L’opposizione turca ha accusato il governo del presidente Erdogan di aver accettato denaro dalla Cina per  minimizzare le gravi violazioni dei diritti umani contro la popolazione uighur dello Xinjiang.
Le accuse sono state avanzate durante una seduta parlamentare il 9 maggio, quando l’opposizione ha chiesto che venisse indetta un’assemblea generale speciale: lo scopo era il riconoscimento degli eventi nella regione dello Xinjiang – in Turchia definita “Turkistan Orientale” – come un genocidio perpetrato dallo Stato cinese.
La mozione era analoga a quelle adottate da molti parlamenti degli alleati occidentali della Turchia, eppure è stata respinta con il voto della maggioranza dei partiti akp (giustizia e sviluppo) di Erdogan e del suo alleato di estrema destra, mhp (movimento nazionalista).
Presentata il 9 maggio dal Saadet Partisi (partito della felicità) e appoggiata da altri esponenti del blocco dell’opposizione, la mozione è stata respinta lo stesso giorno dopo un breve dibattito e uno scambio di dure osservazioni tra i parlamentari dell’assemblea generale.
Mahmut Arıkan, deputato di Kayseri, ha dichiarato: “Dalla fondazione della Repubblica Popolare Cinese, sono stati uccisi un totale di 35 milioni di nostri fratelli e sorelle uighur nel Turkestan Orientale”, accusando la Cina di gestire campi di concentramento e di lavoro forzato, di reprimere le pratiche religiose, di effettuare il lavaggio del cervello politico e di attuare la sterilizzazione forzata contro le donne uighur.
Ha poi aggiunto: “Cari amici, opporsi alla persecuzione nel Turkestan Orientale significa difendere la dignità umana. Agendo insieme, alzando la voce insieme, possiamo porre fine alla persecuzione. Restare in silenzio contro questo genocidio è un tradimento dell’umanità. Noi, il nostro parlamento, abbiamo l’obbligo di dare voce alla libertà del Turkestan Orientale”.
Buğra Kavuncu, un deputato di Istanbul, ha affermato che le atrocità nello Xinjiang si sono trasformate in un genocidio, e il destino di centinaia di migliaia di persone rimane sconosciuto. Egli ha affermato che la Cina ha più influenza in Turchia di quanto si pensi comunemente e finanzia entità che promuovono la propaganda cinese. Il deputato si è scagliato contro gli ambienti filo-cinesi in Turchia, affermando che alcuni chiudono un occhio sulle atrocità nello Xinjiang con il pretesto di opporsi all’imperialismo occidentale: “In Turchia alcuni ambienti vi accusano di essere servi filo-occidentali […] se vi pronunciate contro la persecuzione nel Turkistan Orientale. I veri servitori sono coloro i cui fili sono tirati dalla Cina”.
Ömer Faruk Gergerlioğlu, deputato dell’opposizione e autorevole difensore dei diritti umani, ha affermato che il governo Erdogan ha preso le distanze dalla prospettiva dell’adesione alla ue e dalla democrazia man mano che si è avvicinato alla Cina, cercando di non dispiacere o offendere Pechino. Ha accusato il governo di stringere accordi con la repubblica popolare mentre 5 milioni di uighur rischiano il genocidio.
Gergerlioğlu ha inoltre sottolineato le tattiche dilatorie dei cinesi riguardo alla prevista visita di una delegazione turca nella regione dello Xinjiang, come concordato nel luglio 2019 durante il viaggio di Erdogan in Cina, affermando che quel Paese ha comprato il silenzio della Turchia con un accordo da 50 miliardi di dollari che coinvolge investimenti e scambi commerciali. “Sono passati quattro anni e mezzo: la commissione per i diritti umani di questo parlamento avrebbe dovuto recarsi in Cina, visitare i campi di concentramento, raccogliere informazioni. Non è successo. Il genocidio è stato riconosciuto presso molti parlamenti in tutto il mondo, ma parlamento turco, akp e mph nascondono la testa sotto la sabbia per evitare di vederlo. Perché? Il motivo è l’accordo da 50 miliardi di dollari del luglio 2019”.
Difendendo la posizione del governo nei confronti della Cina, il legislatore di akp Abdulkadir Emin Önen, ex ambasciatore a Pechino, ha affermato che il governo è molto sensibile alla difficile situazione degli uighur nello Xinjiang, ma non è pronto a rivelare pubblicamente quali azioni siano state intraprese dietro le quinte.

Il “campo di rieducazione” di Artux.

