Anche i simboli hanno la loro importanza… Quindi, dovendo parlare dell’indipendentismo corso, e in particolare del flnc, partirò da quello più noto, la bandiera adottata dal movimento indipendentista: si tratta di quella storica dell’Isola di Granito, ma con una significativa modifica.
Andiamo con ordine.
Sul bianco della bandiera spicca una testa di moro, di profilo, con una fascia bianca sulla fronte.
L’origine è quasi sicuramente catalano-aragonese. La testa o le teste (in genere quattro) si ritrovavano anche nell’araldica sarda, e da qui le riprese il “re di Corsica” Theodor de Neuhoff. Semplificata rispetto a quella della Sardegna, divenne emblema nazionale della Corsica indipendente nel 1736.
Originariamente però la benda era posta sugli occhi del moro – schiavo o prigioniero di guerra – e venne “sollevata” con intenti allegorici in coincidenza con la breve ma intensa stagione di libertà della Rivoluzione Paolina.
Me lo aveva spiegato Yves Stella, già esponente del movimento autonomista e – dopo la rivolta di Aleria nel 1975 – parte attiva nella costituzione del flnc, dicendo che “un movimento di liberazione non può avere per simbolo una persona imprigionata”. Parole sante!

Ajaccio, luglio 1983

Non fosse stato per il clima e per i colori della terra e del cielo, in quei primi giorni di luglio del 1983 sembrava di essere in Irlanda del Nord e non in quel di Ajaccio.
La bara portata a spalla sulla porta della chiesa, il volto coperto, le giacche verde olivo di foggia militare dei volontari pronti a sparare in aria per il “saluto finale”, evocavano situazioni analoghe già viste a Derry e a Belfast. Solo l’ordine gridato dal capo plotone (“Fora! Fora!”) in lingua corsa e non in gaelico riportava bruscamente gli attoniti spettatori nell’Isola di Granito.
Guy Orsoni, militante ben conosciuto della ccn, la consulta dei comitati nazionalisti, era stato assassinato il 17 giugno 1983 in circostanze mai chiarite. Si era parlato di un “regolamento di conti”, ma il possibile movente rimaneva oscuro.
Rendendogli gli onori militari, prima cerimonia del genere in Corsica, il Fronte di Liberazione Naziunale di a Corsica lo rivendicava come proprio militante.
Il flnc era nato nel 1976 dalla riunificazione dei militanti di preesistenti gruppi clandestini minori (Fronte Paesanu Corsu e Ghiustizia Paolina) con alcuni fuorusciti da Azione per a Rinascita di a Corsica.
Tra i primi attentati più eclatanti, si ricordano quelli contro i ripetitori televisivi di Bastia (1978) a cui avrebbe preso parte anche Yves Stella.
Da un calcolo approssimativo fatto all’incirca nel 2007, erano oltre 15mila gli attentati rivendicati dal flnc. Anche se in seguito si sarebbe registrato un calo, sia per quantità sia per intensità, è plausibile che dieci anni dopo fossero circa 20mila quelli attribuibili all’organizzazione clandestina storica.
Nel corso degli anni il movimento aveva conosciuto divisioni, scontri interni… persino qualche deriva di stampo mafioso. Vere e proprie faide in cui talvolta era riconoscibile la longa manus dei servizi segreti francesi, impegnati ad alimentare personalismi, divisioni e vendette.
Fra gli episodi più clamorosi in cui era ipotizzabile un intrigo tra mafie locali, servizi segreti e frange interne al movimento (“l’una contro l’altra armata”), l’uccisione di uno dei fondatori del flnc, Jean-Michel Rossi, nell’agosto 2000 e quella di un altro leader storico, Francois Santoni, nel 2001. Entrambi esponenti di Armata Corsa, un gruppo dissidente che si era opposto al processo di pace di Matignon (luglio 2000) sostenuto invece dal flnc.
Non meno complicato quanto contemporaneamente avveniva in ambito strettamente politico. Dalla ccn (negli anni ottanta considerata la “vetrina legale” del flnc) al Movimentu Corsu per l’Autodeteminazione e A Cuncolta Naziunalista (da cui nel 1989 si era staccata la Accolta Naziunale Corsa che non lesinava qualche critica anche al flnc).
Tra il 2015 e il 2010 si era avuta una sorta di “rifondazione politica” da cui era emerso un soggetto sostanzialmente unitario: Corsica Libera. Alle elezioni amministrative del marzo 2010, vinte dalle liste di sinistra, alla nuova formazione indipendentista era andato il 10% dei voti mentre gli autonomisti di Femu a Corsica erano arrivati al 26%.
Facciamo ora un passo indietro per cercare di orientarci nella tragica catena di delitti che ha segnato le vicende corse degli ultimi decenni, colpendo anche esponenti dell’indipendentismo.

1995-1996: rischio di autodistruzione?

Con un tempismo degno di miglior causa, la tragica sequenza di uccisioni che aveva insanguinato la Corsica tra la fine del 1995 e l’inizio del 1996, causando in pochi mesi oltre una ventina di vittime, militanti e non, veniva abilmente strumentalizzata dai media per decretare – per l’ennesima volta – la fine della lotta per l’autodeterminazione.
Fra gli altri, “il Manifesto” si distingueva per l’incapacità di comprendere le reali dinamiche di questa fase che vedeva il movimento corso “sotto tiro”. Sul supplemento “Extra” del 4 marzo 1996 con un titolo quanto mai insulso anche se voleva essere evocativo (Fuori corso) due inviate del quotidianio, a mio avviso “improvvisate”, pretendevano di dimostrare che le azioni degli indipendentisti corsi si sarebbero ormai trasformate in una inutile guerra di “tutti contro tutti senza vincitori né vinti”. Anche stavolta non potevo fare a meno di esprimere perplessità e disappunto per l’atteggiamento assunto da una parte della “compagneria” nei confronti di alcune lotte di liberazione (oltre ai corsi, penso ai baschi).
Lotte comunque classificabili di sinistra, sempre a mio avviso. Sia per le dichiarazioni d’intenti di chi le ha praticate, sia per il contesto storico-sociale in cui si sono sviluppate. Invece all’epoca “il Manifesto” non perdeva occasione per screditarle tacciandole di conservatorismo, tribalismo, vetero-nazionalismo eccetera, finendo poi regolarmente per definirle terroristiche. Schierandosi di fatto con la propaganda degli Stati oppressori.
Per una strana forma di schizofrenia politica invece sull’Irlanda l’informazione è sempre stata puntuale, corretta. In qualche occasione veniva intervistata perfino l’ira, mentre Gerry Adams era addirittura “arruolato” tra gli azionisti del quotidiano comunista (pur sapendo degli ottimi rapporti del Sinn Fein con Herri Batasuna e con A Cuncolta Naziunalista).
Fra l’altro, il personaggio intervistato da “Extra” non era neanche particolarmente rappresentativo. Un certo Max Simeoni, esponente di upc (derivata dall’arc) noto più che altro in quanto fratello di Edmond Simeoni, il militante autonomista rimasto ferito ad Aleria. In tale circostanza, il 25 agosto 1975, gli esponenti dell’arc (Azzione per a Rinascita di a Corsica) intendevano compiere soltanto un’azione dimostrativa (come avveniva spesso in Francia per opera dei “contadini incazzati”). Un’azione contro il viticultore pied noir Henri Dappelle (che pare producesse, tra l’altro, vino adulterato e fosse coinvolto in uno scandalo finanziario) percepito come colonizzatore. Non era loro intenzione fuoruscire dall’àmbito di una lotta settoriale (“corporativa”) e non pensavano di stare decretando l’inizio della lotta armata.
Lo Stato, confermando la condizione di colonia della Corsica, era intervenuto molto duramente, in maniera giudicata sproporzionata. Per far evacuare la cantina occupata, l’allora ministro dell’Interno Michel Poniatowski inviò ad Aleria ben 1200 gendarmi, la Compagnie républicaine de sécurité (crs) e la divisione antisommossa con i blindati.
Nello scontro morirono due gendarmi (un altro rimase gravemente ferito).
Immediatamente a Bastia e altrove scoppiarono scontri assai duri tra i giovani corsi e le forze dell’ordine (o di occupazione?)
Quanto al movimento di Simeoni, venne sciolto il 27 agosto dal Consiglio dei Ministri.
Qualche tempo fa, negli anni ottanta, tra le rovine ancora in piedi della cantina di Aleria, avevo potuto fotografare sia le scritte originali del 1975 ben riconoscibili con la sigla arc, sia quelle aggiunte successivamente del flnc.
In qualche modo veniva riconosciuta la “paternità” di Aleria, ma si rivendicava anche il successivo salto di qualità.
Ossia la nascita nel 1976 (pare nel Convento di Casablanca) del Fronte di Liberazione Nazionale Corso (flnc). Le prime vere azioni del Fronte (attacchi contro ripetitori televisivi) risalivano al maggio 1976.

