Quando la prima spedizione occidentale raggiunse faticosamente e fortunosamente la capitale della “Terra delle nevi”, Lhasa, nel 1904, gli esploratori, seppur estremamente desiderosi di conoscere e comprendere la cultura dei tibetani, non erano forse pronti a osservare la complessa varietà della filosofia e del “senso comune” che permeava le popolazioni di quel recondito Paese.
La spedizione occidentale, così come molte di quelle a seguire, che raggiunse la città di Lhasa, roccaforte dei lama a circa 3650 metri di altezza, era pronta a incontrare un Paese amministrato da una ierocrazia, quella dei lama appunto, fortemente condizionato da una religione buddhista definita Vajrayana (di diamante, adamantina), che rappresentava una evoluzione del buddhismo delle origini, ma non era certo preparata all’impressionante spessore delle venature tradizionali e delle credenze sciamaniche che questa racchiudeva in sé.
Con il passare degli anni e gli studi sulla cultura tibetana si sono fatti passi avanti, ma il confine tra religione e filosofia buddhista, e l’eredità della cultura preesistente, è ancora labile e nebuloso.
Precedente alle due penetrazioni buddhiste dall’India, la prima risalente al regno di Songsten Gampo (622-649 d.C.) e la seconda avvenuta intorno alla prima metà dell’anno mille (periodo nel quale si distinse anche il celeberrimo santo Milarepa), si era (e rimane) radicata una serie di credenze sciamaniche e animiste che, con eccesso di semplificazione, si fa ricadere sotto la definizione di filosofia-religione Bön. La religione Bön era diffusa in maniera uniforme nella regione tibetana – pur provenendo secondo alcune teorie dalla Siberia – da migliaia di anni prima di Cristo ed è un pesante bagaglio culturale che caratterizza il buddhismo tibetano e la cultura di questa regione.

Milarepa (sec. XI) è considerato il più illustre yogi del Tibet. Viene sempre raffigurato con la mano destra portata all’orecchio, nell’atto di ascoltare le voci degli spiriti.

