La decisione del governo israeliano di riconoscere la minoranza cristiana degli aramei ha scatenato le ire degli arabi e dei loro parlamentari nella Knesset, che premono affinché gli aramei siano considerati semplici palestinesi. Ma la storia dimostra che queste comunità esistono proprio perché hanno combattuto per non essere assorbite da arabi e musulmani.

mezzaluna fertile

Nella storia del Medio Oriente si parla della nazione aramea a partire nella seconda metà del II millennio a.C.: un popolo semitico che viveva  nella cosiddetta Mezzaluna Fertile, territorio che oggi comprende Israele, il nord-ovest della Giordania, il Libano, il nord e l’ovest della Siria, l’Iraq settentrionale e le terre lungo il fiume Eufrate. Nelle fonti ebraiche della Bibbia e successive si parla di regni aramei con riferimenti geografici come Aram Naharayim, Padan Aram, Aram Tzova, Aram Damascus e altri.
L’aramaico divenne la lingua franca di queste regioni, parlata anche da altre etnie come gli ebrei, tanto che alcuni dei libri del Tanach sono scritti in questo idioma.
Nel corso del primo millennio a.C. la ribalta toccò al popolo assiro, ma la sua conquista materiale della regione non influenzò l’aspetto linguistico, e l’aramaico continuò a essere la lingua prevalente nella Mezzaluna Fertile per centinaia d’anni. Per esempio, il Talmud babilonese che è stato formulato nel corso dei primi cinquecento anni dell’èra volgare è pieno di aramaico, così come la scrittura ebraica del periodo geonico a partire dal IX secolo. Gli ebrei come gruppo religioso ed etnico hanno continuato e continuano tutt’oggi a usare l’aramaico come lingua di studio e di preghiera.
Sotto il dominio assiro, vi furono gruppi aramei ben definiti che conservarono il loro patrimonio linguistico e religioso, un fatto fondamentale per spiegare la connessione tra i popoli assiro e arameo fino ai giorni nostri.
I greci e i romani, che governarono il territorio dal quarto secolo a.C fino al quarto d.C., non determinarono la scomparsa di queste comunità di lingua aramaica, che abbracciarono il cristianesimo in seguito all’avvento dei bizantini (ortodossa) alla fine del IV secolo.
È importante ricordare che la lingua araba ha avuto origine nella penisola arabica, la parte meridionale del Medio Oriente, mentre le lingue storiche della Mezzaluna Fertile sono aramaico, assira, persiano ed ebraico.
Le tribù arabe musulmane conquistarono l’area nel VII secolo, obbligando la maggior parte della popolazione a convertirsi all’islam e a fondersi nella cultura arabo-islamica. Religione musulmana e lingua araba divennero la norma nella regione, sostituendo l’identità originale di quei gruppi islamizzati che persero così le loro caratteristiche uniche.
Al contrario, i gruppi rimasti fedeli alla loro tradizione religiosa cristiana continuarono a utilizzare l’aramaico, che è rimasto la lingua liturgica nelle chiese e si è conservato nell’alfabeto scritto dei testi religiosi.
Il popolo siriaco-arameo appartiene alla chiesa ortodossa orientale, ma nel corso degli anni si è suddiviso in diverse denominazioni: maroniti, greco-ortodossi, greco-cattolici, siro-cattolici e siro-ortodossi di Antiochia. Queste nomenclature sono il risultato di distanze geografiche e alleanze sviluppate nel tempo con uno dei tre patriarcati: Roma, Costantinopoli e Antiochia. Una varietà che testimonia la presenza stabile nel tempo delle popolazioni aramee nella Mezzaluna Fertile.
L’unità linguistica e religiosa ha salvato questi gruppi – ciascuno per conto proprio – dall’essere assorbiti nella maggioranza musulmana, soprattutto grazie al divieto di sposarsi al fuori della loro religione, analogamente a drusi, alawiti ed ebrei. Ecco perché le comunità aramee sono riuscite a sopravvivere nella Mezzaluna Fertile come gruppo etnico, linguistico e religioso. Motivo, questo, per riconoscerne l’esistenza come etnia a se stante.
Nel 1942, Edmond Mayer scrisse un saggio sui maroniti libanesi e assiri in cui affermava chiaramente che si tratta di discendenti dei popoli assiro-aramei presenti nella zona durante la conquista musulmana del VII secolo. Nel 2005 l’università Al Azhar ha pubblicato una ricerca di Ahmad Makhmad Ali al Jamal in cui il popolo assiro-arameo viene riconosciuto come una realtà in Libano, Siria e Iraq.
I Paesi limitrofi hanno comunità cristiane in cui la lingua parlata – e non solo quella liturgica – è l’aramaico. In Siria troviamo Maalula, Bakhia, Hassake, Qamishli. In Turchia, Tur-Abdin e Mardin. Nel nord dell’Iraq, Qaraqoush, Alqosh, Irbil (la capitale curda), Ankawa. Ci sono prove che fino alla fine del X secolo le città di Basri e Zarta e i loro dintorni nelle montagne libanesi parlavano aramaico.
L’arabo parlato nelle comunità cristiane del Levante si differenzia da quello delle comunità musulmane druse e alawite e sottolinea la segregazione culturale dei cristiani a partire dalla dominazione arabo-islamica nella regione. Questi attributi culturali hanno dato origine al nome siro-arameo o, più in breve, assiro. Il più famoso dei gruppi siriaci sono i maroniti, la maggior parte dei quali vive in Libano. Alcuni dei loro testi di preghiera sono in aramaico.