Aleria negli anni ’80. Sui muri superstiti si riconoscono, per quanto imbrattate, alcune scritte originali dell’ARC (autonomista) e quelle successive del FLNC (indipedentista) che considerava la sollevazione di Aleria come propria origine. (© Gianni Sartori)

Cosa stava succedendo invece nel 1996? Gran parte delle vittime risultavano militanti o simpatizzanti di A Cuncolta Nazionalista che non era la pura e semplice “vetrina“ del flnc-canale storico (come sostenevano i media, francesi e non). Piuttosto l’equivalente di quello che il Sinn Fein rappresentava per l’ira o Herri Batasuna per eta: un’organizzazione politica con una sua autonomia che si rapportava al gruppo armato considerandolo parte integrante del movimento di liberazione.
I gruppi che avevano innescato questo regolamento di conti (con azioni che sembravano evocare i metodi delle squadre della morte: molti sono stati uccisi con un colpo alla nuca, come Vincenzo Dolcerocca, coordinatore organizzativo delle Ghjurnate Internaziunali) sarebbero stati l’mpa cioè Movimento per l’autodeterminazione 1) di Alain Orsoni e l’anc (Accolta Naziunale Corsa, un gruppo considerato “moderato”) di Pierre Poggioli. Costui, espulso dal Fronte ancora alla fine degli anni ottanta, era noto per aver organizzato un vasto traffico di carte di credito, provenienti dalla Società Generale, con cui finanziava la sua organizzazione.

L’altro movimento, l’mpa capeggiato da Orsoni, era invece coinvolto in intrallazzi di vario genere (controllo di case da gioco, speculazioni edilizie, forse anche traffico di stupefacenti) nel sud della Corsica. L’attività del flnc-canale storico, con la denuncia delle speculazioni turistiche, le azioni armate in difesa delle coste (“notti blu”) e contro gli spacciatori era evidentemente entrata in conflitto con gli interessi di questi loschi personaggi (oltre che con quelli di mafiosi e clanisti, fra cui alcuni finanziatori di anc e mpa). Il Fronte aveva risposto agli attacchi per difendere la sua identità e la vita dei suoi militanti.
Nell’ottobre 1995 il flnc aveva decretato un cessate il fuoco sia nei confronti dello Stato sia dei gruppi rivali (naturalmente questo non significava che “Alain Orsoni e i suoi assassini possano continuare impunemente con le loro attività mafiose”). Ma le esecuzioni di militanti non si erano arrestate, suscitando il dubbio – forse eccessivo ma non privo di fondamento – che anc e mpa, con i rispettivi gruppi armati (Resistenza e Canale Abituale) ormai ricoprissero più o meno consapevolmente un ruolo analogo a quello del gal nei Paesi Baschi o delle bande lealiste (uvf, uff…) in Irlanda.
Se questa analogia appare eccessiva, troppo drastica (e in effetti…) se ne potrebbe azzardare un’altra forse più benevola. Un confronto con quanto avvenne in Irlanda all’epoca della spaccatura dell’ira (tra Official e Provisional, fine anni sessanta) e poi della nascita dell’inla cioè Irish National Liberation Army (gruppo marxista rivoluzionario nato nei primi anni settanta; tre suoi militanti morirono nello sciopero della fame del 1981). Cito fra tutti uno degli episodi più gravi, l’assassinio di Seamus Costelo, fondatore dell’inla, per mano degli Officials (prima stalinisti, poi eurocomunisti, infine socialdemocratici: Workers Party). Una esecuzione di “stile” analogo a quelle operate dai gruppi armati legati a mpa e anc contro esponenti della Cuncolta. Tra l’altro anche l’ira Official ebbe le sue collusioni con i servizi segreti in cambio di precise garanzie, come probabilmente stava accadendo per i gruppi di Orsoni e Poggioli. 2)
In questo contesto, tragico e ambiguo, A Cuncolta e flnc-canale storico sembravano comunque in grado di interpretare, di analizzare politicamente la situazione. Del resto era almeno dal 1989 che il Fronte denunciava pubblicamente le operazioni condotte dallo Stato francese per screditare la lotta di liberazione. Quello che dopo l’89 emergeva, almeno a livello di facciata, era un apparente ammorbidimento della repressione tradizionale.

Aleria negli anni ’80. (© Gianni Sartori)

Contemporaneamente venivano però attivate una serie di iniziative tese a corrompere o a provocare derive in seno al movimento di liberazione. Instaurando rapporti occulti con personaggi legati all’indipendentismo e garantendo loro carriere amministrative, vantaggi economici, il controllo di determinate zone turistiche. Questo il Fronte lo denunciava da anni.
È possibile naturalmente che a quel punto agissero anche “riflessi condizionati”, meccanismi fuori controllo. Non tutti coloro che si rendevano responsabili di questa guerra fratricida avevano la piena consapevolezza e la volontà di agire a favore dei piani dello Stato: disarticolazione, demolizione delle lotte, normalizzazione (per dimostrare che il popolo corso è sostanzialmente incapace di autogovernarsi). Anche se di fatto era quanto stava accadendo.

