La danza delle spade, antico legame tra Piemonte ed Euskadi

danza delle spade in piemonte e paese basco
Spadonari di Venaus in una foto d’epoca.

La danza delle spade dal Piemonte ai Paesi Baschi viene evocata in un’interessante pubblicazione, Annibale in Piemonte – La traversata delle Alpi, dall’Ebro al Po, edito da Corsi. Edoardo Garello, appassionato ricercatore ed entusiasta cacciatore delle vestigia del Piemonte insolito, avanza la suggestiva ipotesi che la traduzione valsusina della danza delle spade (bal do saber) sia da collegarsi alla venuta di Annibale, già in qualche modo anticipato dal compianto Augusto Doro in un suo apprezzato studio (La danza delle spade nelle Alpi Cozie, 1963): Annibale aveva nel suo esercito “Baschi che facevan parte con Iberi, Punici, Numidi, Celti, Galli, Africani del poliedrico esercito cartaginese”.
“In effetti”, sostiene Garello, “la tradizione del ballo delle spade localizzata nei luoghi del possibile passaggio di Annibale potrebbe testimoniare lo stanziamento di milizie basche ‘a scolta di luoghi segreti e validi per la difesa’”. Fermatisi in queste contrade, “passati gli anni senza il ritorno del loro generale”, questi baschi dell’esercito di Annibale si sarebbero amalgamati con la popolazione locale cui avrebbero trasmesso una serie di tradizioni proprie, in un’opera di simbiosi culturale non infrequente nel mondo antico.
L’ipotesi è suggestiva e ben rientra nel campo dell’enigmologia, di cui Garello è riconosciuto caposcuola. Tuttavia, sulla scorta di alcune considerazioni, è probabilmente possibile allargare ulteriormente – e forse retrodatare – il campo degli influssi culturali ed etnici baschi in Piemonte. Ciò che tuttavia preme sottolineare è il fatto, innegabile, che la Schwerttanz in Piemonte va correlata non tanto con la moresca, che pure era presente almeno fino a un cinquantennio addietro nella penisola italiana (sopravvive ora solo in Dalmazia a Curzola), ma proprio con le danze delle spade assai vive tra il fiero popolo dei Pirenei atlantici.


Si diceva, però, che questo legame folcloristico potrebbe risalire a contatti o identità etniche anteriori alla venuta di Annibale. Nell’interessante quaderno Spade e fiori, una festa della primavera ideato da Gian Luigi Bravo, Paolo Gras e Renato Grimaldi, dedicato alla danza delle spade in Valsusa, ben si sottolinea il significato propiziatorio, fallico, esorcizzante, ritualistico di questo tipo di danza: “Effettivamente nell’antichità doveva trattarsi di un albero fiorito conosciuto con il nome di albero di maggio attorno al quale la popolazione compiva riti di propiziazione per stimolare la fertilità della terra (…) la danza: ci sono le spade, ma ci sono i fiori, i frutti, i colori: i fiori e i nastri colorati sul cappello degli spadonari i fiori, i frutti, le spighe, i nastri, sul bran (…) questa festa non è una festa militare, questa danza non è una danza guerriera (…) quello che si celebra è il lavoro del contadino”. Pertanto, qualcosa di sicuramente assai simbolico e tremendamente radicato nei cicli vitali dell’antica civiltà agreste.
Pochi soldati baschi possono aver innestato questa costumanza in vallate contadine? È possibile, ma è anche certo che, al di là di questa tradizione presente in alcune vallate, tutto l’arco alpino occidentale, dalle Cozie fino almeno al Lago di Como abbonda di tradizioni e di vestigia che legano questi territori montani all’altrettanto montano paese.

