Chi ha creduto nell’Europa dei Popoli, oggi non può che maledire quei poteri che stanno distruggendo la UE proprio perché costringono i suoi membri ad andarsene. Le scelte suicide di alcuni movimenti indipendentisti.

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Dacirio Ghizzi Ghidorzi, alla cui memoria è dedicato il premio Mantova per l’Europa, giunto alla 7a edizione.

Per chi si è dato da fare, come molti di noi etnisti (e autonomisti e indipendentisti), per la costruzione di un grande Stato europeo, la vittoria della brexit – e quindi il primo passo verso lo smontaggio della UE – non è una bella notizia. Negli anni ’80 noi di “Etnie” e gli amici delle varie “leghe” avevamo stretto un’alleanza fraterna con esponenti del Partito Federalista Europeo (attenzione, non il Movimento Federalista Europeo di Spinelli e Rossi), come Umberto Mori e Dacirio Ghizzi Ghidorzi, mettendo in comune i rispettivi fondamenti ideali – il nostro etnismo e il loro regionalismo – per dare un contributo alla costruzione di un’Europa dei Popoli e delle Regioni.
Inutile star qui a ripetere cosa intendessimo esattamente per Europa, l’abbiamo già detto e ridetto. Come sappiamo, l’Unione Europea è cresciuta in modo assai diverso, come una mala pianta dalle radici avvelenate. I primi semi, infatti, non portavano in sé la genetica della comune cultura europea con tutte le sue bellissime varianti locali, ma quella del commercialismo più squallido.
Nelle fasi successive, la minaccia maggiore sembrava provenire dal perdurare degli “Stati nazionali”, quelli cioè che erano da sempre l’ostacolo all’autodeterminazione se non all’esistenza stessa delle “nazioni”: era l’Europa dei Dodici Stati contrapposta a quella delle cento etnie, dove i confini ufficiali erano sacri e inviolabili.
Ma non ci aspettavamo, allora, che nel 2016 la UE sarebbe diventata una tale sozzura da rendere la ripresa delle sovranità statali l’unica àncora di salvezza.
Al di là di ogni previsione, l’Unione non è cresciuta come un semplice club di Paesi centralisti ed egoisti ma come un potere occulto sovrastante, un cancro extraterritoriale eppure radicato in ogni singolo membro, che potremmo descrivere come una cricca globalista appoggiata da un esercito di utili idioti di sinistra (una sinistra radical chic neanche lontanamente imparentata con quella delle lotte di classe e dei diritti del popolo). In parole crude, un impero fascista gestito da plutocrati. La cui minaccia non va certo vista in termini di burocrazia o misura delle banane, cose di per sé fastidiose, ma nel palese, evidentissimo, cristallino e mai dissimulato progetto di fare a pezzi l’europeità stessa sommergendola sotto maree migratorie da altri continenti e tentando di imporre ideologie tribali disgustose per la nostra sensibilità.
Sicché, chi si batte per l’autodeterminazione dei popoli, o anche solo per la conservazione delle lingue, delle tradizioni, dell’indole delle nostre comunità umane, si trova negli ultimi anni ad avere un secondo e immensamente più temibile nemico, oltre al centralismo delle capitali: quello dell’invasione. Ovvero, la distruzione fisica per sostituzione; la perdita del diritto di voto, se lo ius soli trasformasse masse di invasori in votanti pilotati; il genocidio “bianco” promosso prima o poi a genocidio vero e proprio. Dalla padella nella brace.
Quello che sta succedendo dovrebbe pertanto essere motivo di lutto. Che cosa pensino Grillo o Farage a noi autonomisti non frega un accidente. Ma sarebbe davvero meglio se un Salvini fingesse di ricordare da dove viene e capisse che, se mai c’è stata una possibilità di costruire l’Europa dei Popoli, ora non se ne parlerà mai più. Tutta questa esultanza per aver abbandonato (o la prospettiva di abbandonare) la propria casa nelle mani di una manica di delinquenti ricorda tanto il tizio che voleva far dispetto alla moglie.
Ma per quanto riguarda i “sinceri europeisti”: per cortesia, cerchiamo di non dare la colpa ai Boris Johnson, Marine Le Pen, Norbert Hofer, Viktor Orbán, eccetera, ma a chi li ha creati; a chi ha talmente minacciato la sopravvivenza dei nostri popoli – minoranze comprese – da costringere gli europei a fondare movimenti che si opponessero all’invasione e al nazifascismo islamico e filoislamico. Ringraziamo per le varie “exit” non chi se ne va ma chi costringe ad andarsene, cioè i vari Junker, Merkel, Renzi, Soros, Bergoglio, Boldrini, Schäuble, Valls, e varie migliaia di individui con un progetto nella testa.