Ritorno al 2000

Arriviamo – anzi torniamo – alla morte di Jean-Michel Rossi del 7 agosto 2000. In un comunicato di pochi mesi prima (27 giugno 2000) il flnc aveva dichiarato: “Non intendiamo barattare gli interessi collettivi del nostro popolo con qualche misura economica o fiscale. Questa terra deve svilupparsi in armonia con il suo popolo riconosciuto in tutti i suoi diritti. La pace ha questo prezzo”.
Il comunicato proseguiva auspicando un processo graduale che comunque doveva rappresentare “una rottura totale con il quadro oppressivo che annichilisce la nostra comunità da oltre due secoli. Lo Stato francese e il suo governo devono impegnarsi chiaramente e definitivamente in un piano di riparazione storica, al di là di ogni considerazione pre-elettorale”.
Contemporaneamente il Fronte rivendicava alcuni sabotaggi, aggiungendo però che questo non implicava la rimessa in discussione della tregua. Le azioni, spiegava il comunicato, erano una risposta “alla prosecuzione della politica governativa di sradicamento della comunità corsa.
Analoghe dichiarazioni vennero poi formulate in agosto, durante le tradizionali Ghjurnate, insieme a quelle sui prigionieri politici reclusi in Francia e di cui si chiedeva il raggruppamento in un carcere dell’isola, a Borgu.
Ai primi di luglio 2000 Jospin aveva rinviato all’Assemblea di Corsica ogni ulteriore prosecuzione del dialogo, forse augurandosi che la questione si arenasse in un interminabile dibattito interno. Invece il 12 luglio 2000 una quarantina di consiglieri (su 51) sottoscrissero un documento per chiedere: la soppressione dei due dipartimenti in cui è suddivisa l’isola; l’istituzione di una collettività territoriale unica, un potere legislativo su competenze da definire nel corso delle trattative; lo statuto fiscale e l’insegnamento della lingua corsa nelle scuole materne e primarie.
Corsica Nazione, che con i suoi otto eletti faceva parte di questa maggioranza, volle sottolineare che questo primo documento si legava alla questione dei prigionieri politici corsi. Una dichiarazione che scatenò l’indignazione di Chirac (in occasione del 14 luglio la definì “indecente”).
Ma nonostante varie levate di scudi, le cose andarono avanti e il 20 luglio 2000, con la storica riunione di Matignon, le richieste vennero accettate dal governo francese, in vista di una revisione della Costituzione da completarsi nel 2004. Una settimana dopo, il testo prodotto a Matignon venne approvato dagli eletti dell’Assemblea di Corsica. Toccò allora al ministro dell’Interno dell’epoca, Chevenement, assumersi il gravoso compito di alimentare nel governo la fronda anti-accordo. Già in precedenza aveva dichiarato che “concedere il potere legislativo alla Corsica significa concedere la sovranità”.
Molto diverso naturalmente era il parere dei nazionalisti corsi che consideravano l’accordo “assai carente su questioni essenziali: i prigionieri politici, l’avanzata della decorsizzazione negli impieghi, le attività speculative ai danni del territorio, la difesa della lingua corsa…”.
Tuttavia durante le Ghjurnate del 2000 l’accordo di Matignon venne definito un “riconoscimento della lotta del popolo corso”. In altre parole, il governo francese aveva dovuto ammettere che il popolo corso stava lottando per la sua autodeterminazione. Dal palco delle Ghjurnate vari oratori sottolinearono con forza che la prosecuzione dei negoziati era comunque legata alla questione dei prigionieri.
Con singolare tempismo, il giorno dopo (7 agosto 2000) Jean-Michel Rossi e la sua guardia del corpo Jean-Claude Fratacci venivano massacrati da un commando di cinque uomini nel bar “La Piscine” all’Île-Rousse (tanto per la cronaca, anche il proprietario del bar, Jean-Pierre Martelli, venne a sua volta assassinato l’anno dopo).
La scelta del giorno appariva quantomeno grossolana, fatta apposta per gettare sospetti sui nazionalisti, in particolare sul flnc. E naturalmente i media dell’Esagono non persero l’occasione per alimentare tali supposizioni.
Non si capiva comunque quale vantaggio potesse derivarne per il Fronte, dato che la pubblicazione del libro in cui Rossi e Francois Santoni (altro leader storico dell’indipendentismo, a sua volta assassinato il 17 agosto 2001) criticavano i vecchi compagni di lotta risaliva a quindici giorni prima, e le loro intenzioni erano note da tempo. Del resto, una volta escluso un attacco collettivo di schizofrenia, doveva bastare la lettura del testo di condoglianze reso pubblico da Corsica Nazione, rappresentante della stessa area incriminata dai media francesi come mandante dell’assassinio, per capire che la decisione di eliminare Rossi non poteva ragionevolmente essere stata presa in tale ambiente politico.
Data l’alta “professionalità” dimostrata dagli attentatori non regge molto nemmeno l’ipotesi di una “scheggia impazzita”, della ritorsione di qualcuno che si sarebbe sentito tradito dalle affermazioni contenute nel libro. Non è invece da escludere che proprio la pubblicazione del libro abbia fornito il pretesto per “coprire” l’eliminazione di Rossi. L’attivo militante indipendentista, esponente di Armata Corsa (il gruppo dissidente uscito dal flnc e presente ai suoi funerali) stava sicuramente dando fastidio alla malavita in Balagna, soprattutto ai trafficanti di droga da sempre nel mirino degli indipendentisti corsi.
Alla fine due ipotesi rimanevano in piedi: o un’operazione di “guerra sporca” da parte dei servizi segreti o una ritorsione della malavita locale (senza naturalmente escludere il già collaudato sinergismo). In ogni caso, se era un modo per disarticolare il movimento indipendentista innescando faide e ritorsioni, il tentativo sembrava essere fallito.
Da sottolineare inoltre che negli ultimi anni il flnc aveva dimostrato di sapersi prendere le sue responsabilità nei confronti di una soluzione politica del conflitto decretando una serie di tregue, in particolare quella unilaterale e senza condizioni del 23 dicembre 1999, in coincidenza con la ripresa delle trattative fra il governo francese e gli eletti corsi.
Quindi, stando a quanto scriveva allora “U Ribombu”, 3) “va riconosciuto al flnc di aver mantenuto una linea coerente, quella della resistenza al colonialismo, della lotta di liberazione nazionale, dell’interesse collettivo e della difesa del popolo corso, dell’indipendenza nazionale”. E concludeva con un appello rivolto sia ai simpatizzanti sia agli avversari: “Si può essere per o essere contro. Ma in questo anniversario della creazione del flnc il popolo corso tutto intero non può non rispettare il senso della sua lotta e il sacrificio dei suoi uomini”.
Purtroppo la serie degli “omicidi eccellenti” non era conclusa.

