Metto le mani avanti. Manco da troppo tempo dall’Irlanda, e da Derry in particolare, per poter attribuire queste mie considerazioni a qualcosa di più della nostalgia e dell’intuizione.
Come per Euskal Herria (anche se ci sono ritornato qualche volta pure in questo XXI secolo, ma sempre più da “turista” e sempre meno da osservatore impegnato e testimone), la maggior parte dei miei ricordi irlandesi (l’imprinting) risalgono al secolo scorso, in un contesto profondamente diverso.
Sicuramente sconto l’anagrafe, oltre al fatto di aver dovuto toccare quasi con mano anche aspetti oscuri della lotta di liberazione. Per dirne un paio, la questione dei possibili accordi – mancati – con Londra che avrebbero potuto salvare la vita di almeno sei dei prigionieri in sciopero della fame nel 1981 e il caso di Jean McConville.
Tuttavia riemerge con forza un senso profondo di commozione ogni qual volta sento il nome o vedo l’immagine appunto di quei dieci militanti di IRA e INLA “morti affinché altri fossero liberi”; nonostante tutte le contraddizioni, gli errori e – talvolta almeno – qualche cedimento o voltafaccia.
Per cui non mi poteva lasciare indifferente il video degli onori militari tributati a Mickey Devine a quarant’anni dalla morte (20 agosto 1981) davanti al grande murale che lo ricorda in quel di Derry.
Così come in maggio era stato reso onore a Patsy O’Hara. Oltre ai ricordi personali (la visita alle loro tombe nei primi anni ottanta, qui accompagnato dall’amico Tony Gillespie) e gli incontri con i genitori di Patsy.
Ovviamente mi son ricordato anche di altri onori militari. Quelli resi alla madre, Peggy O’Hara, durante le sue esequie nel 2015. Un episodio che doveva scatenare non solo le indignate proteste dei partiti unionisti (i “lealisti” protestanti), ma anche l’esplicito disaccordo di qualche esponente del Sinn Fein che vedeva in tale gesto un pericolo per il difficile e tortuoso percorso di convivenza scaturito dagli accordi del Venerdì Santo. In particolare lo aveva criticato Martin McGuinness, che ai funerali di Peggy (nei cui confronti esprimeva sempre il massimo rispetto) aveva preso parte, nonostante dall’area socialista rivoluzionaria-repubblicana, quella dell’INLA e dell’IRSP che considerava gli accordi un cedimento all’imperialismo inglese, venisse l’esplicito invito ad astenersi in quanto “persona non gradita” .
Malato da tempo, nel 2017 anche Mc Guinnes era deceduto. Oltre a Gerry Adams ai suoi funerali era presente Bill Clinton. Davanti alla bara di Mc Guinness, avvolta nel tricolore irlandese, l’ex presidente statunitense lo aveva pubblicamente onorato ricordandone il fondamentale contributo per la soluzione politica del conflitto.
Poi all’aperto, davanti a una folla immensa, il cantautore Christy Moore aveva eseguito la sua ballata The Time Has Come, scritta con Donal Lunny, dolcissima e tristissima.

Solo ora, quasi inconsapevolmente, mi sono ricordato che era dedicata a Patsy O’Hara, il militante dell’INLA figlio di Peggy e morto in sciopero della fame il 21 maggio 1981(la quarta vittima, per la precisione). E parlava dell’ultimo incontro tra Peggy e il figlio. Quando – come mi aveva raccontato lei stessa – Patsy le chiese di non consentire che venisse sottoposto all’alimentazione artificiale al momento del coma. Una scelta terribile, come si può ben comprendere.
Non credo… potrei anche sbagliarmi, ma non credo che Christy Moore l’abbia eseguita per caso o senza essersi consultato con i familiari di McGuinness.
In fondo, pur avendo intrapreso strade talvolta divergenti (almeno apparentemente, ma forse complementari) erano tutti e tre figli di Derry, dei quartieri-ghetto cattolici (Bogside, Gobnoscale, Creggan), avevano vissuto sulla propria pelle la repressione (la “Domenica di sangue”), il carcere e anche i tempi della rivolta di strada.
Niente di strano quindi che il leggendario cantautore irlandese abbia voluto in qualche modo riunificare e onorare il loro comune destino di irlandesi, la loro comune lotta per la libertà.