La legge 482/99 sulla tutela delle minoranze linguistiche (cioè quelle “accettate” come tali dal governo di Roma) compie vent’anni senza avere rispettato le promesse funzionali al rilancio culturale autoctono. Le valli provenzali alpine, prima della “tutela”, erano un laboratorio d’idee che si sarebbe ulteriormente sviluppato se non fosse stato soffocato ed egemonizzato dall’occitanismo, che ha fagocitato una norma caduta dall’alto. La normativa consigliava il coinvolgimento di tutti i soggetti culturali del territorio, ma coloro i quali ebbero il riconoscimento nominale tennero in ostaggio la legge che diventò un mero riconoscimento formale.
In decenni di renaissènço, il provenzalismo – grazie al dispiegamento di energie intellettuali, che trovarono in Sergio Arneodo un’insostituibile guida – mise a disposizione del territorio un tesoro di conoscenze in materia etno-linguistica. Tuttavia, un’istruttoria ideologizzata ghigliottinò dalla legge il termine provenzale, con il fine di espellerlo dal perimetro della storia delle valli.
Il linguista Fiorenzo Toso, nel 2008, nel commento alla normativa disse: “La scelta da parte del legislatore del glottonimo ‘occitano’ […] ha avuto tra le sue conseguenze la legittimazione di modelli linguistici e culturali che poco o nulla hanno a che fare col vissuto reale delle comunità delle valli”. L’art. 3 della 482/99 sulla delimitazione territoriale prevedeva che la norma fosse attuata “sentiti i comuni, su richiesta di almeno il quindici per cento dei cittadini, o di un terzo dei consiglieri comunali”: a oggi non risulta che siano stati indetti dibattiti pubblici a sussidio delle delibere consigliari, né che i cittadini si siano autocertificati in quanto “popolazioni parlanti l’occitano”. Non si rileva, peraltro, alcun aumento della domanda di uso della lingua minoritaria, né si riscontra una maggior sensibilizzazione delle persone al fine di renderle più coscienti del valore della loro lingua e cultura.

legge 482/99 fallimento nelle valli provenzali
La copertina di un disco 33 giri pubblicato da “Etnie” nel lontano 1981. Contiene la registrazione di brani tradizionali delle valli cuneesi eseguite da Li Troubàires De Coumboscuro.

Questo glottonimo, “occitano”, ai più sconosciuto e deliberato in base all’indottrinamento, ebbe ripercussioni di carattere percettivo a spese della minoranza provenzale. La democrazia delegata fu strumentalizzata e le istituzioni collaborarono soltanto con le associazioni vicine all’Institut d’Estudis Occitans di Tolosa (IEO). Esse a diverso livello scelsero i referenti nell’area occitanista che tentò, fallendo, di chiudere la “guerra” delle grafie cercando d’imporre la cosiddetta normalizzazione nelle istituzioni e nelle amministrazioni.
Nella toponomastica furono affibbiati nomi senza legami con la storia locale. Per esempio, a Roccabruna venne dedicata una via a René Nelli, storico del catarismo in Francia: soggetto avulso dal contesto culturale della Val Maira.
L’uso della lingua minoritaria nella scuola, nelle università, la formazione degli insegnanti e la potenzialità dei mass-media non decollarono mai, e gli autoctoni in questi vent’anni non hanno potuto godere dei “benefici” della legge.
Gli enti locali, nascosti sotto la “foglia di fico” del calo dei finanziamenti, palesarono la loro inconcludenza anche a causa della censura al segmento provenzalista. Abbandonarono vessilli, militanti e autoctoni dei quali non si erano mai davvero interessati e la 482 cadde nell’oblio, sopravvivendo solo grazie a libercoli, siti internet e a qualche sportello linguistico operativo.

 

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Il libro Piemonte d’Oc, scritto dagli esperti della Consulta Provenzale, è un testo indispensabile per capire le dicotomia tra occitanismo e provenzalismo, non soltanto nelle valli del Cuneese ma anche in territorio francese.