(© Gianni Sartori)

Il delitto Santoni

Era circa l’una del mattino di venerdì 17 agosto 2001 a Monacia-d’Aullème, nel sud della Corsica. Santoni si stava allontanando da una festa di matrimonio per raggiungere la sua abitazione a Giannuccio.
I colpi che lo uccisero provenivano da un fucile d’assalto, probabilmente un AK47, il kalashnikov. Quando si recava in zone dell’isola a lui ostili, il leader indipendentista veniva sempre accompagnato da una scorta di circa dieci uomini armati, ma qui probabilmente si sentiva al sicuro.
La sua tragica fine riproponeva quasi lo stesso copione della morte di Rossi. Anche stavolta il delitto era stato anticipato dalla pubblicazione di un libro, in giugno. Scritto da Santoni, Contre-enquète sur trois assasinats, edito da Denoel, alle pagine 33-35 riportava una dettagliata ricostruzione dell’incontro di Santoni con alcuni esponenti nazionalisti a poche ore dalla sepoltura di Rossi. Un incontro svoltosi nella casa del militante assassinato. E in effetti, senza nulla togliere all’ipotesi che quel delitto fosse comunque un prodotto della “guerra sporca”, la lettura provoca anche qualche dubbio inquietante sulle possibili derive all’interno del movimento indipendentista e tra le sue fazioni.
Scriveva Santoni:

All’incontro sono presenti tra gli altri Jean-Guy Talamoni, un rappresentante della Cuncolta e un rappresentante del flnc. I volti sono lividi. Ai due lati del tavolo regna una tensione terribile. La riunione dura circa mezz’ora. Io spiego da dove arriva il doppio assassinio e chi vi è implicato. Nessuno osa smentirmi. Io aggiungo che nessuna delle organizzazioni presenti deve solidarizzare con gli assassini e chiedo quindi di dissociarsi apertamente da coloro che hanno organizzato l’esecuzione di Rossi. Gli autori materiali non mi interessano […]. Voglio invece che i due mandanti di questa operazione, che attualmente sono anche esponenti del movimento nazionalista, siano messi al bando. L’imbarazzo dei miei interlocutori è immediatamente percepibile. Mi spiegano che non possono allontanare persone come quelle.

Santoni proseguiva osservando come questa, dal suo punto di vista, fosse quasi un’ammissione e una conferma delle sue ipotesi. A questo punto, stando al suo racconto, avrebbe offerto agli interlocutori quella che definisce “una via d’uscita onorevole” e cioè che “siano gli stessi due personaggi responsabili della morte di Rossi a lasciare il movimento”.
Nessuno fra i presenti, compreso Talamoni, sarebbe però stato disposto a prendere l’iniziativa di informare gli interessati. Sempre secondo quanto scriveva Santoni, il rappresentante di flnc avrebbe chiesto di poter prendere tempo.
“Tutti”, continuava il leader scomparso, “sembrano aver paura di coloro che noi abbiamo individuato. La riunione si conclude, tutti si abbracciano, si incoraggiano a vicenda raccomandando la prudenza… Io so che non faranno niente. I nostri interlocutori non hanno i mezzi per mettere in riga gli altri”, ossia coloro che Santoni riteneva responsabili dell’uccisione di Rossi.
Questa la testimonianza, ormai postuma, di Santoni. Comunque inquietante.
Fra gli avvenimenti immediatamente successivi (oltre a una serie di attentati e all’uccisione di altri probabili esponenti di Armata Corsa) va registrata una netta presa di posizione del flnc. Giovedì 30 agosto 2001, in un comunicato inviato a France 3 Corse, il Fronte dichiarava di non “aver niente a che fare” con la morte di Santoni e nemmeno con il duplice omicidio di Moriani-plage del 21 agosto 2001.
Scriveva flnc: “Mettendo a profitto le uccisioni di questi ultimi tempi i manipolatori patentati dell’apparato statale francese, con la complicità di certi media, fanno circolare le ipotesi più inverosimili”. E proseguiva: “Affinché sia tutto chiaro, noi riaffermiamo di non aver niente a che fare, né da vicino, né da lontano, con questi tragici avvenimenti. È inutile e irresponsabile coinvolgere l’organizzazione in ogni attentato o uccisione non rivendicati”.
Nello stesso comunicato il Fronte si attribuiva la responsabilità di quattro recenti attentati. Secondo gli specialisti dell’antiterrorismo il comunicato del flnc sarebbe stato destinato a un “uso interno” al movimento nazionalista, al fine di prevenire eventuali rappresaglie da parte dei seguaci di Santoni e soprattutto da parte di Armata Corsa.
Non sono poi mancate le interpretazioni del delitto Santoni come una conseguenza della sua ostinata opposizione al processo di pace di Matignon. Come sempre, val la pena di porsi la domanda: cui prodest?

Un contributo del Sinn Fein

Il 7 e 8 agosto 2010, come sempre, venivano organizzate a Corte le Ghjurnate internaziunali che da oltre trent’anni rappresentano un momento di confronto tra le organizzazioni indipendentiste di sinistra della Corsica, dei Paisos Catalans, di Euskal Herria, della Nuova Caledonia (i kanaki). Dopo diversi anni era tornato anche il Sinn Fein, rappresentato da Paul Fleming, ex sindaco di Derry e uno dei principali promotori del processo di pace in Irlanda. Su esplicita richiesta di Corsica Libera, Fleming aveva tenuto un “corso accelerato di negoziazione e disarmo” in vista di una soluzione politica del conflitto.
Stando alle impressioni diffuse tra alcuni partecipanti, anche se “ufficialmente la linea politica rimane quella di un sostegno incondizionato al flnc, un numero sempre maggiore di militanti e anche parecchi dirigenti, si stanno chiedendo a cosa possa ancora servire una lotta armata nel cuore dell’Europa”. Per inciso, domande che da tempo si ponevano anche molti esponenti baschi abertzale (indipendentisti di sinistra).
Non era un caso forse che da qualche anno – dal 2008 circa – il numero degli attentati fosse alquanto diminuito passando dai 184 del 2007 ai 49 del 2009. Con un effetto collaterale che probabilmente non era stato previsto: in poco tempo l’Isola di Granito andava ricoprendosi di cantieri. Fino ad allora le coste della Corsica erano sfuggite al degrado di Sardegna e Spagna grazie anche alle “nuits bleues” con cui il flnc colpiva le speculazioni immobiliari.
Fra le questioni su cui gli indipendentisti corsi non accettavano compromessi, la prima era la richiesta della lingua corsa ufficiale. L’altra quella dei prigionieri politici – all’epoca una settantina – che avrebbero dovuto essere trasportati in carceri dell’isola (richiesta analoga a quella dei baschi: Euskal Presoak Euskal herrira).
Altra richiesta essenziale: per gli acquisti immobiliari, priorità a chi vive nell’isola da almeno dieci anni, una misura già adottata in Nuova Caledonia.
Sempre nell’estate 2010, ma da Belfast, il Sinn Fein era intervenuto anche sulla questione basca. Gerry Adams aveva chiesto al governo spagnolo di liberare il leader di Batasuna, Arnaldo Otegi, ancora in carcere come gran parte dei dirigenti dell’organizzazione abertzale.
A rendere meno autorevoli gli interventi dei due esponenti repubblicani irlandesi, Fleming a Adams, la notizia che dopo gli ultimi scontri fra gruppi di giovani cattolici e protestanti, in Irlanda del Nord erano ripresi gli attentati da parte dei gruppi repubblicani dissidenti (contrari agli accordi di pace).

Ultimi fuochi di una guerra fratricida?