 


Uno dei più rappresentativi esponenti della cultura basca contemporanea, l’amico Federico Krutwig Sagredo – grande sostenitore dell’etnia piemontese – ha scritto numerosi saggi linguistici relativi alla toponomastica tra Piemonte e Val d’Aosta, dimostrando come l’origine di numerosi nomi di luogo di queste terre trovino spiegazione e, spesso, corrispondenze in lingua basca; la lingua – come è noto – che, sola, testimonia delle parlate degli antichi popoli pre-indoeuropei che hanno civilizzato per primi l’Europa occidentale.
Nel suo magistrale studio Garaldea (in basco la “Patria delle Montagne”) Krutwig dedica un intero capitolo ai nomi pre-indoeuropei presenti in Piemonte, nella Lombardia occidentale e in Valle d’Aosta. Decine e decine di località – parecchie quelle biellesi – trovano lingua geograficamente lontana ma, evidentemente, concettualmente assai vicina. In Val d’Aosta: Amai (in basco frontiera), Ayas (in basco aia), Aran (valle), Alpi Graie (in basco arpe garai, alte montagne), Axcenes (la guardia ai piedi della montagna), Cervin (Cere Binia, nomi simili a tanti alpeggi pirenaici), Ersa (angolo), Conbin (in basco gon, collina, e binia, idem).
E nel Biellese le similitudini sono ancora più evidenti quando hanno identico nome: Zumnja, italianizzato in zumaglia, e Zumaja in basco, o località recentemente unite da un doveroso gemellaggio come Lessona e Zubiena con Lexona e Zubi Ena. Per non parlare poi degli alto-lombardi Arona, Barzola, Arese, Vailate, Velate, Carate, Garate, Gallarate. Come aggiunge Krutwig, “al di là di questi nomi che hanno intero equivalente in basco, esiste inoltre una grande quantità di paesi il cui nome esce in -ate che è l’equivalente basco per ‘ospizio’ di montagna”.
Dunque, grazie alle ricerche di Krutwig sappiamo che queste località, fondate sicuramente in tempi anteriori alla venuta di Annibale ed estese su un vasto territorio, hanno legami stretti con la civiltà basca. A questo punto, potrebbe affacciarsi un’ipotesi diversa, in un certo senso estensiva dell’intuizione di Garello: vale a dire che i soldati baschi a seguito di Annibale si siano stanziati in Val Susa perché proprio colà avevano trovato popolazioni che, nell’antico patois, nel modo di essere, nella psicologia, rispecchiavano un legame con la civiltà pre-indoeuropea di cui essi stessi erano figli.

Ercole al Battistero di Biella?

