Ogni giorno sembra che le polemiche roventi tra Tayyp Erdogan e l’Europa abbiano toccato il livello massimo, ma ogni giorno si scopre che al peggio non vi è mai fine e il presidente turco alza sempre più i toni e le accuse. Ieri ha di nuovo accusato di nazismo la Germania di Angela Merkel, ha sostenuto che appoggia il terrorismo, perché ha permesso che a Francoforte si tenesse una manifestazione di trentamila curdi del Pkk (va detto, con qualche ragione: il Pkk è sulla lista delle organizzazioni terroristiche dell’Ue e degli Stati Uniti) e ha sostenuto che è “un terrorista e come tale verrà processato e condannato” il giornalista della Deniz Yucel che ha la doppia cittadinanza, tedesca e turca, ridicolizzando così i tentativi di Angela Merkel di farlo riconsegnare alla Germania. Poi ha convocato in patria l’ambasciatore turco in Danimarca, aggiungendo il pacioso Paese del nord Europa alla lista dei “nemici della Turchia”.
Ma non basta, Erdogan non si limita alle polemiche roventi sul piano intemazionale. Ha anche ordinato nei giorni scorsi l’arresto in massa di ben 2000 cittadini turchi, la metà accusati di sostegno al terrorismo curdo nel sud est del Paese e l’altra metà di fare parte della “rete golpista di Fetullah Gulen”, che sostiene abbia diretto e ispirato il fallito colpo di Stato del 15 luglio scorso. Il suo obbiettivo è palese: vincere, con una politica di terrore interno e dipingendo la Turchia come un Paese assediato dai “nazisti europei”, il referendum costituzionale del 16 aprile, che gli dovrebbe dare poteri assoluti, maggiori di quelli del presidente degli Stati Uniti, e che gli permetterà di stare al potere sino al 2029.
Dal 15 luglio a oggi gli arrestati sono decine di migliaia e si sommano alle decine di migliaia di militari, professori, giudici e membri delle forze di polizia dimissionati e buttati sul lastrico accusati di “golpismo”. Ragione non ultima questa della inaffidabilità delle politiche di sicurezza turche, come dimostrano i continui attentati, e anche di inefficienza delle forze armate. Il tutto, accompagnato da una politica di delazione sociale capillare, che replica gli orrori della Germania comunista: ben 60.000 sono le denunce di cittadini contro altri cittadini, anche familiari, per “intelligenza con la rete di Gulen” e per complicità col terrorismo, il tutto organizzato dalla rete dei muktar, i funzionari comunali incaricati di organizzare una rete di delatori capillare.
Una strategia cinica,  demagogica, antidemocratica che Erdogan può sviluppare liberamente non solo perché ha usato del golpe del 15 luglio per distruggere l’opposizione interna, ma anche e soprattutto perché tiene sotto ricatto un’Europa terrorizzata dall’arrivo dei milioni di immigrati siriani e asiatici che trattiene in Turchia e che non fa entrare nel vecchio Continente. I governi europei, in primis quello di Angela Merkel, possono solo protestare verbalmente contro i suoi attacchi smodati. Ma sanno bene che il dittatore turco ha il coltello dalla parte del manico. Se Erdogan apre le sue frontiere con l’Europa in questi mesi di campagne elettorali cruciali in Francia, Germania e Italia, lo sbandamento delle opinioni pubbliche contro i governi uscenti sarà epocale.
È questo il frutto della miopia politica in particolare di Angela Merkel, che ha totalmente sbagliato la valutazione sulla personalità e sui progetti di Erdogan, ha creduto di trovarsi di fronte un normale statista europeo e gli ha consegnato tre miliardi di euro per tenersi in Turchia le masse di emigrati in fuga dalla Mesopotamia. Ora, la minaccia di invadere l’Europa con milioni di migranti è esplicita e ripetuta. Accompagnata per di più da un brusco ribaltamento delle alleanze intemazionali di Ankara. Oggi Erdogan si fa forte di un asse con Vladimir Putin, impensabile due anni fa, quando ordinò personalmente di abbattere un jet russo sui cieli della Siria. Un’alleanza che si è estesa anche all’Iran, grande alleato di Mosca e che porta i tre Paesi a sviluppare una politica comune, a vantaggio di Beshar al Assad, in Siria.
Un fallimento europeo totale, che vede oggi tutto il Medio Oriente privo assolutamente per la prima volta da un secolo di influenza europea (e americana).

Carlo Panella, “Libero”.