Sette anni vissuti pericolosamente quelli trascorsi dal Paese più popolato d’Africa, la Nigeria, durante la presidenza di Muhammadu Buhari.
Tra la sempre maggiore insicurezza quotidiana, la crisi economica e il malcontento diffuso.
Tra la crescita dell’inflazione e una serie di attacchi (sia da parte di gruppi jihadisti sia delle numerose bande criminali, talvolta anche da parte di esercito e aviazione) che hanno provocato la morte prematura di un gran numero di civili.
Anni duri e tristi insomma, tanto che perfino la moglie del presidente uscente, Aisha Buhari, ha presentato pubbliche scuse alla popolazione. Forse non casualmente visto che tra meno di un mese (il 25 febbraio, salvo imprevisti) ci saranno le elezioni presidenziali. Con la possibilità di un eventuale secondo turno entro un mese.
Contemporaneamente verranno eletti anche i rappresentati al parlamento (109 senatori e 360 membri della camera dei rappresentanti).
L’11 marzo invece si svolgeranno le elezioni dei governatori di 28 dei 36 Stati della Nigeria.
Per le presidenziali si presentano 18 candidati, ma stando ai sondaggi le reali possibilità di vincere riguardano soltanto tre di loro.
Ossia, il settantenne Pola Ahmed Tinubu del partito All Progressives Congress (apc, attualmente al potere), Atiku Abubakar (76 anni), esponente del partito democratico popolare (pdp) ormai alla sua sesta campagna elettorale per le presidenziali, e il sessantenne uomo d’affari Peter Obi (ex esponente del pdp ed ex governatore dello Stato di Anambra) che si presenta per il partito laburista.
Soprattutto sui primi due candidati, M. Atiku e M. Tinubu, pesano fondate accuse di corruzione.
Fondamentale per ogni candidato dare garanzie in materia di sicurezza, soprattutto nelle regioni del nord. Due episodi in particolare alla fine dell’anno scorso (l’assalto armato a una chiesa cattolica a Owo e quello contro un treno costato la vita a decine di passeggeri, senza contare quelli rapiti) avevano ridestato vecchie inquietudini tra la popolazione.
Ad alimentarle ulteriormente un recente episodio di cui si sarebbe resa responsabile l’aviazione nigeriana. Il 26 gennaio si sono contati ben 47 vittime (ma non si esclude che il numero possa aumentare, sia per la scoperta di altri cadaveri, sia per la morte di altre persone dovuta alla ferite) di un bombardamento sul villaggio di Rukubi, al confine tra gli Stati di Nazarawa e Benue.
Si tratterebbe di pastori fulani (la denuncia proviene da Usman Baba-Ngelzerma, segretario generale dell’associazione degli allevatori della Nigeria) talvolta accusati di essere i maggiori responsabili dei frequenti episodi di banditismo (uccisioni, sequestri) che avvengono nell’area. Un fatto analogo, costato la vita a oltre sessanta civili, era avvenuto nel novembre 2022 nello Stato di Zamfara.
Sia il governatore di Nasarawa sia il portavoce della polizia hanno dichiarato che “un’inchiesta è già stata avviata per identificare i colpevoli”. Belle intenzioni, che però cozzano con il fatto che nessun responsabile della decina di attacchi simili condotti dai militari negli ultimi cinque anni è mai stato incriminato, tantomeno condannato.
Tuttavia, ben sapendo come l’aviazione nigeriana venga ripetutamente posta sotto osservazione per la mancanza di precisione, è probabile che la strage non sia stata intenzionale, ma appunto frutto “solo” di scarsa professionalità (e scusate se è poco).