Definire Yves Manunta un “miracolato” non è un’esagerazione. In almeno due circostanze (ma non se ne escludono altre rimaste nell’ombra) è finito sotto il tiro di chi voleva ammazzarlo. L’ultima imboscata risale al 2011: l’8 novembre, verso le 18.30, ad Ajaccio, almeno una cinquantina di pallottole lo avevano sfiorato ferendo però la figlia di 10 anni e sua moglie.
Per l’aggressione venivano fermati due sospetti, i gemelli Marc e Dominique Pantalacci, riconosciuti dalla bambina colpita e accusati di “tentative d’assassinat en bande organisée”. Gravissimo episodio, soprattutto agli occhi dei corsi in quanto donne e bambini, in base al codice non scritto dell’isola, non dovevano essere coinvolti nei regolamenti di conti.
Qui non si vuole certamente approfondire la storia della criminalità corsa: esiste in proposito un’ampia bibliografia. 4) Se mi dilungo sul caso Manunta, ben conosciuto come esponente dell’indipendentismo armato e clandestino, è per un preciso motivo. Per certi aspetti la sua vicenda appare emblematica del modo in cui alcune frange del movimento sono approdate dalla militanza indipendentista, prima agli affari, poi alla criminalità. Senza, o quasi, soluzione di continuità.
In un altro attentato nel 1996, Manunta era stato invece colpito da una trentina di proiettili. Alla testa, alle gambe e alla schiena.
Membro all’epoca di anc (Accolta Naziunale Corsa) e in buoni rapporti con alcuni esponenti di mpa dove militava Francis, il padre dei gemelli Pantalacci, e coinvolto nella guerra fratricida tra nazionalisti, in quella circostanza non aveva sporto denuncia. Lo aveva invece fatto nel 2011 proprio perché gli aggressori (“gente senza onore” li aveva definiti) avevano colpito i suoi familiari.
Qualche anno dopo l’attentato del 1996, Manunta aveva messo in piedi la Socièté mediterranéenne de sécuritè (sms), in società (o “in batteria”?) con un altro esponente di anc, Antoine Nivaggioni e con l’aiuto di Francis Pantalacci, a quel tempo funzionario della Chambre de commerce et d’industrie de Corse-du-Sud.
Nel 2004 erano scoppiati contrasti fra Manunta e Nivaggioni in quanto quest’ultimo attingeva di nascosto ai fondi di sms.
Manunta allora, nel 2007, lasciava la società che aveva contribuito a fondare per costituirne un’altra, la Socièté de sécurité méridionale (ssm).
Intanto il tribunale si interessava ai conti della vecchia sms che finiva in giudizio per “escroquerie e abus de biens sociaux”.
Complessivamente verranno condannate 18 persone, tra cui Pantalacci, mentre Manunta sarà rilasciato. Il maggior indiziato, Nivaggioni, assassinato nell’ottobre 2010, non venne nemmeno convocato.
L’attentato del 14 novembre 2011, sia per gli inquirenti sia per Manunta, avrebbe tratto origine dalle vicende processuali legate a sms. Difficile stabilire con precisione se si sia trattato di un rigurgito della guerra interna fra nazionalisti o di un episodio di criminalità comune. In ogni caso era apparso subito chiaro che non sarebbe stato l’ultimo.
Per la cronaca, nel 2011 si registrarono in Corsica oltre 30 tentativi di omicidio di cui 19 riusciti.

Prosecuzione della lotta con altri mezzi?

Quanto agli sviluppi successivi, il 3 maggio 2016 veniva resa pubblica la dichiarazione con cui il flnc decideva ufficialmente di sospendere le operazioni militari entro il 22 ottobre, una scelta di cui si era già parlato il 25 giugno. Senza per questo deporre le armi.
In pratica, una tregua indefinita – se non addirittura definitiva – per consentire alla nuova Assemblea Regionale di “adempiere il suo compito con serietà”. Con le elezioni del dicembre 2015 la coalizione guidata da Gilles Simeoni, Per a Corsica, aveva superato il 35 per cento.
Era giunta finalmente l’ora della prosecuzione della lotta per l’autodeterminazione con altri mezzi?
Pare proprio di sì visto che nel 2016 prendeva il via la smobilitazione del flnc.

2022: l’assassinio di Yvan Colonna

Ma non per questo tutto era risolto. Tra gli eventi più recenti che per qualche tempo hanno riacceso il conflitto in Corsica, va ricordata la tragica fine, l’assassinio del prigioniero politico corso Yvan Colonna.
Nonostante wikipedia l’avesse già tumulato (riportando anche la data di morte, 2 marzo 2022, poi tolta), Yvan Colonna, se pur in coma, il giorno dopo l’aggressione era ancora vivo.
Le condizioni del militante indipendentista (un dps: détenu particulièrement signalé) comunque restavano gravissime e si disperava per la sua sopravvivenza. Il 2 marzo era stato aggredito (un tentativo di strangolarlo a mani nude) dentro il carcere di Arles (Bouche-du-Rhone) dove scontava l’ergastolo per l’assassinio del prefetto Claude Erignac, delitto di cui si è sempre professato innocente. L’aggressore aveva agito mentre Colonna si esercitava da solo in palestra.
Il ministro dell’Interno, Gérald Darmanin, aveva dichiarato che si sarebbe “fatto tutto il possibile per fare chiarezza su questa aggressione” aggiungendo di aver apprezzato le reazioni “moderate” dei politici corsi.
In realtà non tutte le reazioni in Corsica erano state “moderate”. Soprattutto perché da tempo si chiedeva il trasferimento di Colonna in un carcere dell’Isola di Granito.
Così avevano commentato i suoi familiari: “Lo Stato era giuridicamente responsabile della sicurezza di Yvan Colonna. Se muore, l’amministrazione penitenziaria e l’intera gerarchia politica dovranno renderne conto”.
Il presidente del consiglio esecutivo della Corsica, Gilles Simeoni, si era spinto oltre affermando che “lo Stato porta una responsabilità schiacciante” in questa vicenda.
Nato ad Ajaccio nel 1960, da padre corso e madre bretone, Yvan Colonna era in seguito vissuto per alcuni anni a Nizza. Rientrò definitivamente in Corsica nel 1981 per diventare pastore e militante del flnc. Arrestato dopo quattro anni di latitanza, venne condannato definitivamente nel 2007.
Inevitabile qualche analogia con la morte, in circostanze mai definitivamente chiarite, di Mark Frechette (quello di Zabriskie Point e di Uomini contro) il 27 settembre 1975 (stesso giorno della fucilazione del Txiki e di altri quattro antifascisti in Spagna, coincidenza). L’attore-carpentiere-ribelle era in carcere per una rapina, con armi scariche, con cui intendeva finanziare una comune di Boston a cui si era aggregato insieme a Daria Halprin (l’altra interprete del noto film e che poi se ne andò per sposare Denis Hopper). Comune dove Mark aveva già versato tutto il denaro ricevuto per la partecipazione al film di Antonioni.
Venne trovato in palestra soffocato dal bilanciere di 70 chili con cui su stava allenando.
Già nei giorni immediatamente successivi all’aggressione subita da Yvan Colonna, i marinai aderenti al sindacato dei lavoratori corsi di Ajaccio avevano bloccato un battello della Corsica Ferries impedendo lo sbarco di agenti e veicoli della polizia inviati in tutta fretta per sedare possibili tumulti nell’Isola di Granito.

