Lo sport italiota di insultare i sudtirolesi…

Roberto C. Sonaglia

II Sudtirolo è probabilmente l’unica realtà territoriale che il cittadino italiano conosce come “straniera”, e questo perché il crisma di ufficialità che il potere centrale ha dovuto impartire, suo malgrado, alla Provincia di Bolzano consente ai Tirolesi di essere nominati dalla stampa. E insultati.
L’astio generalizzato dell’italiota cretino contro un popolo invaso che si difende con i denti dalla cancellazione è variamente alimentato da un campionario di piagnistei demagogici; sono le consuete, lamentose retoriche che mirano a distillare un concentrato di dignità oppressa e di fulgido progressismo in tutto ciò che proviene dal baricentro romano, e imprime ai popoli del nord il marchio della barbarie sfruttatrice.
Per ricordare quale sia la mentalità corrente riguardo all’argomento, citerò a esempio una frase che mi disse Carlo Quintavalle, nota stilografica del Corriere di Informazione: una volta persi seicentomila uomini per vincere la Grande Guerra (egli sostenne sdegnosamente, dopo avere tacciato gli etnisti di razzismo), abbiamo bene il diritto di imporre l’italiano agli Altoatesini!
Viene spontaneo ringraziare Iddio per non avere permesso la vittoria di Hitler, nel conflitto successivo…
E non è tutto. Dopo il cittadino benpensante e il giornalista arrogante, eccoti – in una piramide di ottuso colonialismo – lo show di un uomo del potere, uno di quei meridionalisti sui generis che, incapaci di combinare qualcosa a casa loro, vanno a rompere le scatole agli altri; dice: “I Sudtirolesi sono un popolo di contadini e tale dovrebbero rimanere lasciando che siano gli Italiani a occupare i posti nel pubblico impiego” (ovvero: tu semina patate che a dirigere la tua baracca ci pensiamo noi). E aggiunge: “Non si può pretendere che i meridionali che fanno gli statali in Alto Adige imparino il tedesco”.
La frase – riportata dalla “Repubblica” del 26 settembre – è dell’onorevole Compagna, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, uomo tanto versato nelle arti del pubblico impiego da profferire simili facezie in presenza dei sindacalisti sudtirolesi. E chi saranno mai questi italiani così permeati di mentalità industriale da poter sostituire, cognita efficientia, i torpidi Tirolesi? La risposta, credo, la conosciamo tutti.
Non dobbiamo stupirci dell’offensiva coloniale se, nello stesso ambito della politica sudtirolese, operano forze oltremodo sospette di servilismo filo-romano; ci riferiamo con particolare cura al raggruppamento di Neue Linke, troppo a lungo catalogato tra i movimenti etnici, eppure così scopertamente desideroso di compiacere la foga di appiattimento italico. Il suo leader, Alex Langer (un tirolese solitario circondato da un pugno di “italiani”, o magari solo trentini irredenti), dopo aver tentato di cavalcare radicali, dippì e varie forze di antica tradizione germanica, tenta da tempo di imporsi come interlocutore della SVP, confondendo, al solito, le posizioni progressiste con quelle italianiste e ritrovandosi spesso – e icasticamente – isolato insieme al MSI locale.
I suoi anatemi contro il censimento etnico, giusto o sbagliato che esso sia, sembrano dettati più dal timore di un rafforzamento del gruppo “tedesco” (termine largamente improprio, ma di giustificabile tornaconto strategico per la Volkspartei) che dall’imperfezione dello strumento statistico; egli parla, infatti di “rifiuto delle gabbie etniche condiviso da migliaia e migliaia (!!!) di sudtirolesi che non accettano che si traccino ulteriori divisoni e frontiere in questa terra e tra la sua gente”. Si immagini a cosa porterebbe la fallace “collaborazione” fra gruppi per un Sudtirolo indiviso contro nuove “opzioni”: a un minuetto stonato in cui i suonatori sarebbero inequivocabilmente italiani.
A proposito: cosa si intende per “gruppo italiano”? Forse la stranierissima, multietnica (soprattutto mediterranea) invasione forzata che continua da qualche decennio? Oppure le stesse antiche genti della montagna uguali come cultura a Tirolesi e Ladini, ma di lingua veneto-lombarda? il mescolare le etnie in tavola è un’ulteriore manovra del potere per spezzare la secolare unità delle genti alpine. E sembra anche che ci stia riuscendo.