Le correnti del buddhismo tibetano

Il Tibet presenta quattro correnti principali nell’alveo del buddhismo Vajrayana o tantrico: Nyingma, Sakya, Kagyu e Gelug, oltre alla tradizione Kadam, ormai formalmente estinta, e alla scuola del monastero Jonang, che è stata assorbita dagli insegnamenti Gelug. Tutte le scuole praticano formalmente, come frutto della loro filosofia, la ricerca della cessazione del dolore e la liberazione da esso tramite il riconoscimento della vacuità di ogni singolo aspetto della realtà contingente.
Le scuole tuttavia differiscono tra di loro per sostanziali caratteristiche della pratica: sia nella recitazione delle preghiere (mantra), sia nell’applicazione del ragionamento filosofico, sia nella meditazione.
Per esempio, la scuola Nyingma, ispirata al prolifico autore e mistico Padmasambhava, sostiene che la liberazione avvenga attraverso numerose classi di cosiddetti veicoli, ben nove, a differenza del più scarso numero di veicoli riconosciuti dalle altre scuole; e la caratteristica di queste condizioni è la loro differenziazione in base alla capacità intellettiva e alla condizione spirituale del religioso. 1)
I tre veicoli riservati ai seguaci meno dotati intellettivamente sono essenzialmente Sravaka, Pratyekabuddha e Bodhisattva, ovvero la contemplazione dei Bodhisattva (Buddha viventi), l’apprendimento come umile discepolo (sravaka) delle dottrine della tradizione orale e la comprensione, tramite logica e meditazione, della “coproduzione condizionata”, ovvero dell’eterno ciclo causa-condizionato che dà origine alla realtà illusoria.
I tre veicoli riservati agli adepti di capacità cognitiva e morale media sono Kriya, Upayoga e Yoga-Tantra. Il primo raggruppa una serie di tecniche di meditazione, il secondo una pratica energetica che gravita attorno alla meditazione delle figure di alcune divinità, il terzo è un Tantra riportante una pratica esoterica che parte dalla meditazione su un mandala e porta alla trasformazione del proprio corpo nel corpo di una divinità destinata a fondersi (simbologia afferente alla trasfigurazione e trasformazione dell’àmbito sessuale) con una  coscienza sublimata per dare vita al “corpo di co-fruizione” finalmente liberato dalla sofferenza.
In ultimo, chi appartiene al livello cognitivo più alto ha a disposizione Maha-Yoga-Tantra, Anu-Yoga-Tantra e Ati-Yoga-Tantra. Questi ultimi tre Tantra, decisamente esoterici, prevedono ciascuno una serie di quattro consacrazioni che innalzano via via la capacità dell’adepto di contemplare i misteri cognitivi legati alla liberazione finale. Anche in questo caso si torna alla fusione del maschile e femminile per ottenere però un “corpo perfetto”, libero da ogni maculazione e perfettamente integrato con il vuoto (lo spazio) e con la luce. Viene introdotto chiaramente l’elemento dello spazio, che contiene ogni cosa e che può essere svincolato dalla logica della casualità (origine della sofferenza).
Come si vede, per i seguaci della corrente Nyingma si tratta di un cammino esoterico a vari livelli che può, tuttavia, portare all’illuminazione anche nell’arco di poche esistenze (novità rispetto al buddhismo Mahayana e Hinayana).
La scuola Sakya è decisamente caratterizzata da una propensione per gli insegnamenti logici che attraverso la meditazione e il ragionamento conducono il praticante alla liberazione. Il principale insegnamento di questo buddhismo tantrico è conosciuto come “Il Sentiero e il suo Frutto” ed è in sostanza una guida al ragionamento logico che porta all’ottenimento della liberazione della coscienza sem. Il sentiero è costituito da sei livelli che l’iniziato raggiunge progressivamente: iniziazione, piano della creazione, piano del completamento, addestramento e pratiche tantriche conclusive. Ogni passo del sentiero deve essere raggiunto grazie all’aiuto di una guida (un lama) che, come parte degli adepti più avanzati, ha tale ruolo. La conoscenza sul piano logico e spirituale è trasmessa dalla guida.
La scuola Kagyu pone, come la Sakya, la coscienza immutabile al centro del processo di liberazione cui possono aspirare tutti gli esseri umani, ma identifica il punto esatto in cui ci si libera non tanto con l’ottenimento della consapevolezza, grazie al ragionamento e al discorso filosofico, quanto nell’attimo successivo, attimo in cui tutta la sapienza necessaria all’ottenimento della consapevolezza è cancellato e la coscienza sem si svuota di tutto e riposa nel suo autoessere, punto della meditazione suprema, punto in cui sem è completamente e perfettamente svuotata.
La differenza con la corrente precedente appare sottile, eppure è fondamentale comprendere che, mentre nella dottrina Sakya il traguardo è la consapevolezza della vacuità, in quella Kagyu è il passo successivo: ovvero il completo svuotamento della coscienza immobile da ogni pensiero e cognizione. La scuola Kagyu segue gli insegnamenti del saggio e mistico Milarepa, enorme figura intorno alla quale si è manifestata la seconda ondata della diffusione buddhista in Tibet.
Infine il ramo Gelug, che con i suoi monasteri e la sua comunità monastica (sangha) è la spina dorsale del potere temporale dei lama in Tibet si distingue per un accentuato esoterismo e per una complessa ritualistica. È anche detta scuola dei berretti gialli, dal colore dei copricapo indossati dagli ordinati di questa scuola. Essa predica la liberazione attraverso la pratica tantrica e la vicinanza alla comunità monastica, è senza dubbio la fazione dove i monaci assumono il peso più significativo e la vita dei monasteri è più influente per il territorio. La partecipazione alle cerimonie, guidate dai monaci, è per i laici uno dei più importanti veicoli, con lo studio e la meditazione, che accompagna alla liberazione.
Come si vede le quattro correnti del buddhismo tibetano sono decisamente differenti una dall’altra, e sono diffuse in maniera non omogenea nella regione. Mentre la scuola Gelug è maggiormente seguita nella parte centrale del territorio tibetano e intorno alla capitale Lhasa, le altre scuole sono periferiche e in particolare la scuola Nyingma è diffusa nel nord-est.
In netto contrasto a questa diffusione disomogenea, le culture pre-buddhiste del Tibet hanno costituito un retroterra omogeneo sul quale il seme del buddhismo ha affondato le sue radici una volta raggiunta la regione. I culti precedenti la diffusione dell’insegnamento di Sakyamuni sono, come già descritto, di natura sciamanica e animistica e vengono fatti ricadere sotto la definizione di cultura e religione Bön, una filosofia e tradizione fortemente legata al territorio che, come vari studiosi hanno dimostrato con ricerche e approfondimenti sul campo, vede in molti casi una deità risiedere in ogni picco, ogni torrente e ogni grotta del territorio tibetano.