In effetti il più antico storico di Biella, Carlo Antonio Coda, nel Ristretto del sito e qualità di Biella e sua provincia dice che questa città venne “ristorata da Ercole Egizio libico”: attenzione, i richiami evocatori sono importanti, ci sono i riferimenti libici – vale a dire agli antichi libi – c’è un’altra reminiscenza magica con il richiamo egiziano e in più l’indicazione di un Ercole dalle cui colonne passò, appunto, Annibale. Inoltre la città è detta ristorata cioè vivificata, forse con un rito, con nuove credenze, probabilmente però innestando del nuovo, armonicamente, su un vecchio ceppo.
Severino Pozzo, citando il Coda, dice che questo legame erculeo “lo palesa l’idolo a lui dedicato e a Bacco conservato a perpetua memoria sopra la porta del Battistero” di Biella. In richiamo evoca misteri ed enigmi: anche perché non si comprende né per quale ragione un simulacro pagano starebbe sul frontale del più antico tempio cristiano, peraltro di difficile datazione, né se effettivamente esso raffiguri Ercole e Bacco.
In effetti, questo portale d’ingresso – al di là dell’erculeo richiamo – emana un fascino che ha spinto decine e decine di studiosi ad azzardare le più disparate ipotesi interpretative: sicuramente d’epoca romana, potrebbe essere, come suggerisce il Pozzo, un “frammento funebre”.
Ma i due misteriosi personaggi sono stati variamente identificati: in un saggio dal significativo titolo La romanità di Biella ed i suoi rapporti con la romanità nel biellese del 1951, C. Calosso afferma trattarsi di “eroti” di fronte a un portico con lesene, uno dei quali regge una colonna di età romana. L’interpretazioneè stata autorevolmente ripresa nel 1980 da Gianni Carlo Sciolla nel suo magistrale Il Biellese dal Medioevo all’Ottocento”. In effetti, il richiamo erotico è in qualche modo pertinente, tanto più che la colonna ha fattezze falliche evidenti: vi è in questa lastra un richiamo a culti e cerimonie legate alla fertilità? Se ci fosse, avremmo stabilito un legame concettuale con il significato più profondo delle stesse feste delle spade.
Ma, forse, la colonna non è più concretamente una raffigurazione di un maj che sta per essere piantato con rito propiziatorio della fertilità della terra e dei grembi? Il secondo personaggio pare stringere una frasca, e quindi potrebbe anch’egli concorrere a qualche innesto di linfa vitale che dia più forza alla simbolica operazione del piantar maggio. Ma… e se la frasca fosse in realtà una spada? In questo caso proprio a Biella, città dal nome equivalente tra i baschi, ristorata da Ercole, esisterebbe – sul primo e più importante tempio cristiano – la raffigurazione di una primordiale danza delle spade nel corso di una cerimonia per una festa della primavera.
Insomma, con molta probabilità l’area culturale degli antichi popoli della montagna che abbracciava Pirenei ed Alpi occidentali e affiora di volta in volta nella toponomastica, nei dialetti o nelle tradizioni, si nutriva di credenze profonde e radicate che poche centinaia d’anni di romanizzazione non hanno estirpato del tutto. Ecco perché gli spadonari della Valsusa hanno corrispondenza nell’ezpata dantza basca.

danza delle spade in piemonte e paese basco
Ercole e Bacco sulla porta del Battistero di Biella? Più scientifica la teoria secondo la quale nella lastra sono raffigurati due “eroti”, dunque dei personaggi al centro delle pratiche sessuali (anche oscene) del mondo pagano.

Grazie alla cortese collaborazione di Jose Antonio Arana Martija, bibliotecario della Euskaltzaindia, Reale Accademia della lingua Basca, ho potuto studiare la magistrale opera di Juan Antonio Urbeltz Navarro Dantzak: notas sobre las danzas tradicionales de los Vascos, lo studio più approfondito sulla danza delle spade in Euskadi. Il prestigioso saggio illustra caratteristiche, peculiarità e significato delle numerosissime espressioni di ronda coral, danza di gruppo, che partendo da alcune forme antitetiche o contrapposte di azione danno poi vita alla danza dei solisti.
Insomma, pur con questi brevi cenni, è possibile comprendere l’importanza, il fascino e la bellezza di questa antica forma di folklore popolare basco. Probabilmente, le attuali esibizioni di spadonari valsusini rappresentano una risultante sintetica di una coralità espressiva che probabilmente in Piemonte si è contratta, restando estesa a più personaggi in Euskadi. Tuttavia, forse proprio in quanto esempio di un’arte spontanea dalle evocazioni magiche e religiose profonde, occorre che la tradizione dei balli delle spade del Piemonte trovi maggiore attenzione e interesse, perché rappresenta probabilmente la parte emergente della profonda identità culturale del nostro antico popolo alpino.
Danzando tra nastri e con spade, gli spadonari sembrano dire attraverso la maestosa prorompente forza del linguaggio dei loro gesti che essi sono simbolo di rinnovamento perenne d’un antico ceppo. Con la loro danza pare d’udire la fiera invettiva lanciata da un contadino francese sconosciuto all’evangelizzatore Saint Eloi: “Romain que tu es, bien que tu nous rabaches toujours les mêmes choses, jamais tu ne pourra abolir coutumes. Nous célébrerons nos cérimonies, comme nous l’avons fait jusq’isi et n’y a personne au monde qui puisse nous interdir nos divertissement antiques nous sont si cher”.