difficoltà a comprendere ciò che sta per accadere: l’anelito alla libertà è ancora vivo, e questa è stata solo una turbolenza elettorale dovuta alla difficoltà di accordarsi su come gestire l’ostilità spagnola. Questa sconfitta elettorale, quindi, non è la sconfitta di chi è ancora in lotta con lo Stato, ma del partito che aveva relegato la lotta per l’indipendenza alla gestione degli affari interni.
In senso più lato, molti elettori non perdonano il fatto che tutti quanti i partiti indipendentisti non abbiano osato perseguire l’indipendenza nel 2017 (nel timore che la Spagna provocasse un bagno di sangue), né che, con il 52% dei voti nel Parlamento catalano, si siano lasciati distogliere dall’obiettivo finale.
Tornando al presente, resta da vedere chi formerà un governo in Catalogna. Ma anche se le sigle favorevoli all’autodeterminazione non dovessero farcela, l’onda continuerà a crescere perché –  diversamente da quanto pensano a Madrid – i partiti non sono la forza trainante dell’indipendenza, basata piuttosto su un movimento trasversale della società, nato da un anelito reale e storicamente onnipresente in Catalogna.