Tre esempi della presenza sciamanica

La religione e la cultura dei Bön hanno avuto grande diffusione in Tibet partendo dalla parte settentrionale, e moltissime delle sue complesse pratiche sono confluite in altrettanti aspetti della cultura buddhista. I tre principali punti di contatto sono forse il pantheon delle divinità del buddhismo Vajrayana diffuso in Tibet, la sua influenza sulla medicina tradizione tibetana Sowa Rigpa e, infine, la ritualistica Bön confluita nelle celebrazioni buddhiste. Cercherò di fornire esempi di questi tre punti per chiarire il peso che la tradizione sciamanica tibetana ha sulla religione attuale dell’area.
Le innumerevoli deità che compaiono nella tradizione sciamanica hanno in comune irrazionalità, irruenza e violenza (se scatenate) e hanno più un carattere punitivo che salvifico necessitando perciò di essere placate dal fedele. I numina tradizionali accompagnano la vita del tibetano in senso geografico e secondo gli avvenimenti cardine, giorno per giorno.
Secondo il professor Tucci, che parla diffusamente della cultura Böö nel suo Le religioni del Tibet, la vita di ogni tibetano, il suo percorso in questo mondo, è come racchiusa in una realtà di multiforme ierofania che farcisce di sacralità tutti i momenti, e ogni momento è accompagnato da una manifestazione divina che rimanda a un numen dell’ancestrale religione Bön. 2) Il processo attraverso il quale le deità Bön sono entrate nel pantheon buddhista è facilmente spiegabile: secondo la teologia buddhista con l’avvento della sapienza di Padmasambhava e quindi della prima ondata del buddhismo, le sanguinarie divinità sciamaniche si lasciarono convertire e divennero protettrici del dharma buddhista. Così nel Vajrayana tibetano abbiamo la singolare traspondenza di tutte le voluttuose divinità preesistenti, come avviene per la stesse figure delle divinità patrone e protrettrici delle varie aree e regioni del Paese.
La scienza della guarigione del corpo – “scienza della guarigione”, in tibetano Sowa Rigpa – ha una delle sue radici nell’antica sapienza alchemica sciamanica attraverso quanto trasmesso dal sapiente Chebu Trishe, principale divulgatore delle pratiche di guarigione tradizionali. 3) Cosicché nella Sowa Rigpa trovano spazio applicazioni dei mantra dedicati alle divinità sciamanica, la divinazione onirica tipica della sapienza sciamanica e pratiche energetiche sciamaniche, come il raffreddamento di pozioni alla luce della luna, che altrimenti sarebbero inspiegabili.
In terza battuta non si può non accennare all’importanza della sapienza Bön e della complessa tradizione pre-buddhista nella celebrazione delle festività principali. Nella ritualistica Gelug e Nyingma in particolare, per esempio, risaltano le competizioni di corsa, tiro con l’arco e caccia che si tengono in occasione della tradizionale festa per l’inizio del nuovo anno. La stessa celebrazione del nuovo anno, Losar, è legata alla sconfitta dei numina pre-buddhisti da parte delle deità Bön convertitesi al buddhismo.

Una minaccia per gli occupanti

Se il buddhismo Gelug ha rappresentato un pericolo per la Repubblica Popolare Cinese, la cultura pre-buddhista del Tibet ha creato un allarme ancora più pressante agli occhi di Pechino. Il radicamento territoriale e il suo incipiente esoterismo qualificano le tradizioni sciamaniche tibetane come un vero e proprio atto sovversivo agli occhi del Partito Comunista Cinese: infatti, se esiste un certo grado di tolleranza verso la tradizione buddhista, verso la religione e la cultura Bön non vi è alcuna accondiscendenza di Pechino. La repressione è stata feroce, con l’estirpazione da parte cinese della maggioranza delle manifestazioni ufficiali della cultura Bön, che pertanto allo stato attuale dei fatti vive quasi essenzialmente all’interno della sua reincarnazione buddhista.

N O T E

1) G. Tucci, Le religioni del Tibet, Edizioni Mediterranee, Roma 1976, p. 108
2) G. Tucci, op. cit., p. 207.
3) T. Dukte Lama, Le origini del Buddha della medicina, OM Edizioni, Bologna 2022, p. 109.