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Nicola Sturgeon.

Ora – per la regola secondo la quale ad azione corrisponde reazione ma nessuna delle due è mai intelligente – lo sappiamo anche noi che tutti questi movimenti difensivi (che gli scemi chiamano populisti) sono impregnati di centralismo, proprio perché l’unica difesa (attualmente) possibile contro il soviet di Bruxelles è tornare padroni a casa propria, e l’unica casa (attualmente) riconosciuta è lo Stato. In buona sostanza, se vogliamo pensare prima alla sopravvivenza e poi alla cultura, ci conviene usare le armi di cui disponiamo contro l’esterno e poi fare i conti internamente, come avremmo fatto qualche decennio fa. Sembra invece che molti movimenti autonomisti e indipendentisti preferiscano passare direttamente da Via del Macello e, per non mischiarsi con i “populisti”, finiscano per abbracciare il nemico di gran lunga peggiore. L’indipendentismo su base etnica, con la sua difesa delle autonomie locali, della piccole economie e delle lingue con cui si esprime una Weltanschauung peculiare, è lo spauracchio del globalismo, della omogeneizzazione, del “nuovo ordine mondiale”, che stanno alla base della UE. Che cosa credono occitani, catalani, scozzesi, e compagnia: che Bruxelles li aiuterà ad affrancarsi? Che i sedicenti “socialisti” si dimostreranno più tolleranti delle “destre”, come vengono etichettati gli antieuropeisti? Dopo quasi mezzo secolo siamo ancora qui a credere che la sinistra sia filoautonomista e la destra centralista? Che il Quarto Reich incoraggerà l’Europa dei Popoli?

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Mappa dei distretti elettorali con i risultati del referendum. I leave in blu, i remain in giallo. A favore della permanenza scozzesi, ulsteresi e, in parte, gallesi.

Ecco allora che l’ultima uscita di Nicola Sturgeon, premier di Scozia e leader del Partito Nazionalista Scozzese, fa andare in bestia chiunque abbia a cuore quella splendida popolazione. Arrabbiata per la Brexit – contro la quale ha votato il 62% dei suoi connazionali – la Sturgeon vuole l’indipendenza per restare nell’Unione Europea e perché il voto è stato dettato da razzismo e paura degli immigrati. Ora, la volontà della Scozia di restare nella UE è sacrosanta e indiscutibile, ma criticare chi non vuole trasformarsi in un califfato nazislamico può aver solo due spiegazioni: o i dirigenti dello SNP sono allocchi che non hanno mai messo piede in una città inglese e non hanno mai visto una no-go zone, oltre a credere sul serio che la Scozia affonderà senza manodopera straniera, oppure sono sulla lista dell’establishment di Bruxelles. In entrambi i casi per gli scozzesi saranno guai.
Oppure no. Perché, come avevamo a suo tempo commentato, la popolazione scozzese è stufa e impaurita dai tagliagole come chiunque altro, ed è per questo che il referendum per l’indipendenza del 2014 è andato a carte e quarantotto. Se la Sturgeon vuole riprovarci, inneggiando all’islam e all’arrivo dei barconi dal Mare del Nord, libera di prendersi la seconda sberla.

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