Leyla Şahin Usta, che ha difeso la posizione del governo, ha rivelato che Pechino non ha ancora approvato la prevista visita di una delegazione turca come concordato nel 2019.
La visita era stata discussa durante l’incontro tra Erdogan e Xi Jinping il 2 luglio 2019, laddove il presidente cinese aveva proposto che la Turchia inviasse una delegazione nello Xinjiang. Il 24 luglio, l’ambasciatore cinese in Turchia aveva trasmesso formalmente l’invito ufficiale. In ogni caso tale delegazione, con la prevista partecipazione di una decina di persone provenienti da varie istituzioni turche, non è mai stata formata, e i dettagli della visita sono stati oggetto di controversia tra funzionari turchi e cinesi.
Interrogato in parlamento sul destino della missione nel gennaio 2020, l’allora viceministro degli Esteri Yavuz Selim Kıran aveva dichiarato: “Stiamo preparando una delegazione da inviare in Cina, ma vogliamo anche che questa delegazione abbia l’opportunità di osservare alcune località e punti che abbiamo concordato di comune accordo con i cinesi, al fine di valutare accuratamente la situazione sul campo. Le nostre consultazioni con la Cina su questo argomento sono in corso”.
Il governo Erdogan ha sviluppato relazioni più strette con la Cina, soprattutto perché i legami della Turchia con i suoi alleati della nato e i partner occidentali sono diventati problematici su diverse questioni, non ultime le violazioni dei diritti umani e la sospensione dello Stato di diritto. Ankara ha elevato le relazioni della Turchia con la Cina al livello di cooperazione strategica nel 2010 e ha aderito alla “nuova via della seta” nel 2015.
Secondo le statistiche del governo turco, al febbraio 2024 operavano in Turchia 1282 aziende cinesi, con un investimento totale dall’estero che raggiungeva 1,2 miliardi di dollari. Questo investimento è sostanzialmente inferiore rispetto a quello che la Turchia ha ottenuto dai suoi alleati occidentali. Nel 2023 il volume degli scambi tra Turchia e Cina ha superato i 45 miliardi di dollari, favorendo fortemente la Cina. Lo scorso anno il Paese ha importato beni dalla Cina per un valore di 45 miliardi di dollari, mentre ne ha esportati appena 3,3 miliardi.
Il 30 maggio 2019 la banca centrale turca ha inoltre firmato un accordo di currency swap con la banca popolare cinese, con l’obiettivo di aumentare gli scambi nelle valute locali. L’accordo di swap è stato fissato a 46 miliardi di lire turche e 35 miliardi di yuan cinesi.
Sebbene diversi alleati nato della Turchia abbiano condannato la Cina per le violazioni dei diritti umani nella regione dello Xinjiang, bollandole come crimini contro l’umanità e genocidio, la Turchia si è guardata dall’unirsi al coro. Molte risoluzioni portate all’ordine del giorno nel parlamento turco dall’opposizione per condannare la Cina sono state respinte dal partito di Erdogan e dai suoi alleati, che costituiscono la maggioranza nell’assemblea nazionale.
Nel gennaio 2021 il dipartimento di Stato americano ha stabilito che la Cina ha commesso genocidio e crimini contro l’umanità violando i diritti degli uighur prevalentemente musulmani, e di altri membri di gruppi minoritari etnici e religiosi nello Xinjiang, almeno dal marzo 2017. Questi crimini includevano l’incarcerazione arbitraria o altre gravi privazioni della libertà fisica di oltre un milione di civili, sterilizzazione forzata, tortura di un gran numero di detenuti, lavori forzati e imposizione di restrizioni draconiane alla libertà di religione, di espressione e di movimento.
Un buon numero di Paesi occidentali ne ha seguito l’esempio, condannando la Cina per la persecuzione contro la minoranza turcica. Nel febbraio 2021 la camera dei comuni canadese ha votato a stragrande maggioranza per bollarla come “genocidio”. Nell’aprile 2021 i parlamentari britannici hanno votato per dichiarare che la Cina sta commettendo un genocidio contro il popolo uighur. Nel giugno 2022 il parlamento europeo ha adottato una risoluzione in cui si afferma che il trattamento riservato dalla Cina ai gruppi etnici indigeni per lo più musulmani e di lingua turcica, come gli uighur, i kazaki e altri presenti nella regione nord-occidentale dello Xinjiang, equivale a “crimini contro l’umanità” e costituisce un “grave rischio di genocidio”.
Nell’agosto 2022, l’alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (unhchr) ha pubblicato un rapporto in cui sostiene di aver trovato prove significative che Pechino sta commettendo crimini contro l’umanità. Attivisti ed esperti di diritto delle Nazioni Unite affermano che oltre un milione di uighur sono stati imprigionati in quelli che vengono chiamati “centri di rieducazione” e sottoposti a lavori forzati, torture, stupri e sterilizzazioni.

Abdullah Bozkurt, “Nordic Monitor”.