Il 12 maggio 1797 muore, o meglio, tramonta la Repubblica Veneta. Dopo undici secoli di indipendenza, di sovranità, di buongoverno, la bandiera con il leone di San Marco viene ammainata e nelle piazze del Veneto si innalza l’Albero della Libertà.
Con la conquista napoleonica inizia uno dei periodi più drammatici della storia veneta: Napoleone rapina sistematicamente a Venezia e in tutto il territorio tesori, opere d’arte di inestimabile valore, saccheggia, devasta, pretende tributi altissimi dalle città e dalle campagne; il tutto in nome del motto Libertè, fraternitè, egalitè”.
Venezia in particolare fu depredata dal rapinatore corso come mai nella sua storia: finirono a Parigi come bottino di guerra i quattro cavalli bronzei della Basilica, il leone di San Marco posto sulla colonna della piazzetta, decine e decine di straordinari dipinti che ancor oggi ammiriamo al Louvre (uno su tutti, Le nozze di Cana del Veronese), cassoni interi di reliquie, di tesori, di manoscritti (e su Venezia scomparsa di Alvise Zorzi ne troviamo un dettagliato elenco).
Ma Napoleone ha la sfrontatezza di spingersi più in là, attacca violentemente e scientemente l’identità del nostro popolo (“Sarò un Attila per lo stato veneto”, dichiara a Graz ai deputati veneti Francesco Donà e Leonardo Zustinian il 25 aprile), e la dichiarazione di guerra del primo maggio 1797 si conclude testualmente con: “Comanda ai diversi generali di divisione di trattar quai nemici le truppe venete, e di far atterrare in tutte le città della Terraferma il Leone di San Marco”.
La storiografia ufficiale ci narra delle grandi feste e dei balli attorno all’albero della libertà, ma ben poco spazio viene invece dato alla resistenza dei veneti contro le truppe napoleoniche. Il 2 aprile 1797 è lo stesso Bonaparte a scrivere al governo veneto: “Tutta la terraferma della Serenissima Repubblica di Venezia è in armi, in ogni parte i villici sollevati e armati gridano morte ai Francesi”. Per non parlare di vere e proprie insurrezioni popolari come le Pasque Veronesi, quando per una settimana gli scaligeri al grido di “Viva San Marco!” tengono testa eroicamente all’esercito francese. Identica ribellione all’invasore si trova nel bresciano nelle valli Sabbia e Trompia e nella riviera di Salò, 1) e in diverse altre zone come nell’Altipiano dei Sette Comuni, a Lusiana ove si registrano diversi morti e feriti tra gli invasori francesi.
Al Lido di Venezia il comandante del forte, Domenico Pizzamano, bombarda e assale il “Liberateur d’Italie” che cercava di forzare il blocco navale a difesa della città; pochi giorni dopo la folla veneziana che protestava sul ponte di Rialto viene massacrata. 2)
Va detto che anche dopo il 12 maggio la bandiera marciana continua a sventolare; a Zara viene riposta sotto l’altare il primo luglio, nella fedelissima Perasto addirittura il 23 agosto con lo struggente addio a San Marco del capitano Giuseppe Viscovich.
Si arriva così al 17 ottobre, alla firma del trattato di Campoformido: Venezia, il Veneto, l’Istria e la Dalmazia vengono ceduti all’Austria, mentre nelle isole greche (Corfù, Zante, Santa Maura, Cerigo e altre), nell’Albania veneta e nella Lombardia continua il dominio napoleonico. Per la verità quasi tutto era già stato previsto nel trattato di pace di Leoben firmato il 18 aprile 1797 tra l’Austria e la Francia.
La svendita della Patria Veneta agli Asburgo apre finalmente gli occhi a tanti veneti (emblematica la vicenda di Ugo Foscolo), ma ormai è troppo tardi e così, a parte la gloriosa epopea del 1848-49, la nostra terra veneta passerà da un padrone all’altro.
