In Occidente se ne sa ben poco e tantomeno se ne scrive, ma l’università egiziana Al Azhar ha recentemente ospitato una grande conferenza di due giorni, cui hanno partecipato autorevoli religiosi e uomini politici di 46 nazioni. Intitolata Rinnovamento nel pensiero islamico, è attualmente la risposta più significativa alle proposte di riforma del presidente egiziano Sisi, avanzate con forza il 1° gennaio 2015.
La conferenza si è concentrata sugli argomenti più urgenti che interessano il mondo islamico – e in alcuni casi non islamico – compresi i diritti delle donne, il governo e la società, la questione della “radicalizzazione” e l’emergere di gruppi terroristici jihadisti come lo Stato Islamico.
Ho assistito con grande interesse a parecchi gruppi di lavoro, e in un prossimo futuro mi riprometto di commentarne alcuni, ma per ora vorrei discutere di quanto emerge dalle osservazioni conclusive del grande imam di Al Azhar (e buon amico di papa Francesco), lo sceicco Ahmed al-Tayyeb.

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In primo luogo, in accordo con gli altri religiosi presenti, egli ha chiuso le porte alla possibilità di operare riforme riguardo a un gran numero di questioni: “Il rinnovamento”, ha proclamato, “non è assolutamente ammissibile in relazione a quei testi che sono inconfutabili per la loro certezza e stabilità; quanto ai testi che non sono del tutto credibili, essi sono soggetti a ijtihad” (ossia a reinterpretazione, in particolare basata su circostanze mutevoli).
In parole povere, gli insegnamenti dei testi islamici ritenuti del tutto affidabili (in primo luogo il Corano e alcuni hadith, inclusi, secondo il sunnismo tradizionale, tutti e nove i volumi del Sahih Bukhari) non sono soggetti a cambiamenti; solo certi testi islamici secondari, compresi molti altri volumi di hadith, la sira (biografia di Maometto) e altre opere della storia, sono aperti al dibattito.
Il problema è che alcuni – parecchi – dei peggiori insegnamenti che affliggono il mondo islamico e non islamico derivano direttamente da quei testi ritenuti del tutto affidabili. Il Corano, per esempio, permette molto chiaramente la schiavitù sessuale delle donne non musulmane, le percosse alla moglie e la poligamia. Il Corano esorta i musulmani a odiare e, quando è conveniente, a combattere i non musulmani soltanto perché non sono musulmani.
Ciò porta all’altra questione legata alla recente conferenza: sono state inevitabilmente presentate molte falsità in merito proprio a quei testi che sono 1) chiusi alla reinterpretazione e 2) fonte di problematiche in atto. Ecco, per esempio, le osservazioni conclusive di al-Tayyeb sull’argomento jihad:

La jihad nell’islam non è sinonimo di combattimento; piuttosto, i combattimenti praticati dal profeta Maometto e dai suoi compagni sono solo una delle sue manifestazioni; il cui fine è scongiurare l’aggressione di chi aggredisce i musulmani, opposta all’uccisione di chi offende la religione, come invocano gli estremisti. La consolidata regola della sharia nell’islam vieta l’antagonismo contro coloro i quali avversano la religione. Combatterli è proibito, fintantoché essi non combattono i musulmani.

Se solo ciò fosse vero! Il mondo si sarebbe sviluppato in modo radicalmente diverso. Ma ahimè, le parole di Al-Tayyeb contraddicono sia un millennio e passa di teologia islamica – compresa quella contenuta nei testi “inconfutabili” – sia la storia islamica.
A partire da Maometto (le cui guerre non furono certo difensive, ma piuttosto incursioni per imporre se stesso e i suoi seguaci ai non musulmani) e sotto i primi califfi “giusti” e praticamente con tutti i successivi sultani e regnanti, la jihad consistette nell’“invitare” i vicini non musulmani ad abbracciare l’islam o quantomeno a sottomettersi alla sua autorità politica (come dhimmi di serie B). Se gli infedeli rifiutavano, come quasi sempre accadeva, se insistevano nel mantenere la propria identità religiosa e la libertà dall’islam, allora veniva proclamata la jihad, le loro terre venivano invase, dopodiché il paesaggio era esattamente quello dove è passato l’ISIS: piramidi di teste, chiese e altri luoghi di culto bruciati, mercati di schiavi con donne e bambini in vendita.
Tutto ciò è andato avanti senza sosta per quasi 14 secoli. Basta guardare una mappa dell’odierno mondo musulmano per rendersi conto che la stragrande maggioranza dei suoi territori – tutto il Medio Oriente, il Nordafrica, la Turchia, l’Asia centrale, fino al Pakistan e oltre – sono stati conquistati con la violenza nel nome della jihad. Questo viene insegnato a ogni bambino musulmano fin dalle elementari, ed è motivo di enorme orgoglio e apprezzamento.
Ecco, in estrema sintesi, cosa non quadra nella tanto decantata conferenza internazionale ospitata il 27 e 28 gennaio da Al Azhar. Sebbene siano stati fatti tanti discorsi incoraggianti e progressisti, purtroppo per la maggior parte essi vanno presi per quello che sono: chiacchiere.
Restano i fatti: alcuni di quei testi considerati troppo sacrosanti per il “rinnovamento” o la reinterpretazione (ijtihad) insegnano cose problematiche. Né i rinnovamenti costruiti sulle menzogne ​​– come il concetto che la jihad sia stata e sia sempre difensiva, a protezione dei musulmani, mai offensiva e per imporre l’islam – potranno giammai radicarsi e crescere.