Murale per Yvan Colonna.

Non tutti evidentemente, perlomeno in Corsica, avevano digerito la notizia del tentato omicidio (poi diventato omicidio vero e proprio) nei confronti di uno dei più noti prigionieri politici corsi. Aggredito nella palestra del carcere di Arles da un altro detenuto, un ex jihadista in passato rinchiuso in un carcere dell’Afghanistan, prima del decesso il militante del flnc, trasferito in un ospedale di Marsiglia, era rimasto per giorni in coma. Dopo averlo aggredito alle spalle, mentre Yvan era a terra il killer aveva tenuto premuto per qualche minuto il piede sulla carotide arrestando il flusso del sangue e dell’ossigeno al cervello.
Oltre ai rinforzi di polizia era stato spedito in Corsica anche il nuovo prefetto, con due giorni d’anticipo sulla data prevista e con una scorta proporzionata al difficile momento.
Diverse manifestazioni si erano già svolte il 3 marzo per denunciare il fatto inquietante di un Détenu Particulièrement Surveillé lasciato in balia di un altro dps già noto per episodi di aggressione in carcere.
Inalberando cartelli e striscioni con le scritte “Statu francese Assasinu” e “Gloria à té Yvan”, gli studenti avevano nel frattempo occupato l’Università della Corsica a Corte.
E il clima non si era certo rasserenato con la morte di Yvan il 21 marzo.
La manifestazione organizzata ad Ajaccio nel pomeriggio di domenica 3 aprile si era conclusa con scontri e feriti, almeno una dozzina di manifestanti, alcuni gravemente. Alla testa del corteo, composto da varie migliaia di persone (4mila secondo le autorità, 14mila per gli organizzatori), anche Stéphane Colonna, il fratello di Yvan. I manifestanti inalberavano un grande striscione bianco con il volto del militante scomparso e le scritte “Ci stiamo per risvegliare” e “Ho fiducia”. Frasi che Yvan avrebbe pronunciato in gennaio durante una conversazione con un altro detenuto, un indipendentista basco, nella convinzione che un giorno la Corsica avrebbe conquistato la libertà e l’indipendenza.
Così quel 3 di aprile 2022 circa duecento giovani si erano presentati mascherati e con maschere antigas. Alcuni già con le molotov in mano. Gli scontri davanti alla prefettura erano iniziati verso le ore 16 e si protraevano fin nel cuore della notte. La polizia aveva utilizzato cannoni ad acqua, lacrimogeni e granate assordanti.
A un certo punto, temendo una esplosione delle tubature del gas a causa dei numerosi incendi, erano intervenuti anche i pompieri e una trentina di persone venivano fatte evacuare.
Sempre nel pomeriggio del 3 aprile, altri scontri si erano registrati a Furiani intorno alla caserma locale dei crs e davanti alla prefettura di Bastia.
Yvan Colonna, già in stato di morte cerebrale, era morto il 21 marzo in un ospedale di Marsiglia.
Così aveva commentato Femu a Corsica (il partito di Gilles Simeoni, presidente autonomista del Consiglio esecutivo dell’Isola di granito): “Yvan Colonna, patriota corso, vivrà in eterno. Saremo sempre al tuo fianco!”.
Da parte sua Emmanuel Macron aveva definito “inaccettabili” sia le violenze del 3 aprile, sia la presenza “di esponenti politici alla testa del corteo”. Minacciando, in caso di ulteriori disordini, di sospendere le discussioni in merito alla prevista autonomia per l’isola (una questione che va avanti da qualche anno il cui sbocco dovrebbe consistere in un referendum, ma che periodicamente resta al palo).

