heva tupapau capitano cook
L’abito del heva tūpāpa’u, indossato dal “capo dei dolenti”.

L’abbigliamento cerimoniale più impressionante delle Isole della Società è sicuramente l’abito del heva tūpāpa’u, indossato dal temutissimo “capo dei dolenti” che comunicava la morte di una persona.
La prima segnalazione di questo abito proviene dal diario del primo viaggio intorno al globo del capitano James Cook, il quale lo ammira nell’isola di Tahiti ma non riesce a ottenerlo: la sua importanza è grande, difficile che i polinesiani se ne privino. Tuttavia, in occasione del secondo giro del mondo Cook riesce a scambiarlo con le preziosissime piume rosse che aveva portato da Tonga.
Lo heva tūpāpa’u arriva così a Londra. Dal XIX secolo rimane esposto nella galleria dei Mari del Sud del British Museum, fino agli anni ‘60 quando, a causa della sua fragilità, viene ritirato nelle riserve del museo.
Il 15 novembre scorso, al Te Fare Upa Rau (il conservatorio di Tahiti) tre esponenti del British – la conservatrice Julie Adams, la restauratrice Monique Pullan e lo studioso Chris Mussel – hanno presentato il progetto di restauro di questo abito prezioso, che dopo ben mezzo secolo può essere nuovamente ammirato nel museo londinese per i 250 anni della spedizione inglese nel Pacifico.

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I tiputa di tessuto di tapa, decorati con strisce verticali rosse.

È composto da numerosi capi, di accurata fattura: due tiputa (poncho) di tapa (tessuto vegetale),  uno lungo fino ai piedi, l’altro alle ginocchia, decorati con strisce verticali di colore rosso, una banda decorativa verticale con pendenti in cocco, la fascia di tapa che serviva da cintura, il mantello di piume, la cappa in tapa decorata con motivi geometrici che veniva posta sopra la testa, una sorta di cappello sempre in tapa sul quale veniva posata la cappa, la corona in piume, la decorazione in madreperla con conchiglie più grandi in alto, montate a falce sotto al collo, e altre più piccole, quale ornamento del torace anteriore.
Per nascondere il volto e rendere il tutto più inquietante, la maschera, realizzata con due grandi conchiglie lucidate, la superiore decorata da lunghe piume bianche poste a raggiera che incorniciavano il capo.
Anche se fino al 1960 doveva essere montato sul cavalletto in legno, così come era stato trasportato da Cook e compagni, nel restauro del 2018 si è voluto dargli un’immagine reale drappeggiandolo su un manichino appositamente progettato. Nel primo montaggio non era stato considerato lo spazio per infilare le braccia e lo spessore del corpo umano era dato da un grande tapa piegato, di m 4,75 x 2,35, decorato con impronte rosse di mani e da un tiputa, sempre piegato, a bande rosse con i colori ben conservati. Grazie alla suo stato, migliore di quello indossato, è stato deciso di porre anche questo tiputa sopra il costume.
È stato trovato un tiki (una statuetta sacra) nascosto nel copricapo, fatto unico, mai presente negli altri costumi che oggi sono proprietà dei vari musei in giro per il mondo, dalle Hawai’i all’Italia.
Questo vestito cerimoniale lamentava perdita di piume e delaminazione della tapa nelle piegature dove si era consunta, ora restaurata con seta leggera e trasparente.
Il mantello era stato realizzato con piume di rupe, il piccione reale polinesiano, legate tra loro con corde verticali di aute (Brussioneta papirifera) tenute da corde orizzontali; le maniche presentavano un solo lato, forse per non appesantire ulteriormente il già grave insieme.

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Mantello in piume di rupe legate con corde di aute.

Sulla fascia indossata come cintura sono stati rinvenuti motivi con piccoli cerchi, stampati mediante la sezione di canne, e immagini di minuscoli animali. Il colore giallo, realizzato con la curcuma, colorante molto delicato, non ha retto al passare del tempo e risulta sbiadito. 
Le piume della corona provengono da uccelli diversi; quelle rosse invece sono un “falso”, essendo tinte con la cocciniglia (Dactylopius coccus). I lunghi drappi di tapa erano rinforzati all’interno, per dar loro rigidità, con fibre di pandano.
Vista l’ampiezza del costume, chi lo indossava doveva essere alto almeno un metro e ottanta.  
Anche se, secondo i racconti orali, il portatore del costume si tagliava per sanguinare in omaggio al defunto, non sono state trovate tracce di proteine sanguigne bensì di noni (Morinda citrifolia) come colorante rosso. L’arrivo di questo inquietante personaggio era annunciato dal suono raccapricciante delle tete, le conchiglie di madreperla usate come nacchere. 
Una riproduzione dell’abito cerimoniale è stata utilizzata nello spettacolo di luglio 2015 sul marae ‘Ārahurahu, con testi di Patrick Amaru.

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Sono stati i disegni originali del polinesiano Tupaia (nella foto qui sopra), imbarcato nella seconda spedizione di Cook, a guidare i restauratori nella ricostruzione dell’abito, assemblando i vari indumenti che lo compongono. Ora troneggia orgogliosamente in una teca in vetro al British Museum, circondato dagli altri reperti polinesiani.

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