aramei-in-Israele

La sfera civile nella Mezzaluna Fertile

Le comunità siro-aramee si trovano oggi in Iraq, Siria, Libano e nel nord di Israele. In comune hanno la combinazione di religione cristiana e lingua aramaica, quest’ultima utilizzato soprattutto per la preghiera.
I moderni Stati di Iraq e Siria, fondati circa 70 anni fa, tentarono di creare un sentimento di unità nazionale, arabo-iracheno in Iraq, arabo-siriano in Siria. Questa coscienza nazionale avrebbe dovuto cancellare appartenenze tribali, etniche, religiose, coltivando in loro vece un moderno senso di fratellanza che si doveva tradurre in tranquillità civica e stabilità dei regimi. A tale scopo ideologie moderne come il nazionalismo, il patriottismo arabo e il socialismo baath furono copiate dalle ideologie europee che avevano riempito il vuoto intellettuale dei secoli XIX e XX. Il tentativo siriano di cancellare le identità particolaristiche e trasformare tutti i cittadini del Paese in arabi siriani che credono nel Baath con tutto il cuore, è descritto chiaramente nella mia tesi di dottorato sui media siriani, The public political language of the Assad regime in Syria, del 1998.
Negli ultimi 4 o 5 anni, a partire dall’inizio della “tempesta araba” (quella che un tempo era stata ingenuamente definita “primavera araba”), è apparsa evidente l’impossibilità di governare Iraq e Siria come Stati moderni; di far accettare le ideologie europee d’importazione a masse che sono rimaste fedeli alle loro strutture tradizionali: la tribù, l’etnia, la religione.
La maggior parte dei musulmani si autodefiniscono in termini sempre più di stampo religioso ed etnico, e di conseguenza le minoranze cristiane si sono trasformate in stranieri ed eretici, piuttosto che in concittadini. Persecuzione e danni alle chiese, alle proprietà e alle persone hanno costretto  molti di loro a emigrare in altri Paesi, soprattutto in Europa.
Nel tentativo di arginare l’esodo dei cristiani, nel 2014 il parlamento iracheno approvò una legge per dare status di ufficialità alla lingua siro-aramaica, affiancandola all’arabo, al curdo, al turkmeno e all’armeno. Questo fatto è importante per la nostra tesi, in quanto il governo iracheno, più che riconoscere le differenze tra le varie etnie del Paese, avrebbe avuto interesse semmai a tentare qualcosa per rafforzare una coscienza nazionale. Una simile scelta, quindi, può essere giustificata soltanto dall’esistenza di una comunità aramea di notevole peso.

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