Disordini a Noumea

“Non abbiamo fatto ciò che avremmo dovuto per evitare tutto questo”, afferma Antoine Kombouaré, oggi allenatore di calcio, nato a Noumea in Nuova Caledonia dove da qualche giorno stanno avvenendo violenti scontri tra giovani di etnia kanak, che distruggono tutto ciò che incontrano.
Scrive il poeta Paul Wamo:
“La responsabilità è multipla, collettiva e le radici sono profonde. L’analisi della situazione deve partire facendo un passo indietro, dalla realtà sul campo. In Nuova Caledonia seguiamo le stesse articolazioni fessurate di tutti i popoli dei Paesi colonizzati: esistono analisi specifiche sull’argomento come quelle di Fanon o di Membe, ma i loro scritti non vengono insegnati in Francia, tantomeno nelle università dei cosiddetti Paesi d’Oltremare: la Francia è nota per non non riconoscere il suo passato coloniale e schiavista.
Noi popoli autoctoni, come dice Antoine Kombouaré, non abbiamo fatto abbastanza per abbattere il muro.
Per chiarezza, le rivolte che continuano a bruciare la città da una settimana non hanno nulla a che vedere con un partito o con il movimento indipendentista; si tratta di una frangia di giovani kanak dei quartieri operai, degli slum, i dimenticati, i non visibili dalle istituzioni, dalla politica, dalla cultura, dalle riforme, che sono il frutto del frutto del frutto del frutto, bombe umane pronte a esplodere. Chi brucia e saccheggia con l’alcol affogato in gola non ha più niente da perdere: è la principale emorragia da arrestare.
Questo fa il gioco dello Stato e delle milizie sul posto che sparano proiettili veri, fa il gioco dei partiti ‘lealisti’ che soffiano sul fuoco associando i saccheggi alla lotta indipendentista, al movimento indipendentista.
Restiamo saldi, esistono movimenti cittadini che collaborano con le persone per sopravvivere, abbandonati al loro destino, dimenticati da tutti, ogni quartiere si organizza per garantirsi, per educarsi, per parlare con i giovani, ma questo non lo si vede nei media.
Non lo auguro a nessuno… la lotta sì, ma la guerra no, fa troppo male perdere vite a noi care, è una delle parole d’ordine lanciate ai tempi di Jean Marie Tjibaou, e ancora oggi ‘se combattiamo combattiamo per i vivi e non per i morti’: non commettiamo i nostri stessi errori perché abbiamo già perso troppe persone vive”.

Le case kanak non sono soltanto abitazioni ma anche luoghi di riunione.

La polizia ha emanato le seguenti direttive
– Niente armi da fuoco fuori, a casa sono affari tuoi (in Nuova Caledonia tutti sono cacciatori e hanno fucili in casa).
– Identificare una casa del quartiere dove potersi rifugiare, anche se devi abbandonare la tua.
– Mettersi una fascia bianca al braccio per essere riconoscibile.
– Evitare il volto mascherato.
– Al minimo pericolo, tornare in un luogo da poter difendere.
– Elencare gli estintori del quartiere per poter spegnere un incendio se necessario.
– Preparare i tubi d’irrigazione a casa (il quartiere di Logicoop è in fiamme)
– Non mettersi in pericolo
– Gli anziani possono essere volontari ma devono conoscere i propri limiti
– Portare occhiali/maschere da sub per proteggersi dai gas lacrimogeni.

Legittima difesa: rispondere a un atto violento in modo proporzionato immediatamente al momento dei fatti e non più tardi, quando ritroviamo i colpevoli. Qualora bloccaste qualcuno degli aggressori, dovete consegnarlo alla polizia senza aggredirlo o picchiarlo.
Non lasciate che nessuno parli di politica in Nuova Caledonia faccia chiacchiere mediatiche fuori luogo!
Nella realtà dura e violenta che si sta vivendo, si è formata in poche ore una straordinaria solidarietà umana da parte del vicinato: padri, madri, figli, di tutte le etnie che, senza conoscersi, hanno saputo istintivamente ritrovarsi per vegliare sulle varie famiglie e sui quartieri.
Notti insonni, logistica di mutuo soccorso da mettere in atto, monitoraggio, conforto, accompagnamento, cura, sostegno, stress da gestire, senza essere stati addestrati, ognuno ha portato le proprie competenze per il comune desiderio di proteggersi!
In tutti i gruppi di cittadini le regole si ripetono regolarmente: ci si difende, con armi spesso improvvisate, solo in caso di pericolo mortale.
Le forze dell’ordine non hanno personale sufficiente, sono esauste, i cittadini prendono il loro posto perché non hanno scelta.
Diversi giovani del Paese si sono radunati presso la stazione di servizio di Appgoti per dare una mano nella distribuzione di cibo alle famiglie della zona. Pasta e altri prodotti sono stati distribuiti ai residenti locali, soprattutto a quelli che non possono spostarsi, come gli anziani o le madri di bambini piccoli.
Attualmente 600 militari delle forze speciali con mezzi blindati stanno intervenendo per cercare di riportare l’ordine.
Quando sono arrivata in Nuova Caledonia, 13 anni fa, all’inizio della mia avventura nel Pacifico, ho immediatamente percepito la profondità delle tensioni che la attanagliavano, simili a una polveriera pronta a esplodere. Ma voglio ricordare le parole della cara Yvette, di madre kanak e padre francese, vissuta in amicizia con le varie etnie presenti nel Paese, che sosteneva con fermezza: “Dobbiamo trovare il modo di vivere insieme”.