Difesa della terra e autodeterminazione

In passato, per qualsiasi confronto tra le coste della Sardegna e quelle della Corsica non c’era partita. Colate di cemento, devastazione paesaggisticae privatizzazione per la prima. Per l’altra isola qualche tentativo di speculazione edilizia presto scoraggiato dalla solita Nuit Bleue . 5)
Questo almeno è quanto avveniva regolarmente dai Settanta del secolo scorso alla progressiva smobilitazione del flnc avviata nel maggio 2016.
Il futuro quindi potrebbe tingersi di grigio (cemento) anche per l’indomita Isola di Granito.
Tra gli ultimi episodi, almeno di mia conoscenza, gli undici attentati in Haute Corse (Santa Maria Poghju, Calvi, Oletta Sisco, Tominu, Borgo, Favone-Solenzara, Centuri) e i dieci in Corse de Sud (Coti-Chiavari, Coggia, Zona, Pianerottoli, Bonifacio, Sartène-Roccapina) nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 2012. In contemporanea e senza vittime, come da tradizione. I principali obiettivi, resistenze secondarie ancora in costruzione. Al solito.
Dopo qualche giorno arrivò la rivendicazione da parte di flnc-uc (Fronte di Liberazione Nazionale Corso – unione dei combattenti), una delle fazioni scaturite dalla crisi interna dell’indipendentismo. Con un comunicato i responsabili si scagliavano contro la speculazione immobiliare e l’esproprio perpetrato ai danni della terra corsa.
Ancora all’inizio del 2012 il flnc aveva rivendicato un’altra cospicua bordata di azioni dirette (almeno 31 e “volutamente distribuite sull’insieme del nostro territorio”, recitava il comunicato). Sempre contro abitazioni secondarie, in gran parte abusive, ossia costruite illegalmente senza rispettare la distanza dalla riva di almeno cento metri (come imponeva, in teoria almeno, la loi littorale del 1986).
Nel medesimo comunicato si denunciavano le oltre 85mila resistenze secondarie che deturpavano la terra corsa, in un’isola, si sottolineava, che ”conta appena 306mila abitanti”.
Per l’occasione rispedivano al mittente le accuse dell’allora ministro dell’Interno Manuel Valls (nel governo di Jean-Marc Ayrault, l’ex sindaco di Nantes, poi primo ministro, gran sostenitore del devastante progetto dell’aeroporto di Notre-Dame-des-Landes in Bretagna) che aveva definito gli attentati “una forma di razzismo”.
Forte e chiara la risposta del fronte: “No, noi non siamo razzisti perché noi non colpiamo mai le persone ma solo l’appropriazione delle nostre terre”. 6)
Contando solo le più spettacolari, nei primi mesi del 2012 il flnc era intervenuto in almeno quattro occasioni. Con una doppia serie di attentati contro le abitazioni secondarie, una contro la grande distribuzione, accusata di arricchirsi sulla pelle della popolazione applicando prezzi proibitivi, e una contro una vasta operazione di speculazione immobiliare operata da un banchiere francese.
L’anno precedente, nel novembre 2011, il Fronte aveva rivendicato 398 azioni di cui ben 33 contro la speculazione immobiliare (e solo cinque rivolte contro simboli dello Stato francese).
Certo, al momento attuale, così in Corsica come nel resto d’Europa, non sembra esserci più spazio e motivazioni per forme di resistenza armata anticoloniale, come era stato per Irlanda, Paesi Baschi e altre “colonie interne”. E anche la difesa della Terra dovrà coniugarsi, trovare una sua collocazione all’interno dei processi di pace e riconciliazione che in vario modo, talvolta claudicante, sono comunque approdati a una qualche forma di “soluzione politica” dei conflitti.
Del resto negli ultimi anni la questione immobiliare è stata affrontata anche con proposte legislative. In grado, forse, di disinnescare e sostituire l’operato dei militanti più agguerriti. Un esempio la proposta – risalente al 2013 – di Paul Giacobbi, all’epoca presidente del Conseil exècutif de Corse, di consentire la proprietà in Corsica solamente ai corsi. La cosa ovviamente aveva alimentato polemiche e accuse di “rimettere in causa il principio di égalité che sta alla base della repubblica francese”. Anche se ascoltare speculatori e affini evocare il principio di “uguaglianza” suscita qualche sghignazzo.
In realtà, a ben guardare, la proposta del Giacobbi non era poi tanto drastica.Si limitava infatti alla norma di cinque anni di residenza in Corsica per potervi acquistare un bene immobiliare. Invece il movimento Corsica Libera pretendeva un minimo di almeno dieci anni.
Entrambe le proposte nascevano per arginare la speculazione immobiliare, in quanto le seconde case, in maggioranza proprietà di ricchi francesi, alimentavano (e alimentano) la destabilizzazione del mercato con un aumento vertiginoso dei prezzi. Producendo maggiori difficoltà – se non addirittura l’impossibilità – per molti cittadini corsi al momento di acquistare un terreno o un appartamento. Per esempio, tra il 2010 e il 2011 (forse non a caso il periodo in cui si registrarono nuove ondate di azioni dirette) la Corse-du-Sud vedeva il prezzo dell’immobiliare crescere del 12%. Ancora peggiore la situazione in Haute-Corse dove si sfiorava il 25%. Ovviamente ritoccare il principio di proprietà richiederebbe una riforma strutturale, a livello costituzionale. Riforma che oltretutto entrerebbe in conflitto con la normativa europea.
A tale proposito Giacobbia aveva però ricordato che esistono già altre eccezioni, ossia regioni con specialità legislative differenti da quelle stabilite da Parigi o da Bruxelles. Per esempio in Alsace-Moselle, dove non esiste la stessa separazione tra Stato e Chiesa a causa di leggi tedesche rimaste in vigore. Della questione si era occupata anche l’Assemblea di Corsica che però – non godendo di potere legislativo – poteva soltanto proporre, suggerire, dare indicazioni.
Tra i movimenti più recenti che si riconoscevano nella tradizione del patriottismo corso e contemporaneamente si battevano per difendere i boschi, le acque, le coste e la biodiversità dell’isola, andrebbe segnalato Core In Fronte.
Nasceva ufficialmente con il congresso costituivo di Corti nel gennaio 2018, ma le sue origini risalivano all’anno precedente, all’epoca delle elezioni territoriali del dicembre 2017 e delle liste di Rinnovu 7) dove si erano ritrovati militanti di Sofflu Novu, nato nel 2012 e di altri movimenti.
Per Rinnovu il modo di lottare “prefigura già la società di domani e noi aspiriamo a una società corsa indipendente da ogni forma di oppressione”. Per questo erano a favore di uno Statuto provvisorio di autonomia, considerato come una “tappa verso un referendumdi autodeterminazione sull’indipendenza in conformità con il diritto dei popoli della carta dell’onu”. Un processo di graduale emancipazione fondato su accordi per “la soluzione del conflitto e sul riconoscimento del popolo corso e dei suoi diritti storici”.
Da parte sua, Core In Fronte si schiera contro la supremazia del tout marché, si dichiara a favore della ridistribuzione della ricchezza, per la regolamentazione economica e la lotta legittima contro il peggioramento delle disuguaglianze sociali. Soprattutto, nel loro “progetto devono prevalere i diritti sociali e gli equilibri ambientali”.

Anni ottanta: a fine giugno con le montagne corse ancora innevate… paesaggio ormai inconcepibile in quel periodo dell’anno. (© Gianni Sartori)

Tra le molteplici iniziative a difesa del territorio messe in campo da Core In Fronte va segnalato che nel 2018 si oppose fermamente al devastante “Projet Kallisté”, non per niente definito “inquiétant”. Avviato a Lucciana dalla società Fanti Promotion, prevedeva la costruzione di un “ensemble commercial moderne et multifunctionnel” comprendente circa 28mila metri quadri di superficie. In pratica: un ipermercato, una cinquantina di boutique, parcheggi e numerosi ristoranti. Mandando in rovina, oltretutto, il piccolo commercio locale. I militanti corsi denunciavano la dismisura del progetto che avrebbe dovuto sorgere su terreni agricoli e sottoposti al rischio di inondazioni. Terreni che in precedenza erano stati sconsideratamente inseriti nel piano regolatore (plu) come zona urbana industriale.
Ma – aveva denunciato Paul-Felix Benedetti – il comune di Lucciana avrebbe dovuto adeguarsi entro il 2017 al padduc (Plan de Aménagement et de Développement Durable de la Corse). Per cui, sosteneva allora il leader di Core In Fronte, dal momento che non c’era stato l’adeguatamento al piano, quelli su cui si allungavano gli artigli degli speculatori andavano considerati “terreni strategicamente agricoli su cui non era possibile costruire”.
Contro il progetto del nuovo centro commerciale si era mobilitato nel luglio 2018 anche il Sindicatu di i travagliadori corsi e votava a sfavore anche il sindaco di Bastia, Pierre Savelli. Per il segretario generale di stc, Jean Brignole, ormai in Corsica “con la creazione di aree commerciali artificiali, in aperta campagna, abbiamo raggiunto l’apice dei supermercati”, spiegando che questo genere di grandi infrastrutture sono “l’opposto della nostra scelta di società, una società ancorata ai valori della solidarietà e del rispetto per l’ambiente in cui opera”. Al contrario, questo tipo di progetti sono destinati “a favorire l’arricchimento di alcuni a scapito della grande maggioranza”, anche perché mettono in pericolo centinaia di posti di lavoro.
Ho riportato per esteso questo piccolo esempio di lotta ambientale che sapeva coniugarsi con quelle sociali, e non ho potuto fare a meno di chiedermi: come mai nel “mio” Veneto non sento discorsi del genere da parte dei tanti pseudo-autonomisti, quelli del “paroni a casa nostra”, spesso i peggiori devastatori della terra veneta? Ragioniamoci sopra.
Tornando a un livello generale, ricordo che per Core In Fronte valeva la massima “Agire localmente, pensare globalmente”.
Concludo con comunicato che definirei lapidario: “Di fronte al fallimento del neoliberismo e della mondializzazione e al contesto di ultraliberismo che attualmente contraddistingue l’Europa, una alternativa è ancora possibile. Riaffermando la solidarietà con tutti i popoli in lotta che – come il popolo corso – subiscono una situazione storica coloniale e aspirano al riconoscimento dei loro diritti fondamentali e ribadendo il diritto inalienabile della Corsica alla sovranità in un’Europa federale rifondata”.
E, mi permetto di aggiungere, ecologicamente compatibile.

