Guai per profughi e kolbar alla frontiera turco-iraniana

Risale a un anno fa la notizia della madre che per proteggere le mani dei figli dal congelamento si era tolta i calzini (così riportavano in genere i media, ma in realtà si era tolta anche le scarpe dandole ai bambini) tentando di attraversare il confine turco-iraniano. La donna, una profuga afgana, aveva proseguito con i piedi avvolti in sacchetti di plastica ed era poi morta assiderata.
Non si era però insistito più di tanto sul fatto che per almeno due volte era stata fermata e maltrattata dalle guardie di frontiera turche e respinta in Iran. Dove le guardie iraniane l’avevano abbandonata al suo destino.
Solo i bambini, con le estremità ormai congelate, venivano soccorsi dagli abitanti di un villaggio.
Come già da tempo denunciavano alcune ong e un gruppo di avvocati di Van, ai rischi connessi con i rigori invernali bisogna aggiungere quello di venire intercettati dai soldati turchi e di subire maltrattamenti e torture.
È cosa nota che i rifugiati vengono utilizzati come “moneta di scambio” dal regime di Erdogan per condizionare la politica dell’Unione Europea. Soprattutto per ottenere finanziamenti in cambio del controllo esercitato da Ankara sui flussi migratori.
Solo in quelle prime settimane del 2022 almeno altre tre persone (quelle accertate) erano morte per il freddo, tra la neve e le rocce. Dopo essere state fermate (o meglio: catturate) e rispedite brutalmente oltre frontiera dai militari turchi. Altre invece venivano ormai date per disperse.
Un avvocato di Van, Mahmut Kaçan, aveva raccolto le testimonianze di numerosi rifugiati. Stando alle loro dichiarazioni, “la maggior parte dei migranti catturati vengono riportati, senza procedure legali, sulla frontiera iraniana e qui semplicemente abbandonati”. Una persona in particolare aveva raccontato di essere riuscita ad attraversare più volte la frontiera, venendo ogni volta respinta e maltrattata. E mostrava le dita delle mani e dei piedi completamente ricoperte di ferite.
A un anno di distanza la situazione sembra rimasta tale e quale, se non addirittura peggiorata.
Molti  rifugiati – oltre ad aver subito maltrattamenti e anche torture – denunciano di essere stati regolarmente derubati, sia del denaro sia degli oggetti (come i telefoni) in loro possesso.
Non conoscendo quei territori montuosi e impervi, “finiscono per smarrirsi in piccoli villaggi dove, già stanchi e affamati per il lungo peregrinare, diventano facile preda di qualche banda armata”.
Criminali che in genere sequestrano qualche membro della famiglia per poi estorcere un riscatto.
In un video diffuso recentemente si vedono alcuni profughi afgani con le mani legate dietro la schiena (alcuni anche imbavagliati), in ginocchio e col viso appoggiato a una parete. In un altro video a un profugo viene troncato di netto un orecchio (a scopo intimidatorio, forse per prevenire tentativi di ribellione) mentre altri, incatenati, vengono frustati.

Kolbar in cammino.

Del resto la frontiera turco-iraniana è da tempo un luogo di repressione e sofferenza. Non solo per i migranti, ma anche – da anni e anni – per i kolbar, gli “spalloni” curdi, che cercano di guadagnarsi da vivere contrabbandando merci da un parte all’altra della frontiera. Quella che divide del tutto artificialmente il Bakur dal Rojhilat (rispettivamente, il Kurdistan sotto occupazione turca e quello sotto occupazione iraniana). I kolbar feriti o uccisi dalle guardie di frontiera ormai si contano a decine.
E mentre alla frontiera turco-iraniana vengono ricacciati in Iran i profughi, su quella greco-turca sono le forze di polizia di Atene a respingere (o meglio: estradare) in Turchia i dissidenti che chiedono asilo politico.
Mehmet Sayit Demir, membro del consiglio di amministrazione di hdp a Diyarbakir, e sua moglie Feride Demir sono stati prima arrestati, maltrattati, insultati, derubati e poi riconsegnati (del tutto illegalmente, si presume) ai soldati turchi. I due dissidenti avevano attraversato il fiume Evros e intendevano chiedere asilo politico in Grecia. Stando a quanto riferito dal figlio Azad Demir, che vive in Germania, in un primo tempo sarebbero stati dati in consegna dalla polizia militare greca a una “gang” e successivamente ai soldati turchi. Notizia inquietante (anche sul confine turco-greco sarebbero operative “bande criminali” come su quello turco-iraniano?) confermata dall’avvocato della coppia.
Nel 2021 Mehmet Sayit Demir era stato condannato a sei anni e otto mesi di prigione in quanto accusato di legami con la resistenza curda. Un evidente caso di persecuzione politica nei confronti di un dissidente troppo scomodo.