Nei primi giorni del 1798 arrivarono gli austriaci sotto il comando del conte Oliviero von Wallis, generale di cavalleria; si fermarono nel Veneto fino al trattato di Presburgo del 26 dicembre 1805: l’Austria sconfitta ad Austerlitz (2 dicembre) perdeva il Veneto, il Friuli, l’Istria e la Dalmazia che passavano al regno d’Italia, stato-fantoccio in mano a Napoleone.
I francesi dividono il Veneto in 7 dipartimenti: Adige (Verona), Adriatico (Venezia), Bacchiglione (Vicenza), Brenta (Padova), Passariano (Udine), Piave (Belluno), Tagliamento (Treviso). Parte della provincia di Rovigo va a far parte del dipartimento del Basso Po con capoluogo Ferrara, suddiviso nei tre distretti di Ferrara, Rovigo e Comacchio; i cantoni di Adria e Loreo vengono assegnati al dipartimento Adriatico (Venezia); l’Istria fa dipartimento per conto proprio; un provveditore generale provvisorio viene assegnato alla Dalmazia. La capitale del Regno Italico è Milano, e Venezia viene ridotta, come abbiamo visto, a capoluogo di un dipartimento.
Se il primo dominio napoleonico fu caratterizzato da rapine e devastazioni il secondo fu all’insegna di fame e disperazione. Lo studioso Giuseppe Gullino sostiene che dalla fine del settecento (Serenissima) al periodo napoleonico le tasse aumentassero del 780%! 3) Particolarmente odiosa la tassa sul macinato, il dazio della macina, una vera e propria tassa sulla fame che colpiva i nostri contadini al momento di portare le loro poche cose al mulino; per non parlare della tassa sul sale, bene allora di prima necessità, e di tutte le altre gabelle, come la fondiaria, o prediale, sul patrimonio o il cosiddetto “testatico” che colpiva tutti i cittadini, tutte le “teste”, appunto.
Oltre a ciò Napoleone impone la coscrizione obbligatoria: tutti i giovani tra i 20 e i 25 anni devono prestare servizio militare per quattro anni: nella tanto vituperata Repubblica Veneta cose simili non si erano mai viste. Si tratta di quote elevatissime, molto più che in Francia, ovviamente: nel 1806 abbiamo 16 coscritti ogni 1000 abitanti in Veneto contro un 4 per mille in Francia, nel 1806 i soldati di leva sono 12.700, nel 1807 10.250, nel 1808 11.000, nel 1809 13.000. 4)
Ulteriore pesante penalizzazione per l’economia veneta, con migliaia di possenti braccia sottratte alla nostra agricoltura, ma soprattutto una vera e propria decimazione della nostra gioventù: nella tragica campagna di Russia conclusasi con la disfatta sul fiume Beresina nel novembre 1812, secondo i dati degli autorevoli Distefano e Paladini, su 27.000 giovani veneti arruolati nelle truppe napoleoniche solo 1000 tornano vivi. Gli altri 26.000 muoiono sacrificati alla follia napoleonica: per questi nostri fratelli veneti c’è l’oblio più completo… 5)
Altro provvedimento napoleonico che penalizzò il nostro popolo fu la creazione di dodici ducati, “Gran Feudi dell’Impero Francese”, che Napoleone istituì per gratificare i suoi più stretti collaboratori; naturalmente il relativo appannaggio (60.000 franchi annui) gravava sulle comunità locali. A Rovigo, fu nominato il generale Anne Jean Marie René Savary. Per la gioia della popolazione locale, immagino…
Per non parlare dell’atteggiamento della Chiesa: la soppressione e la distruzione di chiese, conventi e monasteri, la sistematica rapina del patrimonio delle nostre parrocchie, l’accanimento contro i nostri preti, per arrivare all’arresto di Papa Pio VII portato prima a Savona e poi a Fontainebleau, accendono inevitabilmente l’ostilità del clero nei confronti delle truppe napoleoniche.
Tutto questo sfocia in numerosi momenti di ribellione, particolarmente drammatici nel Polesine.