(© R.C. Sonaglia)

 

N O T E

1) Naturalmente anche mpa aveva un suo gruppo di riferimento armato clandestino, il “canale abituale”. Questo nel 1998 annunciava la sua autodissoluzione e la definitiva rinuncia alla lotta armata, forse in vista delle elezioni territoriali. Nato contemporaneamente a mpa (con la scissione dalla Cuncolta e dal flnc) il canale abituale completava così il suo percorso di reinserimento nel “sistema” con l’accettazione dell’economia di mercato, del liberismo e dell’Europa di Maastricht. “Non è detto comunque” – commentavano quelli della Cuncolta – “che tale scelta comporti la fine dell’aggressione fisica di questa organizzazione contro il movimento di liberazione nazionale. Sparita la sigla, un eventuale attacco assumerebbe contorni anonimi”. Facile profezia, come si vedrà.
2) Era opinione diffusa in ambienti repubblicani che l’eliminazione di Seamus Costelo e di altri membri dell’inla fosse stata concordata tra Officials e qualche branca (forse quella legata ai laburisti) dei servizi segreti. È forse opportuno inquadrare la vicenda. Dopo la scissione tra p-ira cioè Provisionals e o-ira cioè Officials, questi ultimi non furono più in grado di rifornirsi adeguatamente di armi. Del resto avevano scelto di smobilitare e di vendere (o regalare?) le armi all’esercito di liberazione del Galles. Persero in particolare i canali di rifornimento dagli Stati Uniti. In questa fase si assiste a un continuo “regolamento di conti” tra p-ira e o-ira.
Nel 1974 altra scissione. Nascono l’Irish Republican Socialist Party e l’inla, fondati da Seamus Costelo, contrario all’abbandono della lotta armata. Conflitto e precarie tregue furono una costante anche tra Officials e inla almeno fino al 1982. Stando a quanto mi raccontò un ex Official, lo scrittore Ronan Bennet, anche il primo arresto di Patsy O’ Hara sarebbe stato provocato volutamente da un membro di o-ira che nascose armi nell’auto di Patsy, esponente dell’inla di Derry.
Per qualche osservatore “gli Officials furono oggettivamente al servizio di Londra”. Sia smobilitando e disarmando, anche moralmente, la comunità cattolica e rinunciando all’autodifesa in nome di una ipotetica “alleanza tra lavoratori cattolici e protestanti” (che si tradusse negli assalti ai quartieri-ghetto cattolici, insieme alla ruc, da parte del proletariato protestante, maggiormente garantito e privilegiato). Sia attraverso l’eliminazione di militanti repubblicani sostenitori della resistenza armata come Costelo, assassinato dagli Official nel 1977 (ma il merito se lo attribuirono per molto tempo gli inglesi: un omicidio su commissione?).
Come ripetutamente denunciato da p-ira e Sinn Fein, gli Officials finirono coinvolti in attività criminali (soprattutto estorsioni, qualche rapina) come un’altra piccola organizzazione denominata iplo (fuoriuscita dall’inla) che si dedicava anche al traffico di stupefacenti. La maggior parte dei miliziani di iplo venne eliminata fisicamente dai Provisionals (ad alcuni meno coinvolti fu consentito di arruolarsi nella p-ira).
Nel febbraio 1992 giunse la notizia di una scissione in casa dei Workers Party a causa dei legami, venuti allo scoperto, con un gruppo armato che conservava la denominazione Official, ma che “in realtà era ormai poco più di una banda di ladri”, commentava da Belfast un’amica giornalista, “senza più alcun connotato politico; presumo dessero fastidio ai membri del Partito nel Sud, nella Repubblica. E questi ci tengono alle apparenze”, proseguiva impietosa, “anche se in realtà sono soltanto dei gangster reazionari, sia al sud che al nord”. Amen. Per la cronaca, gli Official consegnarono definitivamente lo scarso armamentario ancora in loro possesso nel 2009.
3) Il nome U Ribombu viene da una vecchia poesia corsa che parla del rumore dei colombi quando si alzano in volo, metafora della ribellione. “U Ribombu” era la rivista diretta da Yves Stella, uno dei fondatori del flnc, una delle voci ufficiali del movimento.
4) Interessante il libro pubblicato nel 2012 dal giornalista di “Le Monde” Jacques Follorou, La guerre des parrains corses, dove si sostiene apertamente la tesi dell’esistenza di una Mafia corse. In particolare Follorou analizza il rimescolamento di carte avvenuto tra il 2008 e il 2012, quando si è frantumato l’equilibrio criminale che storicamente poggiava su La brise de mer in Haute-Corse e il controllo esercitato da “Jean-Jé” Colonna in Corse-de-Sud.
5) Il termine – in origine utilizzato con valenza negativa e talvolta a sproposito dai media francesi – era diventato ormai di uso comune (e in tal senso l’ho utilizzato) per indicare una serie di attentati con esplosivo del flnc (minimo, una decina) che avvenivano tutti nel corso di una medesima notte. Pare che originariamente l’espressione venisse utilizzata dalla famigerata oas per i suoi attentati in Algeria. Un modo, spesso cruento (diversamente da quelli del flnc) per contrastarne il processo di autodeterminazione e indipendenza. E come nuit bleue vennero stigmatizzate pure le azione dell’
eoka, il movimento indipendentista di Cipro; divenne infine il marchio delle azioni dirette (quasi mai letali per le persone, più che altro sabotaggi) del flnc.
Da sottolineare comunque che il movimento corso si ispirava direttamente alla lotta di liberazione del fln algerino (così come Yves Stella che aveva soggiornato in Africa per lavoro aveva conosciuto i movimenti di liberazione delle ex colonia portoghesi, oltre ad aver letto attentamente Fanon) con cui sentiva di condivivere una condizione di popolo colonizzato.
Non si ispirava certamente ai fascisti dell’oas.
In anni più recenti talvolta l’espressione è stata riesumata per commentare gli attentati degli indipendentisti bretoni.
6) Ma non solo, accadeva anche altro. Alcuni episodi in particolare suscitarono ilarità e simpatia, come quando i militanti indipendentisti colsero sul fatto dei presunti, molto presunti, “naturalisti” a caccia di anfibi, rettili e insetti esclusivi della Corsica per poi rivenderli a qualche collezionista senza scrupoli (perfino a qualche museo del Continente). Autentica biopirateria!
Vennero letteralmente lasciati in mutande e scalzi, dopo che i loro fuoristrada erano stati resi inservibili, e rimandati così a casa loro. Chiunque abbia sperimentato la spinosa natura della macchia corsa può immaginare quanto il rientro dei predatori sia stato difficoltoso e sofferto.
7) Rinnovu: si trattava di un movimento corso nato nel 1998. Risaliva al 2005 un suo appelloper votare “no” al referendum sul trattato costituzionale europeo, schierandosi apertamente “per l’Europa sociale e l’Europa dei popoli”. Alle elezioni del 2004 e del 2015 si era presentato con Paul Félix Benedetti.