1805, Crespino privata della cittadinanza

Nella storia delle sollevazioni contro i francesi, Crespino merita un posto di assoluto rilievo. Notevole borgata tra Adria e Rovigo, contava all’epoca 4200 abitanti (oggi appena la metà).
Nell’ottobre del 1805 i crespinesi si permisero di abbattere gli stemmi napoleonici, nella Sala del Municipio venne bruciata la bandiera francese e nello stesso tempo furono innalzate le insegne austriache nella speranza che le truppe asburgiche arrivassero a “liberare” il paese. 6)
Purtroppo le cose non andarono nel verso sperato, e quando i francesi ripresero possesso della località l’ira funesta di Napoleone si abbattè su Crespino. A pensarci bene non era successo nulla di irreparabile – le solite “scaramucce” nei confronti di un esercito straniero – ma Napoleone non volle sentir ragioni: l’undici febbraio 1806 da Parigi emanò furioso un decreto, che ripropongo più avanti, mediante il quale i cittadini di Crespino venivano privati della cittadinanza per essere trattati come “colonia del Regno composta di gente senza patria”. Crespino era stato cancellato dalle carte geografiche: un provvedimento di inaudita ferocia. I crespinesi allora pensarono di ricorrere al principe Eugenio Beaurharnais affinchè perorasse la loro causa.
Ma Napoleone il 21 marzo 1806 rispose così a Eugenio: “Se quel Comune vuole lavarsi dall’onta di fellonia, consegni i tre principali colpevoli per essere tratti innanzi ad un Consiglio di guerra e fucilati con un cartello che dica Traditori al liberatore d’Italia e alla patria italiana, allora io perdonerò al Comune e rivocherò il mio Decreto”.
E il 4 aprile scriveva ancora “Io non rivocherò il mio decreto contro Crespino se non allora che effettivamente vi saranno tre uomini fucilati. La condanna in contumacia non conta un fico; si studiino adunque di arrestare i colpevoli”.
Continuavano nel frattempo i tentativi di chiedere perdono a Napoleone, attraverso il ministro segretario di Stato A. Aldini e, suo tramite, attraverso l’imperatrice Giuseppina; nel frattempo era però scoppiata una nuova guerra con la Prussia e la cosa si arenò.
A Crespino cresceva il malcontento, soprattutto all’interno di alcune potenti famiglie. Così si fece strada l’ipotesi della delazione che si concretizzò quando fu individuato un povero pescatore, Giovanni Albieri detto Veneri, quale capo principale della sollevazione e soprattutto colui che aveva calpestato la bandiera francese. Furono dunque condotti i gendarmi francesi nel suo nascondiglio, e l’uomo prontamente arrestato e decapitato nella piazzetta davanti al municipio di Crespino il giorno successivo; era il 14 ottobre 1806. E una lapide ricorda il fatto:
GIOVANNI ALBIERI DETTO VENERI
DECAPITATO IN QUESTA PIAZZA
IL 14-X-1806
PER DELITTO DI RIBELLIONE
AL GOVERNO FRANCESE
A RICORDO
L’11 gennaio 1807 Napoleone si dichiarò soddisfatto, e con decreto dal Quartier Generale Imperiale di Varsavia “visto che il Capo della rivolta è stato capitalmente punito, visto le replicate suppliche del Comune”, fece grazia a Crespino riammettendolo al godimento di tutti i diritti degli altri Comuni del regno e facendo cessare da quel giorno le disposizioni del Decreto 11 febbraio 1806.

1809, il Polesine insorge

Il testo base per la ricostruzione dei fatti del 1809 rimane quello di Carlo Bullo, Dei movimenti insurrezionali del Veneto. In particolare, l’opera mi ha colpito perché mette in evidenza come nei moti in questione non ci fossero solamente “briganti”, straccioni e gente che non aveva nulla da perdere (come propogono certi autori): tra i promotori troviamo infatti figure come “il medico Domenico Astolfi, di anni 32, domiciliato a Beverare”; come “Liberale Cecchetto possidente di Boara”; per non parlare di don Carlo Giocoli di Adria, una delle figure più attive nell’intero Polesine: fu un’insorgenza “interclassista”, per usare un termine moderno, alla quale partecipò l’intera società veneta.
Per inciso Liberale Cecchetto fu giustiziato il 23 luglio, Domenico Astolfi venne condannato ai lavori forzati a vita, e don Carlo Giocoli se la cavò con… i ferri a vita. “Sorte così generosa non fu riservata a molti dei suoi” (sempre in nome della fraternità francese, aggiungo io).
Carlo Bullo elenca con puntigliosa precisione i paesi più coinvolti:

In Polesine le masse s’ingrossarono coi contingenti di Occhiobello, Crespino, Arquà, Grignano, Pontecchio, S. Apollinare, Bosaro, Villamarzana, Concadirame, Boara, Costa, Fratta, Lendinara, Papozze ed altri luoghi sulle rive del Po, Bellombra, Cerbola, Ariano, Copparo, Comacchio ed altri Comuni. Nei primi di luglio le solite scene si ripetevano ad Occhiobello. Il giorno 5 luglio veniva invasa Lendinara, Fratta ed i Comuni lungo il Canal Bianco
[…]
Tra questi primeggiava Don Carlo Giocoli di Bellombra presso Adria. Di famiglia nobilissima ferrarese, oriunda di Firenze, trasferitasi in Adria quando questa città apparteneva al Duca di Ferrara, teneva a Bellombra vasti possedimenti e un palazzotto di cui oggi non rimane che un mucchio di ruderi nella tenuta, detta Zogola, dal nome dei proprietari. Aveva sortito dalla natura animo più di guerriero che di sacerdote ed aveva compagno nelle sue imprese il fratello Gaspare. Ambedue capitanavano grosse bande di sollevati forti ciascuna di oltre 300 uomini. Gaspare emanava proclami ai paesi, ordini del giorno alla sua truppa intitolandoli: “Noi Gaspare Giocoli Conte del sacro Romano ed aiutante generale di S.A. Imperiale, l’Arciduca Giovanni”. Essi sostennero per molto tempo l’insurrezione in Polesine e nel Ferrarese combattendo valorosamente e dormendo talora nei cimiteri.
Ma narra il Bonanome, “nel 5 settembre 1809 partivano da Rovigo 10 briganti, tra i quali il Prete con suo fratello i quali fecero sempre li direttori del Brigantaggio a Copparo ed altri loghi circonvicini, e si presentarono spontanei!
Nell’8 Luglio il Vice-Prefetto di Adria scriveva al Prefetto dell’Adriatico che gli insorgenti avevano invaso Rovigo in numero di oltre 1500, che bruciarono le carte degli uffici, saccheggiarono le case del Ghetto e dei principali negozianti e si diffusero nei villaggi, giunsero a Gavello la sera dell’otto, e suonando dappertutto campana a martello minacciavano Adria.”

L’insorgenza veneta durò relativamente poco sia nel Polesine sia nel resto del Veneto; mancò un leader come Andreas Hofer nel vicino Tirolo in grado di catalizzare tutte le aspettative del nostro popolo; e ci fu una repressione francese spaventosa.
Ecco cosa scrive l’autorevole Mario Cavriani, nel suo Il Polesine durante il dominio napoleonico”: 7)

Al confronto coi misfatti compiuti da queste bande di insorti-galantuomini come riconosce anche il Bullo, per lo più convinti di combattere per una causa giusta e benedetta dai loro preti, assai sproporzionata fu la reazione messa in moto dal ricostituito governo napoleonico. Infatti, scongiurato il pericolo con l’intervento di nuove truppe, si incrementarono gli arresti, le persecuzioni, le punizioni e le esecuzioni. “Si istituirono […] tribunali speciali a Chioggia, Verona, Padova e Ferrara, i quali giudicando con arbitrio e talvolta con passione, senza formalità di regolari processi, centinaia e centinaia – scrive il Vaccari – furono che caddero vittime di un feroce dispotismo”.

Carlo Bullo descrive così la reazione dei francesi:

I Gendarmi e Dragoni francesi, narra il Battistella, perlustrarono in ogni senso tutte le campagne del Polesine desolando e bruciando le case dove non trovavano i ribelli cercati, taglieggiando e imprigionando migliaja di persone per solo sospetto, e rapinando quanto era sfuggito alla frettolosa avidità degli insorti. “È proprio il caso di dire che per metter l’ordine si compieva il disordine e che quei soldati non mentendo alla fama e alla tradizione del corpo si mostravano degni successori degli eroi delle famose dragonnades”.

 
N O T E

1) AAVV, Al tocco di campana generale 1797-1997, Comunità Montana di Valle Sabbia, Nozza di Vestone (BS) 1997.  
2) A. Da Mosto, Domenico Pizzamano un uomo di mare veneziano contro Napoleone, Editoria Universitaria, Venezia 1997  
3) “Corriere del Veneto”, 30-04-2010  
4) A. Zorzi, Napoleone a Venezia, Milano 2010.  
5) G. Distefano, G. Paladini, Storia di Venezia 1797-1997, Venezia 1996.  
6) C. Bullo, Dei movimenti insurrezionali del Veneto, Venezia 1899.  
7) M. Cavriani, Il Polesine durante il dominio napoleonico, Rovigo 1979.